Sino a domenica 17 febbraio sarà in scena al Brancati, “La Signora Morli, uno e due”, seconda delle due messinscena del Progetto Pirandello a cui il direttore artistico, Orazio Torrisi tiene particolarmente.
Diretta dall’attore e regista Riccardo Maria Tarci, la commedia vanta le scene di Susanna Messina, i costumi delle sorelle Rinaldi, le luci di Sergio Noè. Protagonista è l’attrice Maria Rita Sgarlato, magnifica nel ruolo di Evelina Morli. Ad affiancarla, un cast di bravissimi attori e attrici da sempre legati alle produzioni del Teatro della Città: Filippo Brazzaventre (il marito Ferrante Morli), Carlo Ferreri (l’avvocato Lello Carpani), Daniele Bruno (Aldo Morli, figlio di Evelina e Ferrante), Santo Santonocito (avvocato Giorgio Armelli, socio del Carpani), Anna Passanisi (Lucia Armelli), Tiziana Bellassai (Amelia Tuzzi, amica di Evelina) e Gianmarco Arcadipane (Ferdinando, il cameriere). Maria Enza Giannetto, addetta alla Comunicazione. Foto di Dino Stornello.
“La signora Morli, una e due” è una commedia in tre atti che Luigi Pirandello scrisse nel 1920 basando la sceneggiatura sulle novelle “La morta e la viva” (1909) e “Stefano Giogli uno e due” (1910). Venne rappresentata per la prima volta al Teatro Argentina di Roma dalla Compagnia ‘Emma Gramatica’.
Il dualismo, le maschere opportune, gli inganni ed i labirinti impropri della Legge, tutte faccende maleodoranti che Pirandello riconosceva nella società senza commentare ma azzardando che ciò che ci fa stare male spesso è ineludibile. Come gli specchi posti l’uno di fronte all’altro riflettono sempre la stessa immagine, all’infinito creando una gran confusione in chi cerca di trovare un limite, gli inganni della mente si comportano allo stesso modo. Dietro “il non m’importa”, Pirandello sa bene che si spezzettano mille difficoltà di essere liberi di agire.
La signora Evelina Morli vive un dualismo involontario, capitato suo malgrado ed improvvisamente presentatosi dopo quindici anni passati a ricostruire per sé e per il figlio una vita dalle macerie che il marito, sparendo, aveva lasciato. Il signor Morli, Peter Pan imbottito di passione ed incoscienza, pur non avendo l’intero concorso di colpa nello spiacevole incidente dell’investimento finanziario mal consigliato e sbagliato, ha con tale modo di agire, gettato nella solitudine moglie e figlio piccolo. Si può credergli quando egli, tornado, dichiara di amarla ancora? La signora Morli, nella sua ora di disperazione, era stata notata da un legale, l’avvocato Carpani al quale si era rivolta, appunto per la faccenda riguardante il marito. Austero, forse rigido, ma generoso nel voler venire a capo di una faccenda tanto dolorosa.
La spumeggiante signora Morli (Eva, la chiama il marito), dunque risolve i suoi problemi economici, ma flette la sua personalità vero la stessa austerità del compagno con cui vive da quindici anni (“more uxorio”), trovando in fondo un suo equilibrio ed una propria dimensione. Ma un giorno, l’inaspettato si presenta alla porta e sferza alla vita di Lina (come la chiama il compagno) una spiacevole sciarada: il sig. Morli è tornato e benché affermi il contrario, vuole in realtà prendersi ciò che gli spetta, moglie, figlio e la vita di un tempo. Catapultata da questi con l’inganno, per otto giorni a trascorrere una vita in cui sono stati ripristinati sfarzi, giochi, follie, si determinerà a compiere una scelta quasi impopolare come soluzione narrativa: nessun colpo di scena, la Signora Morli vuole tornare alla sua vita coll’avvocato Carpani, ma arricchita dalla consapevolezza di essere spezzata in due ed alla fine lieta della sua assertività che la svela agli occhi dell’uno e dell’altro.
Ma poiché madre (con Lello ha una bambina di sette anni), assume in sé la consapevolezza della decisione di restare nella casa che l’ha vista rinascere…”voi siete solo uomini, io sono madre…” è uno dei passaggi più belli del terzo atto.
Pirandello sopravviverà al tempo perchè parla di uomini, donne, società in modo primitivo, dando preferenza a quegli enigmi celati nelle pieghe dell’ipocrisia, della paura, della ragione. Nel 1920, quando venne scritta, come in tutti i momenti successivi in cui venne e viene rappresentata, La Signora Morli uno e due, lascia invariati il conflitto, il peso della società dato dagli stereotipi e dalla Legge che vincola i ragionamenti sino al paradossale.
Riccardo Maria Tarci firma la regia, sceglie di ambientare la vicenda ai nostri giorni, con inserimenti musicali e voce narrante fuori campo del figlio Aldo Morli. Inizio sommesso, il secondo atto è un po’ debole, ma nel terzo vengono recuperati i toni grazie, soprattutto, alla esaltante recitazione di Maria Rita Sgarlato nella scena in cui si confronta con il suo compagno, interpretato da Carlo Ferreri. Quest’ultimo possiede una mimica espressiva che lo rende adatto a qualsiasi ruolo ed in grado di passare istantaneamente dalla tragedia alla farsa. Tornando alla Sgarlato, la sua interpretazione è stata assolutamente sorprendente e mi si perdoni se aggiungo che questa è la sua commedia, nel senso che l’attrice è vicina e compenetrata nel personaggio durante i primi due atti, ma in grado di assorbirlo e farlo diventare un tutt’uno con se stessa nel terzo atto, che padroneggia con fantastica bravura.
La scorsa stagione, l’avevo ammirata in “Buonanotte, mamma”, con Alessandra Cacialli, atto unico diretto da Romano Bernardi e tratto dall’omonimo romanzo premio Pulitzer nel 1983, scritto da Marsha Norman. Entrambe di una levatura straordinaria, perfettamente in sintonia, erano riuscite a rendere e a trasmettere emozioni difficili ad un pubblico muto e rapito. Nel ruolo della Signora Morli, Maria Rita trascina nuovamente verso quote non comuni la sua abilità di eccellente attrice; i lunghissimi applausi di un pubblico letteralmemte stordito a conferma del fatto che sarebbe bastato solo l’ultimo atto per amare questa pièce teatrale.
Mi soffermo ancora una volta sugli allestimenti scenici di Susanna Messina che ho trovato sempre eleganti e pertinenti.
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