Con l’abito di scena, a sipario chiuso, Alessandro si presenta, salutando il pubblico, affermandosi orgoglioso come lo era sua padre, di portare in scena i suoi lavori, contando solo ed unicamente sul botteghino: << Chi è venuto a vedere mio padre Gilberto in teatro almeno una volta, al 99% lo avrà certamente visto in “U sapiti com’è“, commedia drammatica alla quale era affezionato: aveva cominciato ad interpretarla nel 1971 in un teatro parrocchiale nella zona della Piazza San Francesco a Catania. L’allestimento che vedete è quello originale del 1989, e ha girato il mondo, tutti i continenti. E se l’allestimento scenico è lo stesso, e gli attori sono in parte cambiati, la parrucca, quella che io indosserò è la stessa con la quale mio padre ha interpretato Cola in oltre duemilaottocento repliche. E lo ha fatto da uomo libero, insegnando a me a fare lo stesso e per questo, ringrazio tutti gli spettatori che mi permettono di esserlo a mia volta.>>
“U sapiti com’è” è come una dedica, con una premessa romantica, quella della parrucca indossata da Gilberto per interpretare Cola, u figghiu babbu, la creatura candita, un adulto con i pensieri di un bambino, che c’è chi gli vuole bene e chi lo prende in giro. Un ragazzone innocuo, in camicia e braghe di tela che segue ragionamenti a suo modo logici…”Iu, se u’ Signuri mi chiama, non ci arrispunnu! Ci dicu ca’ aiu a chì fari!”
In platea ed in tribuna, scorrendo verso l’uscita del Teatro Metropolitan, gli spettatori mormorano e di rimbalzo fra una fila ed un altra, fra un capannello di gente ed un altro, si sente “ma tu lo hai visto con suo padre?…ricordi? Ci pensi? C’eri?” Purtroppo, io no, ma la buona parte del pubblico ha goduto la gioia di vedere Gilberto Idonea interpretare il personaggio di Cola e – desidero fare un paragone al contrario, certa che Gilberto non se la prenderà – bene come suo figlio Alessandro.
Nel caso dei figli d’arte, la parentela può diventare un nodo scorsoio: se non stai attento, ti ci puoi pure strozzare, soprattutto se il padre è stato tanto grande. Ma Alessandro, credo sappia bene come camminare su terreni un po’ ostici, per una sola ragione: come Eduardo Saitta col padre Salvo, questi giovani sono stati sottoposti ad una gavetta che ha fatto di loro artisti completi. La facilità di trovarsi sul palcoscenico perché già ci si trovavano e si trovano i genitori, è stata complicata per insegnare che nel mondo della recitazione non si vive di rendita e Eduardo Saitta ed Alessandro Idonea (per parlare di persone che conosciamo bene) hanno cominciato dai problemi, dalla fatica, dai lavoretti; nel senso che è stato loro insegnato a fare i conti con le eventuali occorrenze di bassa frequenza che la popolarità può incontrare e conoscere ogni singolo meccanismo. Insomma, il figlio d’arte non si deve gloriare del privilegio di “casta”. Alessandro ed Eduardo hanno, nella fattispecie, maturato una propria professionalità che certamente è stata guidata dalla scuola dei padri ma che è avulsa dalla protezione degli stessi. E con questa formula sono avvenute la maturazione e la conquista dell’Arte.
Dunque, la definizione della performance di Alessandro nel personaggio di Cola ne “U sapiti com’è” è esattamente quella vociferata coralmente dal pubblico di frequentazione teatrale più datata e si racchiude in: “Ma è stato proprio bravo!”. La particella avversativa non presuppone alcun dubbio, bensì marca lo stupore perché, come un artigiano non riuscirà mai a realizzare due oggetti uguali anche se ugualmente preziosi, è quasi impossibile che due attori, sebbene parenti, possano riuscire a fare lo stesso personaggio connotandolo delle stesse valenze emotive. Alessandro come un artigiano ci è riuscito, ottenendo un prodotto differente e di valore, conferendogli gli stessi accenti e le stesse palpitazioni presenti nella statura recitativa del padre Gilberto.
Scritta nel 1910 dalla scrittrice palermitana Francesca Sabato Agnetta, “U sapiti com’è” è la storia di Cola (Alessandro Idonea), giovane ritardato, figlio di una povera saggia donna dai modi amorevoli, Za’ Gatì (Angela Sapienza) affaticata dal lavoro di una vita che le ha reso cagionevole la salute. Cola ha un fratello, Gaetano (Bruno Torrisi), affascinante e desiderato dalle donne, un po’ fumantino, che nutre una passione sviscerata nei confronti di Vennira (Chiara Barbagallo) che vorrebbe sposare ma l’anziana madre non approva perché è vedova; dunque, sposerà Mara (Loredana Marino) mantenendo Vennira come amante ed il matrimonio con la povera ragazza sarà un susseguirsi di liti e di scontri con grande rammarico della zia della infelice sposa, Za’ Nina (Nellina Fichera). Cola, anche se qualche volta deriso, è il beniamino della comunità: gioca con i bambini e presta aiuto in qualche lavoretto, come alla putia da’ Za’ Pidda (Giovanna Criscuolo); in fondo, tutti gli vogliono bene, ma particolarmente legata a lui in modo teneramente fraterno è Sisidda (Manuela Ventura) che lo difende e protegge quando occorre. Nel momento del dolore per la perdita della mamma, Cola riceverà da tutti dolcezza e comprensione.
Francesca Sabato Agnetta, (letterata, giornalista ed autrice palermitana, 1877-1943) scrisse questa vicenda per e su suggerimento di Angelo Musco che aveva fra i suoi un amico disabile che la famiglia tendeva a tenere in disparte. L’imbarazzo verso i portatori di abilità diverse un tempo era assai pronunciato, banalmente, ma purtroppo si trattava di un atteggiamento diffuso. La predilezione della scrittrice palermitana per il romanzo naturalista francese, unitamente ad una forte sensibilità personale, la indussero a scrivere una storia ironicamente impregnata di tristezza, nella quale è intensamente sottolineata l’angoscia di una madre che lascerà solo un figlio mai cresciuto, vulnerabile e potenzialmente destinato a soffrire, venendo meno la protezione del genitore. La caducità tipica del Verismo giungerà a soluzione di un destino incerto…
Scritto da una donna, escludendo per un momento Cola che con il suo mondo infantile costituisce il perno drammatico della vicenda, viene dipinta una realtà di comunione contadina, di collettività unita dalle vicende che riguardano ciascuno. Tristemente evidente l’assenza, oggi, dell’elemento comunitario, estranei come siamo ai contesti strettamente familiari e sociali, sempre di più spinti verso il conseguimento di un individualismo ipertrofico. Quella descritta dalla Sabato Agnetta nel 1910, è una società guidata dal pensiero femminile che è saggezza, a cui i più giovani prestano ascolto ed i figli rispetto (Za’ Gatì); che è lavoro in casa (Mara e Za’ Nina), nelle attività commerciali (Za’Pidda), ribellione alla prepotenza maschile (Vennira); tutte donne che in ogni caso tutelano la famiglia, assecondandone la struttura per come era necessario a quell’epoca, senza far venire meno i propri principi. Senza trascendere nel delirio femminista, la scrittrice parla semplicemente di come andavano le cose nelle comunità coloniche, in cui ciascuno aveva la propria parte, senza che alcuno perdesse la propria dignità. La comunità presupponeva che un fatto personale non lo restasse per molto tempo, perché immediatamente estratto dall’oblio dal primo che lo veniva a sapere. Ma se si poteva tramare alle spalle, ci si prestava anche per trovare tutti la soluzione al problema di uno.
Storia vera, dunque; storia di grande attualità che colpisce lo spettatore sotto prospettive diverse: il ricordo va a Gilberto, indiscusso grande attore, certamente erede di Angelo Musco, che dietro la sua maschera di attore brillante è riuscito ad incarnare l’ironia, la drammaticità, la severità del romanzo popolare siciliano, quello che non si riconduce alla risata o al pianto per una tradizionale alternanza fra comicità e tragedia, ma quello che spiega il “come eravamo”, veramente!
L’esame di Alessandro, se così possiamo dire, è superato a pieni voti avendo portato nell’interpretazione di Cola lo studio e la fatica dell’arte della recitazione che gli è stata trasferita ed insegnata dal padre, ma che è stata resa per mezzo di una bravura alla quale Alessandro è giunto per meriti esclusivamente personali.
La presenza di attori del calibro di Giovanna Criscuolo che ha conferito al personaggio di Za’ Pidda infinite sfumature dando vita sul palcoscenico a momenti di elevata comicità – chiamando con la sua bravura continuamente l’applauso – come quello della “fattura” insieme a Nellina Fichera (Za’Nina); del fascino di Bruno Torrisi, bravo, bravissimo, serio e misurato nelle vesti del maschio sano della famiglia, infelicemente maritato a Mara in costanza di relazione con Vennira; Manuela Ventura che presta se stessa a tutti i personaggi che interpreta, fornendoli di un nuovo valore aggiunto, in questo caso il suo innato candore al ruolo di Sisidda, amica di Cola, comprensiva ma con grande rispetto. Tutti, assolutamente bravi e funzionali, ed indispensabili al fine dell’eccellenza del risultato. Ammettiamolo pure: vedere Giovanna Criscuolo, Manuela Ventura, Nellina Fichera, Bruno Torrisi sul palcoscenico della propria città, è una gioia che si legge come una manifestazione di amore e fedeltà nei confronti delle proprie origini.
Senza alcuna ipocrisia, non va nascosto l’atteggiamento di alcuni attori italiani di scegliere il teatro come piano “b” in momenti di bassa. Non voglio fare nomi, ma si vede che alcuni non posseggono la preparazione per calcare il palcoscenico, come anche alcuni registi cinematografici; il teatro è fatica ed intraprendenza che alcuni non possono avere e vantare solo perché hanno brillato di un qualche luce che non so come possa accadere! Quello che voglio dire è che leggere sulla locandina di uno spettacolo catanese tanti bei nomi è davvero una gioia. Ed il pubblico ricambia. Ecco che, come diceva Gilberto e come perpetra Alessandro, quando c’è lo studio alla ricerca della bravura, non occorre richiedere contributi pubblici: basta invogliare la gente a spegnere il televisore e andare ad occupare una poltrona in teatro piuttosto che il divano a casa propria. Mi si permetta anche un ragionamento inverso: quanti registi, produttori, autori, fanno il giro delle rassegne, delle stagioni per curiosare, per valutare gli attori, per fare “casting”? Non sempre una compagnia può permettersi di sostenere le spese per andare ai festival o per iscrivere qualche lavoro ai concorsi! Eppure, le delusioni rispetto alle aspettative, a Catania e dintorni, sono assai poche perché in giro ci sono tante belle idee, molti lavori interessanti ed attori, registi con qualità indiscutibili!
“U sapiti com’è”, Commedia in tre atti di Francesca Sabato Agnetta
Regia Gilberto Idonea ripresa da Alessandro Idonea
Scene Salvo Tropea
Costumi Claudia Mollica
Luci Francesco Noè
Direttore di scena Aureliano Idonea
Attrezzista Gioele Aveni
Foto di Gatto Pino Ph e Dino Stornello
Comunicazione a cura di Lavinia D’Agostino
Con Angela Sapienza (Za’ Gatì), Alessandro Idonea (Cola), Manuela Ventura (Sisidda), Giovanna Criscuolo (Za’ Pidda), Nellina Fichera (Za’ Nina), Manuela Cordovana (Tinidda), Bruno Torrisi (Gaetano), Loredana Marino (Mara), Enrico Pappalardo (Filippo), Pietro Privitera (Jano), Giovanni Rizzuti (Liddu), Chiara Barbagallo (Vennira), Nino Signorello (Avvocato).
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