«Cosa vi terrorizza di più della purezza?», chiesi. «La fretta», rispose Guglielmo (Umberto Eco, da “Il nome della rosa”). Qualche tempo fa si è visto in televisione lo spot pubblicitario di una nota marca di calzature sportive. Lo slogan, piuttosto lungo, è un vecchio apologo africano che recita più o meno così: “Il leone all’alba sa che deve correre più della gazzella per poterla catturare; la gazzella all’alba sa che deve correre più del leone per non essere catturata; quindi, che tu sia leone o gazzella, comincia a correre”
Lasciando da parte l’Africa, è fuor di dubbio che la nostra civiltà sia basata su una continua competizione dai ritmi frenetici, quasi ossessivi. Tutto viaggia a velocità folle: fax, cellulari, internet, satelliti, segnali video e radio inviata via etere e via cavo. Il mondo, come profetizzato da Marshall McLuhan, è diventato un immenso “villaggio globale” dove tutti i suoi abitanti si muovono ad un ritmo vertiginoso. Tempo fa un noto economista dichiarò di non potersi dedicare in maniera adeguata al suo hobby, direttore d’orchestra di grande livello, perché se fosse uscito dal circuito per un anno sarebbe rimasto definitivamente tagliato fuori a causa delle rapidità dei mutamenti ed alla conseguente necessità di essere costantemente aggiornati.
Il mondo cresce tecnologicamente ma certamente non moralmente. L’intelletto, ormai, è cinicamente sacrificato di fronte all’interesse economico; il fattore umano sta abdicando alla spersonalizzazione ed alle macchine. Le inquietanti ed oscure profezie di Orwell e di Asimov lentamente diventano realtà. Forse dovremo fermarci o almeno rallentare per riflettere un po’. Ma la continua competizione ci spinge ad essere sempre più rapidi, a perdere il minor tempo possibile, a tralasciare le cose poco pratiche. Il tempo è denaro ed il denaro è potere. E del potere abbiamo bisogno per vincere la nostra solitaria gara. Bisogna essere competitivi e per esserlo occorre la velocità. Magari a scapito dei valori, importanti forse, ma che certamente non concorrono a migliorare la competitività di un individuo.
Ecco cosa scriveva, alcuni anni fa, Bertrand Russell sull’argomento: “L’importanza assunta dalla competizione nella vita moderna è connessa a un decadimento generale degli ideali civili, come deve essere accaduto a Roma dopo l’era di Augusto. Uomini e donne sembrano diventati incapaci di gustare i piaceri più intellettuali. L’arte della conversazione, ad esempio assurta a perfezione nei salotti francesi del diciottesimo secolo, era una tradizione ancora viva quarant’anni fa. Era un’arte estremamente squisita, che stimolava le facoltà più elevate per amore di qualche cosa che non aveva consistenza alcuna. Ma chi, ai nostri giorni, si dedica a svaghi cosi raffinati? In Cina quest’arte fioriva ancora in tutta la sua perfezione fino a dieci anni or sono, ma immagino che lo zelo missionario dei nazionalisti l’abbia da allora spazzato via, svellendone fin le radici. La conoscenza della buona letteratura, universale tra la gente educata di cinquanta o cento anni fa, ora è limitata a pochi professori. Tutti i piaceri più tranquilli sono stati abbandonati. Alcuni studiosi americani mi condussero, in primavera, a fare una passeggiata attraverso un bosco confinante con il loro campeggio; il bosco era pieno di magnifici fiori selvatici, ma nessuna delle mie guide conosceva il nome di almeno uno di essi. A che pro saperlo? Non sarebbe servito a far aumentare le loro rendite.” “Il male non sta semplicemente nell’individuo, né un singolo individuo può impedirlo da se nel suo caso isolato. Il male nasce da quella specie di filosofia della vita comunemente accettata, secondo la quale la vita è una contesa, una gara nella quale si deve rispetto al vincitore. Questo concetto induce a coltivare indebitamente la volontà, a scapito dei sensi e dell’intelletto. O forse può essere che, così dicendo, noi si metta il carro davanti ai buoi. I moralisti puritani hanno sempre esaltato la volontà; nei tempi moderni, sebbene, originariamente, dessero importanza soprattutto alla fede. Può darsi che i secoli di puritanesimo abbiano prodotto una razza nella quale la volontà è stata super sviluppata mentre i sensi e l’intelletto sono rimasti privi di nutrimento, e che una razza siffatta abbia adottato, quale la più adatta alla sua natura, una filosofia dell’emulazione. Comunque sia, il prodigioso successo di questi moderni dinosauri che, come i loro prototipi preistorici, preferiscono la forza all’intelligenza, fa si che vengano universalmente imitati; essi sono diventati sotto tutte le latitudini il modello dell’uomo bianco, ed è probabile che nei prossimi cento anni il fenomeno vada ancor più sviluppandosi. Coloro, tuttavia, che non riescono a seguire questa moda, possono trovare conforto nel pensiero che, alla fine, non furono i dinosauri a trionfare; si uccisero l’un l’altro e il loro regno fu ereditato da intelligenti spettatori. Anche i nostri moderni dinosauri stanno uccidendosi l’un l’altro.”
Ma per i moti da lui stesso spiegati, saranno in pochi quelli che leggeranno le parole di Bertrando Russell. Cosa fare allora? Niente, proprio niente. In fondo la vita è simile alla “maratona”, la massacrante gara, e non vince chi scatta subito ma chi sa dosare le proprie forze. E vincere in questa competizione significare arrivare semplicemente fino in fondo. “L’attività frenetica accumula ricchezze. Ma che brutta vita!”. Scriveva secoli fa Epicuro, uno che di tranquillità se ne intendeva
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