Cantieri per le infrastrutture fermi o non avviati, tagli agli investimenti e ai trasferimenti agli enti locali per le politiche di welfare, blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione e nella sanità che pongono serie difficoltà alla rete ospedaliera locale, aumento del divario tra Nord e Sud, pensioni trattate come bancomat, deboli prospettive occupazionali per i giovani.
Anche da Catania, il capoluogo del dissesto finanziario, portando i tanti problemi che sta vivendo il territorio metropolitano etneo, la Cisl parteciperà massicciamente, con oltre 200 tra dirigenti e iscritti, alla manifestazione nazionale del 9 febbraio a Roma, organizzata con Cgil e Uil.
«Ci muoveremo con i rappresentanti delle categorie delle costruzioni, dei pensionati, dei dipendenti pubblici, dell’agroalimentare, del terziario, della scuola, delle Poste, dei metalmeccanici, dei trasporti, dei servizi energetici, dei giovani, degli inquilini, dei consumatori e degli immigrati – ribadisce la segreteria provinciale della Cisl catanese – per far sentire la voce di quanti sono il cuore pulsante della comunità catanese, affinché si apportino correttivi alla legge di stabilità e all’agenda del governo; per difendere non solo gli interessi generali ma soprattutto il Sud e il territorio catanese che, a partire dai più deboli e bisognosi, sta attraversando una fase molto difficile della propria storia più recente».
Sono tante le vertenze nazionali e locali aperte, e a Catania stiamo ancora sentendone il peso, con un impoverimento progressivo della zona industriale e con un calo continuo dell’occupazione stabile e della produzione. È ancora lontana l’istituzione della ZES (Zona Economica Speciale) che consentirebbe importanti investimenti nell’area; lontana è pure l’assunzione di figure professionali in sanità, che si ripercuote sulla data di apertura del San Marco e sul funzionamento di altre divisioni ospedaliere. Ecco perché doveva essere questo il momento di decisioni nette, più eque, concrete, dopo tanti anni di sacrifici enormi fatti dalle famiglie per uscire definitivamente dalla crisi.
«E anche se il reddito di cittadinanza può essere uno strumento assistenziale utile per affrontare il grave livello di povertà presente nel Paese, una cosa è certa: non creerà alcun posto di lavoro. L’occupazione per i giovani e per chi perde la sicurezza lavorativa viene solo da più investimenti privati e pubblici. Anche perché, i venti della recessione sono di nuovo alle porte in tutta Europa e anche in Italia si susseguono segnali negativi, con tante aziende che rischiano di chiudere.
«E invece abbiamo una ipoteca di ben 52 miliardi sulle tasche degli italiani per far quadrare i conti nelle prossime leggi di bilancio. Senza, inoltre, una vera riforma organica ed equa del fisco, c’è anche il rischio fondato di un aumento della pressione fiscale, in particolare a livello locale, un fatto che rischia di penalizzare i redditi già tartassati di lavoratori, pensionati e famiglie».
«Ecco perché abbiamo deciso di mobilitarci, perché solo uniti si vince questa battaglia di equità e solidarietà tra le generazioni e tra le varie aree del Paese».
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