CATANIA – Teatro Metropolitan gremito per la tappa catanese dello spettacolo “Domenico Tempio – vietato ai minori”; prodotto dall’associazione culturale “Le nuove Muse” di Giusi Manna e Simona Di Bella, nato da un’idea di Piero Lipera, scritto e diretto da Rosario Minardi e Marco Tringali, è stato interpretato da Angelo Tosto, Giuseppe Castiglia, Rossana Bonafede, Santo Santonocito.
Il contesto storico in cui si sviluppa la vicenda narrata si pone a cavallo fra il XVIII ed il XIX secolo quando la Rivoluzione francese, con tutto il proprio bagaglio di presupposti e motivazioni, aveva generato negli ambienti definiti “elites urbane” ed in quelli universitari siciliani la determinazione ad uno scuotimento dal torpore in cui la società si trovava. Giovanni Gambino, Giovanni Ardizzone e Giovanni Meli (a Palermo) che, come Domenico Tempio, insegnavano all’Università, sentivano propria tale necessità; questo movimento sociologico non era relativo solo ai perimetri degli ambienti borghesi, ma si sovrapponeva alle esigenze dei nobili facenti parte di logge massoniche allo scopo di produrre nuove ricchezze estranee ai mercati (fisiocrazia) rivalutando la terra ed utilizzando il popolo per coltivarla. Di siffatte logge, facevano parte anche esponenti del clero, affatto estranei alla corruzione. L’Illuminismo che aveva preceduto e posto come pensiero filosofico questi movimenti, aveva spiegato all’uomo che era giusto riappropriarsi della propria dignità intellettuale.
Ma le cose non andarono come in Francia: una delle scene mostra, riuniti in osteria, in un fantastico cenacolo, Micio, Giovanni Meli, Giovanni Gambino e Giovanni Ardizzone che dopo essersi affannati sul come e sul perché, sbottano affermando che “la Sicilia non è la Francia e Catania non è Parigi”.
Atto unico concluso con evidenti consensi e lunghi applausi.
Molti di noi spettatori desiderano complimentarsi con gli attori e gli addetti ai lavori.
Superiamo l’ingresso al palcoscenico e ci introduciamo nei camerini per tributare a ciascuno il plauso che merita: Angelo Tosto, Giuseppe Castiglia, Rossana Bonafede, i giovani nel doppio ruolo del popolo e dei nobili festaioli; ci complimentiamo con tutti, neppure un ruolo sbagliato, neppure un attore insufficiente. Attraversando il palco, dove già una squadra di solerti tecnici sta smontando la scenografia, giungo ad un opposto punto di osservazione rispetto a quello che avevo avuto sino a qualche minuto prima come spettatore: i camerini, il palcoscenico e poi la platea e la galleria che si aprono immensi. “Ecco cosa vede l’attore, una volta che all’ennesimo campanello, il sipario si apre”. L’attore è nudo e si presenta tale al pubblico ed ancora più vulnerabile giunge ad esso alla fine della rappresentazione nell’attesa dell’applauso…”
Gli attori, uno per volta escono dai camerini in abiti attuali quasi irriconoscibili e diventa un gioco intuire, cercare di riconoscere di chi si tratta…Nel dietro le quinte c’è un profumo che sa di adrenalina, di polvere di legno, di calore delle grandi lampade dell’illuminazione che sono inspiegabilmente magici; i commenti degli attori a cui altri attori poco prima spettatori vanno incontro per complimentarsi…un brusio giocoso del quale per qualche attimo facciamo parte anche noi che abbiamo il piacevole compito di scrivere ciò che abbiamo visto. In questo mio peregrinare dietro le quinte, mi accompagna Giuseppe Castiglia, assolutamente persuasivo nel doppio ruolo di narratore e di Principe Biscari. Glielo dico ed aggiungo anche che mi sono piaciuti molto gli abiti di scena, curati da una sarta della via Manzoni. Così, proprio lui mi racconta il “loro” Domenico Tempio: “Micio, ingiustamente considerato solo come un poeta prezzolato dai ricchi al fine di creare versi piccanti che rallegrassero le feste, era un fine conoscitore del greco e del latino, oltre che un divoratore di classici, capace di tradurre dal greco al francese. Sfortunato nella vita privata, forse poco lungimirante per ciò che aveva riguardato la propria carriera universitaria, era perfettamente consapevole di quale fosse la mano che gli dava da mangiare. Il suo rapporto con Biscari che lo stimava come uomo di cultura, non lo condizionarono al punto che egli soccombesse ai ragionamenti partigiani che il nobile gli faceva. Forse illegittimamente accusato di farsi blandire dalle fascinazioni dei princìpi di rinnovato moto sociale che giungevano dalla Francia, a modo suo partecipò alla protesta scrivendo versi sulle abitudini lussuriose dei nobili che dissipavano mentre il popolo moriva di fame e di stenti. Micio Tempio non si celava dietro le sue poesie, ma protestava attraverso esse rimanendo comunque rassegnato dalla consapevolezza che il popolo fosse solo e sempre “un pugno di pagnottari”. Erano bastate poche promesse per sedare una rivoluzione nata da un concreto bisogno di giustizia”.
“Rosario Minardi e Marco Tringali” – prosegue – “hanno compiuto un’operazione culturale importantissima nel ridare lustro ad un intellettuale praticamente dimenticato. Attraverso la riabilitazione di Micio Tempio, sia l’Associazione “Le Nuove Muse”, sia i registi e noi attori, desideriamo porre l’attenzione sulla vera rivoluzione che va fatta: ovvero quella di rispolverare tutti le eccellenze della cultura siciliana che non debbono restare solo mezzobusto alla Villa Bellini!
Esibendoci tutte le sere, andando in giro per i teatri della Sicilia e dopo per quelli di alcune città europee, è questo il messaggio che vogliamo far passare. Come diceva Micio Tempio, è grazie alla cultura e la consapevolezza di ciò che siamo stati che possiamo tenere alta la testa rivendicando con orgoglio le nostre origini e il nostro patrimonio di conoscenza”.
Angelo Tosto nel ruolo del poeta è misurato ed elegante nel recitare anche i versi più audaci; ha una mimica che si prolunga sul pubblico, forse nel tentativo di far capire portando lo spettatore dalla sua parte. E ci riesce. Magnifico.
Rossana Bonafede, bravissima nell’interpretare due personaggi: la prostituta che frequenta l’osteria e la svampita baronessa. Divertentissima e mai esagerata, benché i ruoli potrebbero farla scivolare nella volgarità. I registi sono stati bravi ad adattarle i personaggi che, viene da esclamare, “soltanto lei poteva interpretare”.
Giuseppe Castiglia, bravissimo! Una rivelazione? No, non credo…perché potenzialmente è da ritenere – come tutti i comici – capace di indossare la maschera del dolore e quella della gioia. Abile e consapevole di potersi prestare al rischio di essere guardato con stupore, è riuscito a definire una linea di demarcazione fra ruoli: in fondo, quando racconta una barzelletta, interpreta i personaggi della stessa, non lo fa con lo spirito dell’animatore di feste, bensì come un attore. E’ stato capace di esprimere il Principe Biscari con misurato sarcasmo e brillante ironia e i tempi della sua recitazione sono molto più lenti e pertinenti nelle fasi statiche; azzarderei essere più appropriato – nel ruolo del narratore – ridurre gli attraversamenti sul palco, anche per non disperdere il grado di attenzione dello spettatore.
Essermi soffermata sui protagonisti, non esclude di dover esprime compiacimento per tutti gli altri attori dei quali i registi hanno avuto il privilegio di disporre ed il merito di amalgamare perfettamente. Quindi ricordiamo di seguito tutti coloro che danno vita a questa brillante rappresentazione e magnifica operazione culturale, nessuno escluso:
Angelo Tosto | Micio Tempio
Giuseppe Castiglia | Narratore/Principe
Luana Toscano | Caterina
Rossana Bonafede | Rosa/Baronessa
Antonio Caruso | Gambino
Santo Santonocito | Ardizzone
Lara Marta Russo | Lamentatrice/Corifea
Antonio Starrantino | Rossi/Coro
Giovanni Bonaventura | Strano/Coro
Raimondo Catania | Oste/Musico
Seby Cantarella | Barone/Musico
Giusy Allegra Filosico | Coro
Grazia Ercolano | Coro
Carolina Pulvirenti | Coro
Danilo Puglisi | Coro
REGIA
Rosario Minardi e Marco Tringali
Donatella Marù | Assistente alla regia
Stefano Gambino | Direzione di scena
Foto di Gaetana Gagliano
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