“Pura magia, questo è l’Ursino Buskers Festival!” – dice Stefania Bonanno, una delle organizzatrici dell’evento – “Il Festival Internazionale delle Arti di Strada di Catania che dal 2014 chiama a raccolta centinaia di artisti provenienti da tutto il mondo
per tre giorni di arti e magia tra le strade e le piazze del cuore medioevale etneo: 15.000 metri quadri di centro storico pedonalizzati, 8 aree spettacolo, 50 spettacoli gratuiti al giorno e una grande parata per le strade della città. Work shop e laboratori per bambini; palcoscenici a cielo aperto: Piazza Magazzini, Piazza Maravigna, via Transito, Ponte San Calogero e Piazza dei Libri. Sono questi i luoghi dove si alterneranno – dal 20 al 22 settembre, in prossimità dell’equinozio d’Autunno – tutti gli artisti e gli spettacoli del Festival Ursino Buskers con un sovrintendente d’eccezione: il Castello Ursino con i suoi quasi ottocento anni di storia.”
“Novità assoluta” – aggiunge Francesca Aiesi dell’Associazione Gammazita – “la collaborazione con l’AMT (Azienda Municipale Trasporti) che ha attivato una linea speciale, la 504N, fra il parcheggio R1, in via Plebiscito, e il luogo dove si alterneranno gli spettacoli di strada attorno al Castello Ursino.Un modo, concreto, per evitare il caos della ricerca di parcheggio intorno al Castello”.
Per tre giorni, dalla luce al buio, fra le stradine che nascondono inconsueti scenari, fuoco, musica, acrobazie, trampoli, buffi cappelli, abiti larghi e colorati, facce truccate mai tanto vere; bancarelle sulle quali ciascuno espone la propria arte, quella che sa fare; un tavolino per la lettura dei tarocchi, uno spazio per allegri ballerini di swing. Tanto fumo: Catania è anche “arrusti e mangia” a cielo aperto; centinaia di bicchieri di birra “kilometro zero”, spillata in parecchi casotti in cui sono stati utilizzati bicchieri e cannucce in mais, facilmente degradabili. Tanta gente: tutti in giro con gli occhi sgranati, il sorriso fisso non essendoci il tempo di perderlo: è tutto uno stupore, una meraviglia, uno scambio d’età. L’unica differenza fra grandi e piccini è che i primi per pudore stanno fermi e seduti durante gli spettacoli, ma il divertimento ha la stessa frequenza.
L’Ursino Buskers è uno straordinario contenitore di arti e di artisti, eccellenti nel proprio lavoro: non si può che provare ammirazione per la fede con cui queste persone scelgono di esibirsi per strada, senza garanzie di stabilità meteorologica ed economica. Eppure, il più impreparato ha frequentato un’accademia di recitazione, sa suonare uno strumento musicale ed ha girato mezzo mondo.
Uno fra questi, il cui curriculum lascia sbigottiti, è Filippo Velardita: laureato con lode in Lettere Moderne all’Università di Catania con la tesi “Teatro e comunicazione da William Shakespeare a Peter Brook”; Master in Arti Sceniche all’Università Rey Juan Carlos di Madrid con la tesi “L’attore e la maschera; Storia e analisi della maschera dal teatro al cinema.”
Ha studiato Improvvisazione; si è specializzato in Commedia dell’Arte e completato con lo studio delle Maschere Teatrali; ha studiato canto Jazz con Rosalba Bentivoglio. Dal 1999 alterna il teatro di prosa e il teatro di strada. Ha partecipato a festival, convention e spettacoli in Italia, Spagna, USA. Ha lavorato con Gilbert Deflo, Filippo Crivelli, Romano Bernardi, Pietro Garinei, Pier Francesco Maestrini, Roberto Laganà, Lamberto Puggelli, Paolo Rossi, Karol Wisniewsky; diretto per il Teatro Alcázar di Madrid “Sogno di una notte di mezza estate” di W. Shakespeare e “I burattini di legno” di F. G. Lorca. Collabora come attore, regista e docente presso varie compagnie in Italia e Spagna.
Infine, ha insegnato Maschere Teatrali, Commedia dell’Arte, Espressione Corporea, Improvvisazione, Clown e Arti Circensi negli Stati Uniti (Boston University), Spagna (Universidad Nebrija, Universidad Europea, Universidad TAI), Italia (Università di Catania).
Filippo Velardita, nome gentile e musicale che farebbe pensare ad un poeta: lei come si definirebbe, in realtà?
Qualche estate fa, durante un festival di teatro, mi ritrovai a parlare con un araldico; scoprii che l’origine del mio cognome -Velardita/Vela-Ardita- (come Ventimiglia/Venti-Miglia) risale al periodo storico delle Repubbliche Marinare. Quella stessa sera, uscendo dal camerino, una bambina venne a salutarmi e vedendomi senza cappello (quindi calvo), guardando i miei tatuaggi colorati sapientemente occultati dai vestiti di scena e gli orecchini rigorosamente tolti prima dell’inizio dello spettacolo, mi disse: ma allora tu sei un pirata? Non saprei definirmi, sono ancora artisticamente inquieto. Continuo a navigare fra recitazione, regia, docenza, scrittura, musica, giocoleria e arte di strada, alle volte per scelta, spesso per via di tempeste e mareggiate. Poco importa marinaio, poeta o pirata, importante è restare a galla e mantenere la rotta.
Cos’è Gammazita? Perché l’Ursino Buskers?
Gammazita è un Progetto, una Grande Utopia trasformatasi in una Concreta Realtà. Ursino Buskers, in una città come Catania, è un “Sogno”, meglio… un “Desiderio”. I ragazzi e le ragazze di Gammazita sono la conferma (da 6 edizioni) che i desideri non si avverano guardando il cielo, ma smazzandosi di lavoro. Chapeau.
L’Arte non ha confini”… cosa vuol dire?
Nel 2009 mi chiamarono dalla facoltà di Arti Sceniche della Boston University per tenere una serie di lezioni sul personaggio dello “Zanni” nella Commedia dell’Arte. Sulla porta della sala dove avrei svolto la lezione c’era un cartello con la scritta: – The “Earth” without “Art” is just “Eh” – L’arte è palestra per il cuore, il corpo, ma soprattutto per il cervello. Chi gioca sul termine “confini” elevandolo a slogan politico e alibi per ogni tipo di nefandezza umana, lo fa perché a permetterglielo sono i “confini” del nostro cervello. Se non lottiamo noi, in primis, con gli stretti confini del nostro cervello e del nostro Ego ubriaco, dopo non dovremmo permetterci di dire nemmeno: “Eh” … L’Arte cerca di spostare di un millimetro alla volta quei confini.
Il suo curriculum lascia senza parole…
Non credo nel destino, credo nelle scelte. Esistono le coincidenze, alcune di queste sono vere e proprie scintille che possono costringerti a fare scelte altrimenti impensabili. E in una concatenazione di cause ed effetti, mi sono ritrovato prima in Nord Italia, poi negli Stati Uniti, poi per una decina d’anni a Madrid; ho avuto la fortuna di conoscere, studiare e lavorare con maestri del Teatro e del Circo che mai avrei pensato di poter scrivere nel mio curriculum: Antonio Fava, Hernán Gené, Gabriel Chame, Vasily Protsenko… Ogni qualvolta mando un CV spero di non farli sfigurare.
Artista di strada: perché?
Volevo studiare Recitazione e Giocoleria, ma non avevo i soldi per fermarmi per tre anni e studiare in un’Accademia di Teatro o di Circo. Dovevo lavorare e finire l’Università. L’arte di strada mi ha regalato la libertà: lavoravo, guadagnavo e viaggiavo per frequentare i laboratori e i workshop; ritagliavo il tempo per i libri, tornare a Catania, dare un esame e ripartire. La strada mi ha dato la possibilità di provare e di presentare davanti a un pubblico le cose che imparavo, e non avevo tempo per “paranoie artistiche”: il pubblico è la quintessenza del Teatro, se quello che fai lo fai bene, il pubblico risponde. Se lo fai male, la strada sa essere cattiva… E poi, fare l’artista non è solo ricevere monete nel cappello: ci sono situazioni, bambini, personaggi che ho incontrato in, ormai, 20 anni di Strada, che ti danno quella (vera) ricchezza che ti aiuta, nonostante tutto, a non mollare.
Si sceglie il mestiere dell’attore perché si ha bisogno di esserci sempre, in qualche modo, per dire qualcosa?
Non credo nel ruolo dell’attore “sciamanico” portatore di una qualche verità. Almeno io, non ho verità da offrire. Faccio l’attore perché mi piace raccontare storie, inventarle, mettergli dentro le clavette e le palline di cristallo, le maschere, i trampoli, dare vita ai miei personaggi. Faccio l’attore, provo a fare bene il mio mestiere. Cerco di mantenere una ferrea distanza tra i meandri del pensiero personale, l’Ego, le insoddisfazioni, le presunzioni intellettuali, e le mie creazioni artistiche. E’ una tendenza diffusa quella di instaurare fra palcoscenico e platea un rapporto simile a quello tra analista e analizzato. Il rapporto che cerco di creare con il mio pubblico non è di tipo psicologico, non ho studiato in quel senso, non saprei farlo. Non voglio dire o, peggio, insegnare, niente al mio pubblico. Penso al pubblico come l’invitato ad un rito, che essendo di gruppo diventa una festa, l’attore muove le danze e prende forma il suo spettacolo. Il teatro è ludico, è fisico, e rituale. Le cose non vanno dette, vanno fatte.
Lei è un tipo riservato, a cui ad un certo momento occorre estraniarsi dalla moltitudine, oppure riesce a filtrare e gestire sempre e comunque?
Ricorda cosa dicevo sulle “coincidenze” e sulle “scintille”? Alcune ti muovono da una parte, altre ti costringono a cambiare la rotta. Dopo 10 anni, 3 continenti, 2 valigie e un numero incalcolabile di stanze e traslochi, la vita ti ricorda che non esiste solo l’arte. Da qualche anno la nave è approdata nuovamente in Sicilia, in un paesino di mare, di quelli che in inverno siamo 50 e il caffè te lo pago domani.
Per uno spettacolo di Clownery scrissi questa frase:
– Ogni volta che un Clown si trucca, si asciuga la lacrima di un bambino –
Arriva un momento in cui il Silenzio diventa l’ingrediente principale per la creazione, e hai bisogno di più tempo per truccarti, per filtrarti, per scegliere cosa portare all’esterno.
Credo che bisogna essere un po’ funamboli, e restare in equilibrio fra moltitudine e isolamento, sogni e realtà, illusioni e consapevolezze. Ma in fondo, chi non lo fa?
Siamo un po’ tutti funamboli, io ho scelto di farne un lavoro.
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