Una giovane donna attraversa le vie bianche ed assolate di una città: i profili rassicuranti dei monumenti oggi assumono forme strane, modificate nel ricordo di qualcosa di silenzioso fuori ma che dentro urla e continua a ferire. Una fotografia – lei accanto al padre – venuta fuori dalla scatola dei ricordi, quel giorno cambia le prospettive quiete in cui, “dopo” è cresciuta, si è orientata. Un uomo ha fatto la differenza, sviluppando la paura, la diffidenza, provocando l’inumano esempio di un dolore che percorre l’anima. Una vita segnata su frequenze distanti da quelle corrette, si gira su se stessa, ascoltando lo stesso breve motivo, come la ballerina di un carillon che non riesce a scappare da quel punto in cui è bloccata la sua scarpetta.
Silvana Fallisi è Rosa. Una giovane donna segnata da una ferita dell’anima, recuperata a tratti e ridondante, a cui la vita ha comunque offerto di scegliere un’alternativa rispetto al buio della sua stanzetta in cui la violenza domestica si consumava. Rosa ha una figlia ed un marito, una casa ed un compito diverso; ma, quel giorno, uscendo per andare a fare la spesa, si muove da quell’immagine di bambina, allontanandosi da quella presenza accanto a lei e guardandosi le spalle come se temesse di essere ancora inseguita. Sente ancora quella musica del carlllon donato con lo scopo macabro di indurre al silenzio ed imprigionarla in una complicità in cui lei è la vittima. Suo padre ha avuto la responsabilità di farle patire lo sgomento: un altro uomo, suo marito, riuscirà ad assumere il compito di affrancarla rispetto ad un trascorso violento, umiliante?
“ROSA” è un corto della durata di diciotto minuti realizzato nel 2013, girato a Siracusa nel quartiere della Borgata Santa Lucia. Preparato in trenta giorni, è stato girato in due settimane. Vinse il Gold Elephant World a Catania come migliore opera di comunicazione sociale, fu tra i finalisti al David di Donatello ed arrivò in finale al Calat Nissa, il festival internazionale del cortometraggio.
Prodotto da Giuseppe Cottone, autore del soggetto, regia di Alfio D’Agata, direttore della fotografia, Ugo Lo Pinto; con Silvana Fallisi e Gino Astorina, racconta una violenza sulle donne che si consuma ai danni di un minore. Tre uomini – ciascuno col proprio ruolo – hanno scelto di parlarne con chiarezza, senza incentivare l’aspetto morboso, purtroppo sempre collegato a delitti del genere. Silvana Fallisi realizza le loro intenzioni facendosi carico di un compito affatto facile: il suo personaggio è prevalentemente muto, dunque affidato alla eloquenza dell’espressione. Lei, che nasce come attrice comica, riesce a significare tutta la drammaticità, riassumendo in quella passeggiata tutto il senso di Rosa. Il linguaggio del corpo deve necessariamente prendere il sopravvento e l’attrice si dimostra bravissima a significare con gli impercettibili movimenti del viso la paura legata al ricordo, il timore che ciò possa accadere alla sua bambina; nei suoi begli occhi chiari il tentativo di scacciare l’ansia, nella sua postura dritta tutta la voglia, il bisogno di farcela ad attraversare tutto questo. L’esiguità dei dialoghi diventa rumore nel gioco di luci, nell’alternanza col bianco e nero dei ricordi, tormento nel ciclico motivo musicale della scatola con la ballerina. La regia di Alfio D’Agata è affidata all’attrice: compito di entrambi di capirsi e far capire; e lo scopo è raggiunto. Anche grazie a Gino Astorina, prevalentemente attore brillante, a cui si chiede di chiudere il cerchio e di farlo con una soluzione apparentemente leggera che comprende in sè il finale che la vita in generale dovrebbe avere: ovvero, mettersi al posto di.
Alfio D’Agata ha conferito al film, nell’arco di poco meno di venti minuti, tutto il senso delle cose che trovano posto in una vicenda brutale di torto ai danni di un minore e di violenza di genere. Mettendo in luce Rosa e seguendola lungo il suo percorso giornaliero, ha stabilito che la protagonista assoluta, nel bene di essere donna e madre e nel male di essere la vittima, è comunque la “femmina”; ha illustrato il ruolo determinante che potrebbe avere l’uomo, “il maschio” che è carnefice ma può essere salvazione se solo riesce a comprendere e ad amare con rispetto, qualche volta mettendo la distanza, così come ha fatto lui con una regia sapiente. Impossibile non farsi prendere da questo corto, non farsi trascinare dalla magnifica Silvana Fallisi che, dismessi i panni dell’attrice brillante, ci porta con prudenza e misura nel lato oscuro di una famiglia dove niente è come appare. Il finale ci insegna che cambiare è possibile.
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