CATANIA – Enorme consenso di pubblico per i “Civitoti in Pretura che ha fatto registrare il “tutto esaurito” sino al 28 Gennaio, tanto che è stato necessario inserire un altro spettacolo in programmazione per domenica 4 Febbraio. Spettacolo esilarante, ben interpretato e con la bella regia di Turi Giordano, studioso di Nino Martoglio, autore del libro intitolato “Rarità teatrali di Nino Martoglio” in cui il regista parla dei “Civitoti in pretura “ nella loro prima stesura del 1894 che la prima volta venne messa in scena venne interpretata dallo stesso Martoglio.
Turi Giordano – che si autodefinisce “archeologo del teatro siciliano” – grazie alla gioia di spulciare e rovistare sulle mensole delle Biblioteche e sulle bancarelle dei mercatini, è riuscito a restituire anche una raccolta di aneddoti a firma di Cicca Stonchiti, pubblicati nel 1895 che altro non erano che dialoghi colorati fra gente del popolo agli angoli della Civita, angoli e piazze e luoghi nascosti. Turi Giordano compone dunque questi frammenti e ne ricava una commedia in tre atti che intitola “A’ Quatela”, ovvero la querela, ovvero ancora “Cuttiggjiari in pretura”, di cui sono protagonisti un parterre di personaggi conosciuti solo col “becco”, il soprannome: Cuncettu Bagghigghia, Miciu Muscaloru, Cocimu Sparafucili, Messer Rapa, Silivestra Nascadipipa, Sarafina Faccitagghiata, Lona ‘a Buffa, Don Procopiu Ballacchieri, Cicca Stonchiti, Tina Allicca Allicca, Il Pretore, L’Usciere, Il Cancelliere.
Nino Martoglio fu per il teatro la nota briosa che mancava a Verga e Pirandello: strettamente legato al lato serio della vita il primo, affannato e sempre dentro ragionamenti il secondo. Nino Martoglio, si scriveva, fosse ispirato da “una musa tutta sua” che lo conduceva a cercare ispirazione fra la gente del popolo che era attrice nei suoi stessi ruoli: quelli della povera gente, scalmanata, sboccata, omertosa, pronta a venire alle mani e risolvere le faccende – fossero anche liti fra vicini di casa – in punta di coltello. Nino Martoglio nella rappresentazione del vero che avveniva aveva sempre bisogno di scegliere gli interpreti più calzanti che sovente erano povera gente essi stessi; e se da una parte, si rallegrava di ciò che riusciva ad realizzare con questi, da un’altra si crucciava di quanto fosse difficile farglieli arrivare a causa della limitata cultura che possedevano. Gli stessi Grasso e Musco avevano appena le scuole elementari, ma costituivano l’eccezione per la grandezza della loro recitazione (Angelo Musco raccontava che quando l’impresario faceva firmare agli attori le ricevute, non sapendo quasi nessuno mettere la propria firma, sembrava si lasciasse un camposanto, tante erano le croci!).
Nino Martoglio, nato fra le ginestre della nera pietra, cresciuto anche artisticamente all’ombra dei profili severi dei palazzi catanesi, fra i labirinti del quartiere della Civita e dintorni, a dispetto della leggerezza della sua letteratura, non ebbe vita facile perché il lavoro di costituire compagnie e portarle in giro, gli fu qualche volta così greve da fargli inghiottire per questo mestiere parecchi bocconi amari. E fu tragica e sicuramente insensata la sua morte causata dalla tromba di un ascensore installato ma non funzionante lasciato incautamente incustodito in un’area del costruendo Ospedale Vittorio Emanuele in un giorno (15 settembre 1921) in cui si era recato a trovare il figlio ricoverato.
Oggi come allora, la messa in scena di un’opera brillante di Nino Martoglio richiede attori assolutamente qualificati all’interpretazione piuttosto che alla caricatura perché semplice sarebbe “smorfeggiare” un tipo per strappare la risata: Turi Giordano e Guia Ielo sono stati entrambi determinati a riproporre la versione originale dei Civitoti in cui lo stesso Martoglio, interpretando se stesso, riveste il ruolo di cicerone fra i vicoli e i cortili per raccontare la Catania della Civita. L’impegno del regista è reso sulla scena poiché ogni attore possiede quella carica felina necessaria che nasconde ora l’aggressività, ora la debolezza, ora la paura. I personaggi giungendo sulla scena strappano inevitabilmente le risate più chiassose, ma nei racconti “delle lame lucenti” del lavatoio, è palese l’evidenza della fatica che queste donne facevano battendo i panni sulla pietra, spargendo e “stricando” cenere per sbiancarli. Malandrini che giunti sul posto trasformano un’abbondante gettata di cenere in una rissa che finisce a coltellate: “chi è stato?, chi ha cominciato? “chi sferzò la prima offesa col coltello e quando venne abbandonata la scena della rissa?”
Attori perfettamente calzanti ed iterazione col pubblico riuscitissima. Guia Ielo…beh, lei che riesce ad essere tutti i personaggi che interpreta, lei è Cicca Stonchiti! Parlare di Guia Ielo è semplice: basta affermarne l’indubbia bravura. Nel modo di interagire col pubblico, nella gestualità esagerata, ora schiva ora aggressiva, Guia Ielo produce con la mimica tutta la adeguatezza della sua educazione ad una vita di quartiere, dove sono le labbra serrate e gli sguardi a generare i dialoghi, a chiarire le posizioni.
Poiché parlare di un’attrice così assolutamente brava è cosa ardua, chiedo in prestito le parole di Nino Zuccarello (autore di uno studio su Musco e Martoglio pubblicato nel 1953), che così definisce le caratteristiche che deve possedere l’attore che si cimenta nell’interpretazione del dramma dialettale siciliano:
<<mettete in bocca a uno di costoro il linguaggio di un qualunque nostro personaggio siciliano ed eccovi nel suo rilievo e risalto il personaggio incarnato sin nei più minimi dettagli; interpretazione che sarà involuta, procederà a saltelloni, si scapiglierà, si caricherà di troppi vivi colori; ma solo dopo un attimo, subito la vediamo rientrare in se per elevarsi al grado d’impronta personale>>.
Riuscitissimi ciascuno nei propri ruoli, tutti gli interpreti in scena : oltre alla civitota Cicca Stònchiti (lavandaia) / Guia Jelo
Il civitoto Messer Rapa, il civitoto don Procopiu e l’autore Nino Martoglio/ Riccardo Maria Tarci
Il pretore Testafina/ Plinio Milazzo
Il pubblico ministero Bomba /Gianmarco Arcadipane
Il cancelliere/ Enrico Manna
L’accusato Giovanni Masillara/ Fabio Costanzo
L’usciere Scarabeo /Salvo Scuderi
L’avvocato difensore Pappalucerna/Enzo Tringale
Le civitote: Minica ‘a ciolla/ Raniela Ragonese;
Cuncetta a tòtina, sua figlia/ Noemi Giambirtone;
Viulanti Sparapaulo/ Margherita Papisca;
Tidda ‘Ntrichiti ‘Ntrichiti/ Elisabetta Alma
Le musiche sono di Gianni Bella, presente in sala la sera della prima e al quale Guia Ielo ha espresso un ringraziamento speciale e commosso; scene di Jacopo Manni; costumi di Sara Verrini; Aiuto Regia di Riccardo Maria Tarci e Luci di Sergio Noè.
Da qualche parte, su qualche giornale dell’epoca, forse proprio sul “D’Artagnan di Nino Martoglio, si leggeva: «La nostra gente è fatta di forze in contrasto. Dal mosaico della sua storia è venuta al suo sangue una commistione di disparati elementi: l’avventurosità fenicia,la sottigliezza bizantina, l’irrequietezza araba, l’impetuasità normanna, la signorilità sveva, la cerimoniosità angioina e la pomposità aragonese».
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