Gioacchino Palumbo, regista teatrale e cinematografico; fondatore e direttore del Teatro del Molo 2, dove dirige progetti quali il Laboratorio Annuale di Recitazione ed espressività drammatica dal 1981; Docente all’Accademia di Belle Arti di Catania di Regia, di Storia del Teatro, di Arti Performative e Coordinatore del Corso di Laurea in Scenografia. Collaboratore del Teatro Stabile come regista e docente di recitazione della Scuola per attori.
- Come si sente nella realtà accademica e culturale catanese? A casa o in esilio.
A casa per i bei rapporti personali con alcuni amici, artisti, colleghi, e con i tanti allievi. In esilio, talvolta, per i rapporti con alcune istituzioni
- Insegni nei Laboratori del Molo 2, alla Accademia di Belle Arti, alla scuola del Teatro Stabile. Come è l’esperienza dell’insegnamento con gli anni:
Condurre laboratori teatrali di recitazione e insegnare alla Accademia sono esperienze che mi arricchiscono davvero e mi permettono di fare ricerca. E non sono un ripiego. La vocazione pedagogica non si inventa. E la formazione, la gavetta, l’esperienza degli anni conta moltissimo.
- L’interazione con il tessuto sociale catanese e le istituzioni? C’è ascolto a sufficienza? C’è l’interfacciarsi?
Catania è una citta ricca di fermenti artistici e culturali, in campo teatrale, musicale, letterario, delle arti visive. E, almeno dal mio punto di osservazione, le istituzioni oggi sono piuttosto “distratte”. Si è “dimenticato” il ruolo determinante della vera cultura, dell’arte, della ricerca artistica, che sono elementi fondamentali della qualità della vita della Polis. La senzazione è che vengano considerati aspetti superflui. La non distrazione, la reale attenzione delle istituzioni dovrebbe comportare anche la capacità di distinguere le associazioni, le compagnie, gli operatori culturali seri, motivati, con una storia e un progetto; e anche la capacità di avere un progetto culturale, senza affidarsi a operazioni casuali o dettate dalla ricerca del consenso elettorale. Oltre ai grandi teatri, come il Bellini o lo Stabile, ci sono realtà, strutturalmente più piccole ma altrettanto importanti, che vanno sparendo o sono in grande difficoltà.
- Quali istituzioni pubbliche sono e sono state più attive e presenti?
Se ripenso agli ultimi decenni, la primissima giunta Bianco ha avuto il merito di essere molto attenta alla cultura, con assessori di spessore e scelte meritocratiche. E non posso non riconoscere, a onor del vero, che anche l’operato di Musumeci alla Provincia è stato attento. Delle ultime amministrazioni di centrodestra al Comune, rispetto alla cultura, meglio tacere…
- E il Teatro Stabile?
Sono storie note e, purtroppo, dolorose. Il Teatro Stabile ha avuto un ruolo importante nel nostro panorama culturale degli ultimi 50 anni. Negli ultimi mesi ha rischiato la chiusura. Da cittadino penso che sarebbe una grave perdita, anche se non sempre ho condiviso le sue politiche culturali.
Leggo che ci sono circa 13 milioni di euro di debiti, leggo che sono stati lasciati in gran parte dalla ultima gestione. I tentativi di salvataggio da parte delle istituzioni, anche i più seri, purtroppo non sono stati tempestivi. Gran parte degli artisti, degli attori, dei docenti, non sono pagati da molti anni. E, a sentire gli umori, sono stanchi di sostenere una struttura troppo gravosa. Alcuni problemi strutturali mi sembrano tuttora irrisolti. È necessaria molta trasparenza.
- Come vedi lo scenario teatrale e cinematografico siciliano?
La cultura è un bene comune necessario, va sostenuta. So bene che le risorse economiche sono molto ridotte, ma questo dovrebbe essere un motivo in più per canalizzarle meglio e con oculatezza e lungimiranza. In quanto al Cinema, la legge regionale sul cinema, per esempio, che dovrebbe favorire le produzioni dei cineasti siciliani, secondo la mia esperienza, è impostata male, soprattutto la parte che riguarda i lungometraggi. In realtà finisce solo per dare un aiuto non necessario a produzioni televisive o cinematografiche che hanno già milioni di euro nelle tasche. Un preventivo che non si aggira sul milione di euro non viene neanche preso in considerazione. E, se dovessero dare un contributo del 10 o 15%, che per una produzione indipendente sarebbe comunque un aiuto utile, si è obbligati a firmare fideiussioni bancarie per l’intero preventivo. Il che lo rende inaccettabile, almeno per le produzioni idipendenti. La proposta del mio film, per esempio, è “arrivata” 10°, su centinaia di proposte. Hanno finanzato i primi 7 film, tutti con le spalle coperte, e di svariati milioni, che si sono limitati a girare qualche scena in Sicilia. Ma se ci avessero inserito, sarei stato costretto a rifiutare, per le norme finanziarie. In questo modo non si aiutano le produzioni siciliane.
- Soddisfazioni e insoddisfazioni personali nel campo professionale?
Sono fortunato, faccio un lavoro che mi appassiona e mi piace moltissimo, costruito giorno per giorno.
- Cosa possono dirci di nuovo ancora ” i pionieri del teatro del Novecento“, come recita il titolo di un tuo libro (edizioni Bonanno)?
Possono dirci tantissimo. Per andare avanti con dedizione. Per me il confronto ideale con i maestri e i ricercatori autentici del passato, sentiti come interlocutori ideali, è una pratica continua per non immiserirsi nelle beghe, nella guerra dei poveri e nel pressapochismo. Ma bisogna guardare anche al futuro, e resistere, senza compromessi. Nel periodo della mia formazione ho avuto la fortuna di partecipare per molti anni ai progetti parateatrali di Grotowski, che oggi è considerato il più importante maestro della seconda metà del Novecento e che continua a essere per me un riferimento indimenticabile.
- Battiato ha detto di te che insegui nuove drammaturgie e verità ma non modelli. È un elogio notevole, ma istituzionalmente c’è un adeguato riscontro per quanto fai?
No. Direi di no. Con Franco Battiato c’è, da molti anni, una collaborazione, una stima reciproca e diversi campi di interessi in comune. Gli sono grato per la sua attenzione e per il sostegno ideale che ha sempre dato al mio lavoro.
- Ti ritrovi spesso nei panni del „nemo profeta in patria“?
Non so. Forse no, malgrado tutto. Ho avuto un migliaio di allievi, qualche seme spero di averlo messo… Nei due libri che raccontano l’esperienza del Teatro del Molo 2 (promossi dall’Istituto di Storia della Università e editi da Bonanno) ci sono testimonianze molto significative di alcuni di questi “allievi”, o partecipanti, non solo attori, anche insegnanti, operatori sociali, psicologi, animatori, ricercatori.
- Tra i tuoi allievi ci sono anche Donatella Finocchiaro, Giovanni Calcagno, Tea Falco, Savi Manna, e tanti altri.Le esperienze e le gratificazioni con i Laboratori sperimentali del Molo2?
Gratificazioni tantissime. I Laboratori di recitazione e di “Archedrama” del Teatro del Molo 2 sono, insieme agli spettacoli e ai film prodotti, l’asse portante, l’architrave del mio teatro. A Catania il laboratorio teatrale annuale si svolge ogni anno dal 1981/82. Cioè da 35 anni, e senza alcun sostegno esterno. Un record! (sorride). Credo sia uno dei laboratori più longevi, non solo in Sicilia e in Italia, ma forse anche in Europa. Qualche giorno fà abbiamo presentato al Centro Zo l’ultimo spettacolo, intitolato “C’è qualcuno là?”, frutto di una collaborazione con la Accademia di Belle Arti
E oltre ai laboratori teatrali ho realizzato anche i laboratori del “progetto Archedrama”, che non sono orientati alla formazione teatrale ma allo sviluppo della consapevolezza, al lavoro su se stessi e alla crescita personale attraverso l’esperire di pratiche psicocorporee. Laboratori Archedrama, oltre che a Catania, sono stati realizzati anche a Berlino ( 3 sessioni, di cui una alla Biennale d’Arte), a Valencia, San Pietroburgo, Siena, Firenze, Viterbo, Cagliari, Ragusa e in molte altre città italiane ed europee.
- Come è stata l’esperienza del tuo recente film, il lungometraggio intitolato ” Come se nulla fosse accaduto”, che ha debuttato al Festival del cinema di frontiera di Marzamemi, tutto girato in Sicilia?
È stata una operazione artistica molto impegnativa e sono contento, e anche fiero, di averla condotta in porto, non senza difficoltà. Ho scritto la sceneggiatura originale alcuni anni fa. Il film è attualmente in giro, in maniera un pò episodica, in festival e sale cinematografiche. Lo seguo con attenzione, quasi con trepidazione. L’ultima presentazione, con un bel riscontro, alla sede Rai di Palermo. Il film racconta l’incontro e la storia d’amore di Giulio, un qurantenne che ritorna in Sicilia dopo molti anni di assenza, e due gemelle, legate fra loro da un forte rapporto simbiotico. Nel film sono interpretate entrambe da Ilenia Maccarrone. Questo film vuole essere una riflessione sul tema del doppio, del gioco di rimandi tra teatro, cinema e vita. Non a caso una delle due gemelle è un’attrice, impegnata nelle prove teatrali de “ La dodicesima notte “ di Shakespeare, un’opera la cui trama ha inquietanti analogie con le vicende del suo vissuto. Di più, della sinossi, non vorrei dire…
Per scrivere la sceneggiatura sono partito da alcune domande: Esistono le affinità elettive? O sono solo assonanze illusorie, momentanee? O qualcosa che risuona solo in una parte limitata del nostro paesaggio interiore? Cosa significa conoscere l’ altro? Cosa resta di oscuro e non conosciuto? È sempre bene dare un nome alle ombre?
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