Penultimo appuntamento per la stagione Palco Off, scandita da una sequenza di brillanti lavori e di acclamati consensi.
Francesca Vitale e Renato Lombardo hanno invitato Mattia Fabris a Catania, col monologo “OPEN” tratto dall’omonimo libro e di cui l’attore ha interamente curato il progetto e la regia con la produzione “ATIR TEATRO RINGHIERA” di Milano. Accompagnato alla chitarra dal musicista jazz, Massimo Betti (diplomato al Conservatorio musicale Giuseppe Verdi di Como). Comunicazione curata da Stefania Bonanno.
Mattia Fabris studia all’ “Accademia d’Arte Drammatica Paolo Grassi” dove conseguirà il diploma nel 1996. La sua “gavetta” teatrale si attuerà con attori del calibro di Gigi Dall’Aglio (“Terrore e miseria del Terzo Reich” – 1996), Gabriele Vacis (“La rosa tatuata” – 1997 e “Vocazione” – 2004) Bob Wilson – 1997, Cristina Pezzoli (La fine di Shawuot 2008-2009). L’anno successivo al diploma, decide di diventare socio sostenitore della Compagnia Teatrale ATIR prendendo parte come attore a spettacoli classici quali: “Romeo e Giulietta” di W.Shakespeare, “Baccanti” da Euripide, e contemporanei quali “Un Cammello in una grondaia” tratto da “Lettere di condannati a morte della Resistenza Europea” di Malvezzi e Pirelli.
Non pratica l’alpinismo (lo pratica il fratello), ma nel 2015, ha scritto “(S)legati”, ispirato ad una vera complessa storia della dura legge della sopravvivenza, avvenuta sulle Alpi peruviane nel 1985. Non gioca a tennis, ma leggendo il libro scritto da Agassì, rimane incuriosito dalle chiavi psicologiche che sorreggono prevalentemente la narrativa; rapporto attraverso cui vengono infine ad esprimersi tutte le spiegazioni di una vita di incubi infantili, complessi adolescienziali e difficoltà di adattarsi in campo e fuori da esso. OPEN lo seduce letteralmente perchè al di là di ciò che emerge, scopre che la vita di uno sportivo è assai più complessa di quello che appare e che non si tratta solo di soldi, donne e fortuna, bensì e soprattutto di adolescenze ed infanzie violate, psiche turbate e disadattate per lunghi stagioni.
I tennisti di successo, nell’immaginario collettivo dell’utenza media, appaiono come eroi privilegiati, mezzi uomini e mezzi racchette: circondati dal lusso e dal potere; figure mitologiche che hanno accesso ad ogni irrangiungibile gratificazione. E quando questi eroi inciampano in una sconfitta sul campo e/o nella vita privata, fanno poco a cadere dal piedistallo perchè la comunità fanatica ed ignorante non ammette errori. Ma sappiamo veramente cosa c’è dietro la concentrazione di Agassi, tennista dalla tecnica singolare, ovvero di anticipare il colpo alla palla mentre sale, dopo il rimbalzo, per ridurre il tempo tra un colpo e l’altro al fine di sorprendere l’avversario?
Andre aveva due anni quando il padre (pugile iraniano, abbrutito dalle difficoltà della sua terra e poi dalle delusioni sportive) gli mise nelle minute mani sorrette da minuti polsi una racchetta. A casa sua, un campo per allenarsi su cui capeggiava gigantesco, incombente “il drago sputa palle”, che all’Andre bambino sembrava dovesse fagocitarlo. Palle sparate e raccattate e poi sparate ancora…tutto il giorno, senza riposo, contro l’inclemenza del genitore. Una volta soltanto, forse due, Andre ebbe il permesso dalla mamma di andare a giocare a calcio: quel guardarsi intorno e trovarsi ad incrociare altri sguardi che emanavano intesa, spirito di squadra, quel misurarsi nella moltitudine del gruppo lo emozionavano e non lo facevano sentire solo; certo, gli piaceva, fin tanto che fra gli sguardi un giorno incrociò quello inbufalito del padre che da lì in poi non gli permise più di “farsi male su un campo di calcio!”. Odio e rassegnazione: dei quattro figli, solo lui era riuscito ad esprimere attitudine per il tennis. Ma lui odiava il tennis!
Quando lo sport diventa lavoro, c’è solo il vantaggio teorico di fare qualcosa che piace, ma se ci si sofferma sulle storie di ciascun campione, si comprende il grandissimo disagio mentale di persone alle quali sono state saccheggiate l’infanzia e l’adolescenza di quei contenuti necessari e contingenti: Agassi, le Williams, ad esempio. A livello fisico, ma soprattutto mentale gli effetti sono devastanti, specie perché si tratta di uno sport individuale che ha una percezione degli spazi e della scopertura dilatata rispetto agli sport di squadra in cui, il disagio episodico del singolo può essere camuffato e sopperito dagli altri membri che fanno gruppo e possono riuscire a portare a casa la vittoria, comunque. Il tennista è solo: a volte vince, ma spesso si confronta con la sconfitta, anche se è uno dei più grandi al mondo, il risultato di una prestazione, soprattutto quando si conclude in un trionfo, è soltanto la parte finale, l’imbuto in cui conclude una vita d’impegno, abbrutimento e sacrificio.
Il tennis, al contrario degli sport di formazione, è tutto concentrato sulle proprie capacità e sulla propria concentrazione in campo che deve durare per tutto il tempo di una partita che non è a tempo. Andre Agassi è l’unico tennista maschio ad aver vinto tutti e quattro i tornei dello Slam, il Tennis Masters Cup, la Coppa Davis e la medaglia d’oro in singolare ai Giochi Olimpici; ha inoltre detenuto il primato più duraturo di Numero Uno al mondo fino al 18 febbraio 2018, giorno in cui viene superato da Roger Federer.
Chiacchierando con un amico che ai tempi del liceo praticava il tennis a livello agonistico e confrontandomi con lui sulla lettura di OPEN, ho scoperto con grande meraviglia che Freud era stato un grande appassionato di tennis che utilizzava come analisi di terapie specifiche attinenti al comportamento, ma non si sa se lo praticasse come sport. Il legame fra Freud ed il Tennis è stato portato alla luce soltanto nel 1980, in occasione dell’acquisto di un baule di sua proprietà, da parte di un medico specializzato in Psichiatria e Psicoterapia – certo Dott. Saretsky – ad un’asta dei cimeli di Sotheby’s. Ben conservati al suo interno, vi erano ottanta scritti, risalenti al 1938 e da cui chiaramente emerge lo scrupoloso studio-analisi condotto da Freud su questo sport, appunto. In tale manoscritto Freud scrive che …“Tutte le conquiste culturali di cui l’uomo va tanto fiero, tutti i suoi valori spirituali sono semplici sublimazioni delle pulsioni istintuali elementari di cui il sesso e il tennis sono le più fondamentali“, e continua annotando … “Nessuno sa che sono sempre più deluso dal sesso e che quando vado scrivendo della sessualità umana è una falsa pista destinata a distrarre l’attenzione del mondo dalla mia teoria dell’Istinto Tennistico… La grande libido del tennis finirà col togliere alla pulsione sessuale il potere che esercita sulla psiche umana”. Uno scoop, praticamente!
Ritornando allo spettacolo di Mattia Fabris, la chitarra dalle metalliche melodie commenta il monologo tutto d’un fiato. L’impresa in cui si caccia l’attore non è compito facile, essendo questo un monologo assai impegnativo e con caratteristiche ascendenti e discendenti di cui è permeata la vita dello sportivo e che ricopiano i medesimi ritmi di un match tennistico. Ma Fabris ce la fa: è bambino, adolescente, dissociato, brillo e redivivo, avvilito dal mal di schiena. La sua fronte è tracciata dalle medesime rughe che piagano la vita di Agassi per un certo periodo, (dal matrimonio non sereno con l’attrice Brooke Shields all’unione di maggiore intesa con la campionessa di tennis Steffi Graf), intervallo nel corso del quale, Agassi si prosciuga di tutte le sue energie per riacquistarle, risorgendo il grande fuori classe che rifiutava di indossare il completo bianco, obbligatorio in certe competizioni.
Bello, molto bello questo giovane attore, è però tanto bravo da riuscire a distogliere l’attenzione estetica per concentrarla sulla performance. A mio avviso, la parte della lettura per raccontare la partita dell’US OPEN (2006) è ben fatta, anzi brillante e piena di tensione; tensione che però non avrei interrotto ad ogni paragrafo con il deja vù della grande sbronia presa a “colpi” di bottiglie birra con un collega tennista, sebbene, anche qui, è evidente la capacità di distogliersi dalla lettura per dare agio alla recitazione senza perire crolli nel cambio di stile. Modesto e serio, Mattia Fabris ama le sfide e ama coglierne gli aspetti psicologici, senza essere egli stesso psicologo ma offrendo al pubblico la possibilità di farsi un’idea. Un’idea di un altro Teatro.
“Il tennis è uno sport così maledettamente solitario. Soltanto i pugili possono capire la solitudine dei tennisti… Nel tennis sei faccia a faccia con il nemico, scambi colpi con lui, ma non lo tocchi mai, né parli a lui o a qualcun altro. Non c’è un posto dove nascondersi quando le cose vanno male. Niente panchina, niente bordo campo, nessun angolo neutrale. Ci sei solo tu, nudo.” Andre Agassi, da OPEN.
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