La solidarietà non ha confini né di etnia né di fede religiosa e Catania sta facendo scuola in questo. Di fronte alle impellenti necessità dei numerosi migranti giunti qui attraverso gli sbarchi della disperazione, la comunità islamica e quella catanese hanno unito le forze per dare una mano a chi ne ha veramente bisogno senza guardare alle differenze come a degli ostacoli, ma anzi valorizzandole come patrimonio prezioso dell’umanità.
Già da tempo i musulmani della moschea di Catania e i volontari della comunità di Sant’Egidio hanno iniziato a collaborare per cercare di far fronte all’emergenza.
La moschea, che è una struttura molto grande (la più grande del sud) nata due anni fa, si trova vicino al porto. In un anno ha ospitato gratuitamente, anche per pochi giorni, circa mille migranti, assistendo con cibo e vestiti adulti, bambini e adolescenti. Inoltre, fornisce i pasti a circa 300 poveri del quartiere popolare dove è ubicata. A raccontare, in un’intervista rilasciata a Serena Termini di Redattore Sociale, come è nata questa sintonia interreligiosa all’insegna dell’impegno sociale è Emiliano Abramo uno dei coordinatori della Comunità Sant’Egidio della città etnea.
«All’inizio li abbiamo conosciuti tramite i bambini che seguivamo andando a trovarli nella moschea – racconta Emiliano Abramo -. A poco a poco abbiamo scoperto insieme all’Iman e a tutti gli altri volontari musulmani di avere l’interesse comune ad assistere ed aiutare i migranti che arrivavano al porto. Così con il tempo è nata una vera e propria amicizia e collaborazione sinergia fatta di scambio tra i nostri giovani e loro, preghiere interreligiose ma anche di preparazione dei pasti e accoglienza gratuita dei profughi».
«E’ strano a dirlo ma è così – continua – perchè, una tra le prime realtà a rispondere ai primi appelli di Papa Francesco, è stata proprio la moschea. All’interno di questa sono state accolte gratuitamente centinaia di persone e nell’ultimo anno circa mille».
«In occasione della fine del Ramadan – abbiamo preparato subito dopo dei pasti per loro – dice ancora -. Sono stati e sono tante le forme di collaborazione che ormai abbiamo instaurato. Quello che ci fa immenso piacere è, che davvero riusciamo ad operare insieme con uno spirito di servizio lontano da possibili divisioni, dando concretezza piena alle richieste dei migranti che arrivano ma anche degli italiani in grave situazione di disagio».
La comunità di Sant’Egidio durante gli sbarchi dei migranti al porto, solo su richiesta della prefettura, prepara i pasti e fornisce le scarpe ai migranti. Nei locali annessi della chiesa di Santa Chiara dove ha la sua sede, nell’ultimo periodo, ha accolto anche per periodi lunghi, complessivamente circa 100 immigrati.
«Oltre ai bisogni materiali – aggiunge Emiliano Abramo – la nostra accoglienza al porto, fatta anche con alcuni immigrati del Cara oltre che di volontari italiani, è soprattutto umana. In alcuni sbarchi difficili, dove sono arrivate pure delle salme, abbiamo voluto regalare ad ogni migrante un fiore: un simbolo di vita e di rispetto per i morti che i musulmani hanno gradito molto e che ha voluto significare, al di là di ogni chiusura nazionale e internazionale, la nostra aperta solidarietà e vicinanza al loro dramma».
Il presidente della comunità islamica della Sicilia Kheit Abdelhafid, Imam della moschea etnea, ha accolto finora i migranti senza distinzione di nazionalità e religione e senza chiedere nulla sulla loro fede e le loro origini. I volontari insieme alla comunità di Sant’Egidio, se occorre, si recano al porto durante gli sbarchi dei migranti e se ci sono salme partecipano ad una preghiera interreligiosa. Recentemente, l’Imam ha partecipato a Palermo ad un momento di raccoglimento interreligioso svoltosi davanti al molo Puntone della città per i migrati morti in mare. Sono ancora attuali le parole che aveva pronunciato in quella occasione.
«Ci sentiamo tutti responsabili di quanto succede – ha sottolineato l’Imam -. Le tragedie sono un dramma umanitario che investe tutti indipendentemente dalla religione o cultura a cui tutti dobbiamo rispondere con misure diverse. Aspettiamo ancora politiche diverse che evitino questi viaggi pericolosissimi in mare. Non possiamo fermarci soltanto a piangere tutte le vittime quando tutto questo si può evitare».
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