Ho incontrato Domenico Trischitta, durante la cena di compleanno di un’amica comune: mi affascina maggiormente l’idea di osservare le persone in un contesto avulso dalla formalità. Domenico Trischitta, detto “Mimmo”, è una persona simpatica, uno che ascolta, magari nella sua testa formula commenti che non esprime se non attraverso brevi espressioni del viso, quelle riconducibili al fare sornione del catanese più tipico. Osservandolo, noto che non esiste abbandono nei suoi atteggiamenti: le braccia conserte, il pugno sotto al mento, la mano sulla guancia…rilassato distacco, ascolto aperto. E’ un giornalista, in fondo, perché pur rispondendo alle domande, non si sottrae alla tentazione di osservare e magari porne a sua volta, ribaltando la chiave di volta di una conversazione. Ed è uno che non dimentica: qualsiasi frase buttata lì, viene da lui ripescata e ponderata. Sensibile, pure tanto. Altrimenti non potrebbe soffermarsi su ogni angolo della sua Catania, girovagare fra i vicoli più tristi e soli, prestare attenzione agli ultimi che li abitano; scrivere di camionisti, prostitute, “storie estreme che mi offrono la possibilità di scandagliare meglio l’animo umano”. Non potrebbe analizzare il passato tirando fuori dall’oblio Gerry Garozzo e Daniela Rocca, dare memoria a Suso Cecchi D’Amico, se non fosse uno che considera necessario ricordare, trattenere…“ogni volta che pensavo di lasciare Catania, era sempre troppo tardi…forse”. Sperare la rinascita culturale di un quartiere, quello di San Berillo, abitato e “lavorato” un tempo da artigiani, professionisti, insomma un tessuto sociale importante rimpiazzato, oggi, da povera gente che qui si rifugia o nasconde le proprie “immorali” attività.
Il giornalista a cui piace scrivere, nella cui vita il Teatro arriva quasi per caso, dopo qualche rifiuto da parte di certe case editrici che lo lasciano con un “bello, interessante, ma non rispondente, in questo momento, alla nostra linea editoriale”, decide umilmente per sei anni di lasciar perdere, fin quando, una notte insonne gli suggerisce di raccontare delle storie; e non si ferma più. Del resto, Giuseppe Pontiggia (1934 – 2003) – indimenticato scrittore comasco de “Nati due volte” (2000), da cui è stato tratto il film “Le chiavi di casa” con Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling ed Andrea Rossi – che Trischitta considera il suo “mentore”, oltre che un caro amico, invece lo sprona, per fortuna, a continuare a farsi sedurre “dall’affabulazione della scrittura”. E Pontiggia, a sua volta era stato sostenuto ed indirizzato da Elio Vittorini!
Nel 1995, è l’aiuto regista nel lavoro “Socrate impazzito”, scritto da Manlio Sgalambro e diretto da Franco Battiato; nel 1999, scrive per Guia Jelo “Sabbie mobili” che verrà allestito al Quirino di Roma: è il suo primo lavoro come autore. Seguiranno “Autunno a Puteaux” che in seguito diventerà “Bellini a Puteaux”, alla cui interpretazione si alterneranno Paolo Briguglia, Donatella Finocchiaro, Ornella Cerro e Piermarco Venditti. Alla Sala Magma, sarà la volta di “Notte a Catania”, interpretato dal figlio di Salvatore Quasimodo, Alessandro; “La Vendetta del Gattopardo” al Canovaccio; ha scritto la confessione “Della pornostar” per Walter Manfrè. Ha pubblicato il saggio “Francesco. Percorsi cinematografici“, con un’intervista inedita a Liliana Cavani (Boemi Editore, 1996); il racconto “Daniela Rocca, il miraggio in celluloide“, con la postfazione di Manlio Sgalambro (Boemi Editore, 1999). Di questo libro sono stati acquistati i diritti cinematografici da Mediaset.; “Una raggiante Catania“, 2008 con la postfazione di Tommaso Labranca (edizioni “Excelsior 1881, Milano), vincitore del Premio Martoglio 2009; “1999” raccolta di racconti (2013) Garufi edizioni, con prefazione di Giuseppe Manfridi e postfazione di Manlio Sgalambro; “Glam City”, romanzo (2014 Avagliano editore); “L’Oro di San Berillo”, 2015 (Algra editore) “Le lunghe notti”, 2016 raccolta di racconti, Avagliano editore) con nota critica di Giuseppe Pontiggia. Nel 2011, partecipa al documentario “Sicilia di sabbia” di Massimiliano Perrotta, raccontando la Catania del vecchio quartiere San Berillo.
Domenico Trischitta, pendolare dal mare alle Alpi…scelta solo professionale?
Sì, è una scelta solo professionale ma anche una scoperta. Il Canavese, la terra di Guido Gozzano, mi affascina sempre di più, a un passo dalla valle d’Aosta e vicino a Torino, città elegantissima.
Giornalista, scrittore e autore: in quale veste lei si sente più a suo agio?
Preferisco autore, perché posso esserlo anche della mia vita. E nella mia esistenza ci sono anche la letteratura, il teatro e il giornalismo.
Cosa cerca nei personaggi, quando li intervista? Cosa cerca nei personaggi quando “li” scrive?
Nei personaggi che intervisto non cerco nulla, presto solo ascolto e memoria; quelli che scrivo mi cercano, mi ossessionano e si placano fin quando li scrivo.
Parecchio spazio in ciò che scrive è dedicato alle donne: che siano esse famose come Suso Cecchi D’Amico e Daniela Rocca, oppure anonime, come le prostitute di San Berillo a Catania…qual è il suo intimo sentire verso l’universo femminile?
Uno dei complimenti più belli che mi fece una mia amica fu quello di dirmi che avevo una sensibilità femminile: io ammiro le donne, le stimo e le tratto con rispetto, sia che siano amiche, come lo è stato la grande sceneggiatrice italiana, Suso Cecchi D’Amico, sia nel caso di personaggi come Daniela Rocca.
Fra quelli che ha scritto, a quale personaggio è maggiormente legato? E a quale, magari, ma non necessariamente, apporrebbe delle modifiche?
Ho amato molto il “mio” Bellini a Puteaux, ma anche Daniela Rocca, Turi, il protagonista di “Una raggiante Catania” e il Gerry Garozzo di “Glam city”. Non li cambierei, mi piacciono così come sono.
Quando scrive per il teatro, come capitava a Pirandello, Martoglio, scrive per un attore in particolare?
Mi è capitato solo una volta, quando scrissi il dramma “Sabbie mobili”, scritto su misura per Guia Jelo, interprete memorabile di Daniela Rocca.
“Glam City”, pubblicato nel 2014, grandissimo successo teatrale scritto da lei, diretto magistralmente da Nicola Alberto Orofino ed interpretato da Silvio Laviano, è nuovamente in giro: ce lo vorrebbe raccontare lei, l’autore, “Gerry Garozzo”? Silvio Laviano è straordinario in questo ruolo…
Gerry Garozzo è stato un personaggio realmente esistito nella Catania degli anni Settanta, io l’ho tolto dall’oblio e ne ho fatto un personaggio da romanzo, un ragazzo diverso che attraverso la musica e la libertà vuole fare la rivoluzione in città, in quegli anni, buia e violenta. Laviano e Orofino mi hanno proposto di portarlo in scena, utilizzando cinque parti monologanti del mio romanzo, che riassumevano la vita del protagonista. Poi dalla scrittura alla scena, Orofino e Laviano hanno creato un gioiello che da due anni va in scena: Catania, Napoli, Genova, Agrigento e dalla prossima settimana Palermo, Pisa e Siracusa.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Ho un romanzo inedito da pubblicare, ma non ho fretta. E’ il mio lavoro più intimo, più coraggioso. La scrittura mi interessa sempre meno, o almeno nelle forme tradizionali che ormai non comunicano più niente a nessuno.
Se lei fosse nato in un’altra epoca, quale personaggio avrebbe voluto essere?
Sempre me stesso, non ho mai pensato di essere un altro, anche se devo riconoscere che la tentazione l’ho avuta quando scoprii Lucio Battisti.
Cane o Gatto?
Gatto, soprattutto una, Fifì! A lei mi ha legato un grande amore…
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