La Redazione di MetroCT, concorrendo al grande dispiacere della scomparsa di Pino Caruso, desidera ricordare il magnifico attore conterraneo, amatissimo ed apprezzato ovunque, con questo articolo, frutto di una deliziosa chiacchierata fatta col M.stro non più tardi di due anni fà…”Sit tibi terra levis…”
“Scrivere di Pino Caruso è difficile, rischioso, è come iniziare una lettera d’amore: l’amato oggetto dei propri sentimenti deve capire senza errore di sorta, quanto è importante, concreto e grande il proprio Amore. Scrivere di una persona così straordinaria è cimentarsi in una dichiarazione d’amore in tutta regola.
Un personaggio come lui, sostanzia concretamente l’assunto “non ni nasciunu chiù..!”
Nasce a Palermo, un giorno, «improvvisamente… nessuno lo aveva avvertito», da una famiglia onestissima, ma di mezzi piuttosto limitati… patisce parecchie carenze materiali, innanzitutto la libertà legata dal non potere disporre di alcune cose che la povertà non può comprare. Frequenta i cinque anni di scuola elementare (altrimenti sarebbe rimasto analfabeta chi potrebbe crederlo sentendolo parlare?) e divora libri, anche perché nella lettura trova sollievo a quella condizione di disagio economico. A casa, solo libri dei classici della Letteratura. Dopo la guerra, nell’ambito dell’organismo denominato U.S.I.S (Unites States Information Services operativo dal 1953 al 1999) gli americani aprono su tutto il territorio italiano numerose librerie dove Pino Caruso leggerà ogni sorta di libro, anche incontrando di tanto in tanto qualche difficoltà nel capire del tutto; ma per lui la cultura è come un immenso mosaico al quale lo studio aggiunge un tassello per volta favorendo la comprensione. Pino si definisce un autodidatta, ovvero “un ignorante che insegna a se stesso la propria ignoranza”. Del resto “La Vita s’impara leggendo”.
Ma Pino Caruso non sarebbe potuto diventare più grande se fosse nato in condizioni più agiate, se avesse fatto tutti gli studi scolastici ed accademici…è una tale persona che è la Grandezza stessa a dargli la caccia e a richiamarlo…parla del passato poco: in esso non c’è niente da rimpiangere. Si proietta nel futuro, molto: ha ammirazione e speranza nei riguardi nella “generazione nativa-digitale” : «il Computer non può mentire poiché è programmato per dare risposte precise a domande chiare».
Si presenta a te con eleganza e prestando ascolto: io lo intervisto, ma non riesco a non dire quelle sciocchezze a cui sarà abituato, ma per me fondate, quali «la ammiro, l’ho sempre seguita, varietà, fiction, film… l’ho amato come Maresciallo Capello e nei suoi duetti col barbone intelligente Paolo Villaggio; l’ho ritrovata come il Parroco conciliatore ne “La Matassa” di Ficarra e Picone; ho saccheggiato Youtube per vedere e rivedere i filmati che la riguardano». Io parlo e lui mi ascolte presta attenzione perché mi risponde usando le mie parole.
Pino Caruso è così: un siciliano dalla gestualità moderata, dall’espressione buona , ma ironicamente consapevole. Fisico asciutto, probabilmente anche grazie alle sue abitudini alimentari che escludono la carne per il grande amore verso gli animali; eloquio fluido che non conosce inciampi.
Talmente straordinario come attore e come uomo che riesce a mettersi all’incrocio di molte strade e ad imboccarle tutte e a percorrerle sino in fondo: teatro, televisione, cabaret, libri (“Un Uomo Comune “ che Biagi ha definito “un piccolo capolavoro”; “Il senso dell’umorismo è l’espressione più alta della serietà”; “Se si scopre che sono onesto,nessuno si fiderà più di me”; “Appartengo a una generazione che deve ancora nascere”; “Il silenzio dell’ultima notte”, poesie); pubblicità (delle arance di Sicilia si farà promotore affermando che esse sono “dolci che crescono sugli alberi”), sindacato, proteste, campagne infinite per l’osservanza dei diritti degli attori: “viene eletto Segretario a titolo gratuito del sindacato attori italiani (SAI), col quale si impegna sulla questione dei finanziamenti pubblici e per la recitazione in “presa diretta”. Durante la sua gestione, nasce l’IMAIE (Istituto per i Diritti degli Artisti Interpreti Esecutori) che, considerando gli attori come autori della propria interpretazione, li gratifica economicamente ad ogni replica TV di ogni esibizione”.
Non c’è un progetto che non sia stato portato a compimento e nel modo più spettacolare come il Festino di Santa Rosalia, di cui il Comune di Palermo gli affida la direzione artistica dal 1995 al 1997 e “a scoppio ritardato”, nel 2001 nell’ambito di “Palermo di Scena”: quattro edizioni in cui “coltivò l’ambizione di farsi mezzo per una nuova immagine della città, danneggiata da decenni di corruzione politica, cercando di cancellare il binomio Palermo-mafia, per sostituirlo con il binomio Palermo-cultura”.
Pino Caruso prese Palermo e la converti per tre giorni all’anno in quegli anni (solo quelli, ahimè) e la tradusse in un teatro a cielo aperto; non patì la collaborazione di amici e colleghi che certo non gli lesinarono il credito, ma incontrò massicce difficoltà organizzative e, figuriamoci, burocratiche; neppure una stanza come ufficio di riferimento, ma soluzioni di fortuna che di volta in volta cercava di trovare. Appuntamenti rimandati dal lunedì al venerdì e dal venerdì al lunedì di ciascuna settimana, perfettamente in stile con la supina flemma che contraddistingue il siciliano.
“Con Palermo di Scena si rese anche possibile frequentare, senza rischi, quartieri che prima erano da evitare. Alla loro bonifica contribuì l’iniziativa dei caffè concerto; sicché, la sera, a Palermo, sembrava di stare a Parigi, benché per mio conto sognassi che un giorno, stando a Parigi, si potesse dire che sembrava di stare a Palermo. Palermo di Scena diventò così un investimento finalizzato allo sviluppo del turismo e del commercio e consentì, di far conoscere a chi non li conosceva o li co¬nosceva poco e male, il balletto, la prosa, la musica classica e jazz, il grande cinema d’autore, la fotografia e, anche la scultura, la pittura, la letteratura (attraverso incontri con artisti tra i più prestigiosi del nostro tempo) e persino l’artigianato nelle sue varianti teatrali e cinematografiche”. E faceva pagare il biglietto per un prezzo simbolico di lire 1.000 per rappresentare che il teatro è fatica che va corrisposta e che comincia dal botteghino. el Gennaio del 2011, comincia con le prove al teatro stabile di Catania la tourneè che porterà in giro “Il Berretto a sonagli” di Luigi Pirandello; in ogni importante teatro italiano ed ogni replica, un tutto esaurito ed un trionfo eccezionali! Ciampa gli vive dentro e Pino Caruso lo incarna con naturalezza, conferendogli tutti i bassi ed alti toni che caratterizzano il personaggio senza caricaturizzarlo…
Claudia Provvedini giornalista critico teatrale, già redattore del Corriere della Sera, lo recensisce così: «Come se il suo “vecchio” scrivano Ciampa arrivasse da un altro pianeta, Pino Caruso ha esposto, ancora una volta nella storia del Berretto a sonagli, la teoria delle relazioni tra gli uomini. Il Ciampa di Pino Caruso (straordinario attore di una sorprendente modernità), lucido condensato di disperazione e impotenza, supera i “tic” dei pupi pirandelliani e, nella misura dei gesti impregnati di parole-pensiero, si colloca da sé fuori dallo spazio e dunque dal tempo».
Il regista e sceneggiatore siciliano Vittorio Sindoni, gli scrive «l tuo Ciampa è un’altra cosa. Una cosa bella che resterà nella storia del teatro pirandelliano e non solo…»
Fioretta Mari non ha dubbi: «Il Berretto a sonagli è stato un trionfo e la cosa non mi stupisce forse perché io sono quella che meglio conosce veramente il grande Pino Caruso».
Lo stesso anno, dismessi gli abiti di Ciampa indossa quelli del pentito di mafia “Mi chiamo Antonino Calderone” dal libro di Pino Arlacchi ed adattato per il teatro da Dacia Maraini e da Caruso stesso che ne cura anche la regia e che scriverà dell’interpretazione: «Le opere e i giorni di un mafioso e il mondo arcaico e brutale di Cosa Nostra siciliana non erano mai stati fatti rivivere a teatro con la stessa vividezza, intelligenza e profondità. Egli è riuscito a compiere un’impresa che sembrava impossibile: generare una narrativa della mafia italiana all’altezza di quella sulla delinquenza organizzata degli Stati Uniti. Mi chiamo Antonino Calderone è in grado di reggere il confronto con il capolavoro di Mario Puzo, con la serie televisiva dei “Sopranos” e con il film di Martin Scorsese “Quei bravi ragazzi”.
Come solo ogni grande attore di teatro riesce a fare, Caruso trascina lo spettatore dalla poltrona sul palcoscenico e se lo fa sedere accanto… gli racconta raccontandosi, si fa dare del “tu”…
Gli chiedo di Enzo Tortora: gli racconto che mio padre, avvocato, non credeva alla sua colpevolezza. Pino Caruso mi racconta : «È del 1984 un mio film televisivo (‘mio’ nel senso che ne ero autore, regista e interprete) prodotto dalla Terza Rete Rai e che si rifaceva al caso Tortora, alludendovi costantemente. Un libello contro le storture della giustizia di allora, dal titolo, credo indicativo, “Lei è colpevole, si fidi”.
Girai quel film mosso dall’indignazione, dalla rabbia e dall’amicizia che mi legava a Enzo. Amicizia, che, si badi bene, non mi fece velo nel valutare i fatti, bastò, e avanzò, la clamorosa evidenza di uno scriteriato e perverso procedere e (s)ragionare degli organi inquirenti, prima, e giudicanti, poi. Inspiegabile (o spiegabilissimo) procedere, che ebbe sintesi al processo, quando il Pubblico Ministero (Marmo ne era il cognome) affermò che l’imputato non aveva addotto prove della sua innocenza. Allibii. Quell’affermazione capovolgeva non solo lo spirito della legge, ma anche ogni elementare principio di diritto. Quali testimoni si possono citare che abbiano assistito a un reato mai commesso, che siano stati cioè, presenti, mentre l’accusato non lo commetteva? Che stravaganza logica era quella? E, infine, toccava forse all’imputato dimostrare la propria innocenza o non piuttosto all’accusa provarne la colpevolezza? Ma prove l’accusa non ne aveva (e non poteva averne: Tortora era innocente)».
Gli chiedo se ha in programma di venire in Sicilia e mi risponde che la Sicilia lo ha indotto ad andare via e che ironicamente non lo vuole fare tornare, dal momento che lui viaggia solo in treno o in macchina e troppe sono le ore di viaggio per giungere fino qui: treni di seconda mano, autostrade insufficienti, ponte sullo stretto rimasto un ‘utopia… mi spiega «Cara Claudia, sai Il punto in cui si dovrebbe costruire il ponte è piuttosto brutto, con il Ponte diventerebbe bellissimo. E non solo. Oltre ad avvicinarci all’Italia di almeno tre ore il Ponte sullo stretto sarebbe un’attrazione turistica fenomenale, diventerebbe una delle sette meraviglie del mondo. “Più importante del Ponte sullo stretto esistono delle priorità!”. Così hanno detto i siciliani per anni, appena qualcuno proponeva di costruire il Ponte. E fu così che, con la collaborazione dei siciliani, non si fecero né le priorità né il Ponte sullo Stretto». Io rispondo «Al solito…». E lui, con un sorriso appena accennato che mi pare di vedere, utilizzando uno delle suoi preziosi ed esatti modi di dire (“Aforismi come guizzi d’intelligenza”), mi saluta dicendomi: «Dalla Sicilia sono passati i Fenici, i Greci, gli Arabi, i Normanni, gli Aragonesi, i Borboni… prima o poi passeranno anche i Siciliani».
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