Di “Adelson e Salvini”, opera prima di Vincenzo Bellini, si pensava di conoscere già tutto o quasi. Gli studi dei musicologi Failla e De Meo, negli scorsi decenni, avevano portato a certezze che sono state superate da nuovi documenti, rinvenuti da Claudio Toscani nel Fondo Mascarello custodito dalla Biblioteca del Conservatorio di Milano. Le nuove fonti, emerse nel 2001, oltre ad illuminare aspetti poco noti della biografia dell’artista, hanno gettato luce sulle vicende di questo dramma musicale, che ha subito rimaneggiamenti nel corso del tempo. Dalla revisione filologica è emersa la versione autentica dell’opera, che è stata rappresentata con molto successo al Teatro Massimo Bellini di Catania, in cartellone sino al prossimo 2 ottobre, con la direzione del maestro Fabrizio Maria Carminati e la regia di Roberto Recchia.
Catania ha l’obbligo morale di mettere in scena le opere di Bellini in edizione critica. Ma questa volta il Teatro cittadino ha fatto ancor di più: in collaborazione con l’Ateneo ha dato vita ad una operazione di alta divulgazione organizzando un convegno internazionale di studi, che si è svolto in contemporanea allo spettacolo. La Prima di “Adelson e Salvini” ha così acquisito un sapore nuovo, dimostrando che il Teatro d’opera ha una funzione civilizzatrice: favorisce la conoscenza della nostra storia e dei linguaggi musicali e culturali in senso lato, analizza e diffonde la produzione del Cigno, sa andare al di là delle formali celebrazioni belliniane che si svolgono ogni anno in questo periodo.
Lodevole, al riguardo, l’attenta stesura del libretto di sala, che è un vero e proprio saggio scritto a più mani, ricco approcci, con fondamentali analisi di Fabrizio Della Seta e le riflessioni di altri esperti.
Il cast catanese di “Adelson e Salvini” ha saputo affrontare un’opera che presenta per i cantanti asprezze e difficoltà tecniche, soprattutto per i sopracuti del tenore. Ma la tessitura è difficile anche per le altre voci, che devono essere ben solide, così come nelle opere più mature di Vincenzo Bellini. Ecco i nomi degli artisti che hanno rivelato o confermato il loro talento: Josè Maria Lo Monaco, mezzosoprano dalla voce scura e impeccabile, nel ruolo di Nelly (nelle recite del 25, 27 e 29 Gabriella Sborgi); Kamelia Kader – Madama Rivers; Lorena Scarlata – Fanny; Carmelo Corrado Caruso – Lord Alderson; Francesco Castoro – Salvini; Clemente Antonio Daliotti – Bonifacio; Giuseppe De Luca – Struley; Oliver Pürckhauer – Geronio. Maestro del coro, Luigi Petrozziello. Agile l’Orchestra del Teatro in questo nuovo allestimento, nato da una coproduzione con la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi. Scene e costumi, che sono stati mantenuti, sono rispettivamente a Benito Leonori e Catherine Buyse Dian.
“Adelson e Salvini” ha carattere semi-serio. Inutile raccontare la trama, che è talmente complicata che richiederebbe metà dello spazio di questo articolo. Basti dire
che le quasi tre ore di spettacolo trascorrono in un fiat. Merito soprattutto delle trovate linguistiche del personaggio buffo, Bonifacio Voccafrolla, a cui sono affidati recitativi in napoletano stretto. Gli applausi finali hanno dimostrato che l’opera è piaciuta, così come piacque al pubblico nel carnevale del 1825, quando venne rappresentata la prima volta come saggio di studio, al conservatorio di Napoli (in scena allora vi erano però solo uomini). Fu un successo tale che questo dramma musicale in tre atti fu poi rappresentato ogni domenica per un intero anno nella capotale del Regno. La strada verso la celebrità era già segnata per il “maestrino”.
Autore: Francesca M. Lo Faro
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