Sembrano essere passati 100 anni e non 19 dalla scomparsa di Rino Nicolosi, uno dei migliori uomini politici siciliani di sempre e l’ultimo grande Presidente della Regione. Se non il più “grande” in assoluto. Quante cose nel frattempo sono cambiate in Sicilia. La vicende politiche e giudiziarie, l’oblio o la morte, hanno fermato i giovani quarantenni di quegli anni, fino ’80 e inizio ’90 che credevano nel cambiamento senza però perdere di vista storia, tradizione e senso di appartenenza. Erano in pieno figli di “quel secolo breve” in cui le ideologie si erano il motivo trainante della partecipazione e dell’azione politica. Uomini che si erano resi conto dello sfacelo morale in cui era caduta la politica italiana e, senza rinnegarla, hanno tentato di salvarla perché attraverso quest’atto pensavano di salvare l’Italia, e per Nicolosi, in particolare la Sicilia. Le inchieste li hanno fermati. Ma più che la magistratura sono stati fermati da un populismo dilagante che ha contaminato e imbarbarito la gente. Nulla di molto diverso dagli attuali 5 Stelle se non che coloro di quegli anni, sfoggiando un impeccabile doppio petto, sembravano signori molto rispettabili. Non c’era il webma usarono le televisioni per attaccare l’intera classe politica italiana che di errori ne aveva fatti fin troppi ma che, una volta scardinata, aveva lasciato un vuoto che non si è più colmato. In quegli anni l’Italia era ricca e rispettata, la Sicilia cresceva, aveva consumato il sacrificio di Falcone, Borsellino e tanti altri, ma stava lentamente cominciando a risalire la china. Gli arresti dei capi della mafia in quegli anni, erano stati importantissimi. Ma, improvvisamente, si fermò tutto. L’Italia e la Sicilia si fermarono a poco prima della metà degli anno ’90. Uomini dalla mente pronta, dalle idee chiare, dalla indiscussa perizia e fondamentalmente e culturalmente oneste furono messi da parte e sparirono. Primo tra questi Rino Nicolosi, colpevole solo di avere voluto interpretare il cambiamento partendo dalla tradizione: quella democrazia, della partecipazione, del dialogo con la gente. Idee e atti inaccettabili per chi mirava a personalizzare la politica, annullare i partiti, creare liste bloccate. Nicolosi si rese conto di tutto ciò. Rimase sempre fedele ai suoi principi di democristiano che, seguendo la lezione di Alcide De Gasperi, guardava a sinistra. Nel 1996, venendo a conoscenza delle candidature nei collegi delle politiche, ebbe un moto di rabbia, di ribellione. Nessuno lo ascoltò. Voce autorevole ma scomoda: meglio tapparsi le orecchie. Fu una tragica sconfitta per il Partito Popolare al quale Nicolosi diede simbolica adesione come ancora più tragica quella del 2001, frutto degli errori degli anni precedenti. Nicolosi, intanto, non c’era più, rapito da quel male che in un primo momento sembrava essere stato sconfitto e che potè alla fine combattere con mezzi limitati perché soldi ce ne erano pochi. Oggi avrebbe avuto 75 anni, 6 in meno di Berlusconi che dichiara di sentirsi un quarantenne; la sua saggezza sarebbe stata utile, come la sua capacità di analisi politica, la sua competenza, il suo spessore umano. Ma tutti noi, politici in testa, siamo diventati presentuosi e arroganti, pensiamo che fare appello alla saggezza dei “vecchi” per avere conforto e consiglio sia debolezza. E quindi, per tanti, troppi, Rino Nicolosi, la sua storia, la sua lezione, non esistono. Sono coloro che marciano all’insegna di un programma che si può riassumere con le parole dell’ex presidente argentino Raul Alfonsin: l’egoismo sociale, l’ognuno per sé Dio per tutti, la democrazia elitistica, il parlamento delle personalità, lo stato minimo, le privatizzazioni a basso costo. Nel bellissimo film “Amistad”, di Steven Spielberg, l’ex presidente John Quincy Adams, interpretato da un magistrale Anthony Hopkins, nell’arringa finale del processo dice: «Da molto abbiamo rinunciato a chiedere ai nostri [antenati] di assisterci, forse temevamo che nel farlo avremmo riconosciuto che la nostra individualità, che noi tanto riveriamo, non è interamente nostra. Forse temevamo che un appello a voi [padri] possa essere presa per debolezza. Ma siamo arrivati acomprendere finalmente che non è così, noi comprendiamo ora; ci hanno fatto comprendere, e assimillare la comprensione che, ciò che siamo è ciò che eravamo. Abbiamo bisogno della forza e della saggezza per trionfare su i nostri timori, sui nostri pregiudizi, su noi stessi. Dateci il coraggio di fare ciò che è giusto…». Chissà se un giorno noi siciliani avremo la forza di farlo e rivolgerci a nostri grandi antenati siciliani: Rino Nicolosi, Pier Santi Mattarella, Giuseppe De Felice Giuffrida, Giuseppe Alessi, Antonino Sangiuliano, Filippo Cordova.
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