“Casa di Bambola” all’Angelo Musco: intramontabile Henrik Ibsen.

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“Casa di Bambola” all’Angelo Musco: intramontabile Henrik Ibsen.

“Casa di Bambola”,  è stato rappresentato al Teatro Angelo Musco  il 13, 14 e 15 dicembre 2019, come terzo lavoro della rassegna Must curata da Giuseppe Dipasquale e Valeria Contadino. Quest’ultima nel ruolo di Nora Helmer, la protagonista del dramma borghese scritto da Ibsen nell’estate del 1879 durante un soggiorno ad Amalfi, in una stanza dell’Hotel Luna che si affacciava con uno strapiombo sul mare. Pubblicato in circa ottomila copie, fu messo in scena con grandi riconoscimenti al Det Kongelige Theater di Copenaghen alla vigilia di Natale. In Italia il personaggio di Nora venne interpretato da Eleonora Duse, nella versione allestita nel 1891. Sarebbe stata eletta come la più grande interprete dei drammi borghesi dello scrittore scandinavo, sebbene la riuscita del personaggio di Nora non venne approvata da tutti i critici dell’epoca: Ettore Albini (illustre giornalista milanese, 1869-1954) ne commentò l’inadeguatezza per il fisico ed i canoni recitativi. Da allora, seguirono Emma Grammatica, Lilla Brignone diretta da Strehler nel 1951 ed una più recente (1982) in cui Micaela Esdra (Nora) e Roberto Herlitzka (Rank) diretti dalla felice regia di Leonardo Cortese riscossero plausi unanimi. 

La regia dell’allestimento catanese è stata affidata a Sebastiano Tringali che riveste anche il ruolo del dottor Rank; Davide Sgrogiò (Torvald Helmer), Barbara Gallo (Kristen Linde) e Riccardo Tarci (Krogstad). Le musiche sono di Germano Mazzocchetti, le scene curate da Susanna Messina e i costumi delle sorelle Rinaldi. Prodotto dal Teatro della città di Catania; comunicazione a cura di Antonella Guglielmino.

Ibsen, nacque ricco e rimase vittima della capitolazione economica del padre armatore e commerciante. Avido di letture, nutriva, anche una grande passione per la pittura. Definito un laico a sfondo religioso, un capitalista con strascichi marxisti, un liberale conservatore, venne apostrofato dai coevi e da certa critica postuma con ogni genere di appellativo ed il suo contrario. Vera ed insindacabile è la certezza che alla fine dell’800 col suo modo di polemizzare l’inamovibilità del teatro scandinavo, tracciò la linea di demarcazione fra il tradizionale ed il nuovo moderno modo di fare teatro. E’ un borghese che della borghesia parlerà in ogni romanzo, ma la sua grandezza risiede nel gioco di prestigio che farà con gli eventi ed i personaggi: ad esempio, ne “I pilastri della società, si prenderà gioco in maniera impercettibile della tracotanza verbosa attraverso l’altrui esaltazione del protagonista, un capitano d’industria che in un finale aperto – come quello con cui si congeda “Casa di Bambola” – ammetterà la necessità sociale di essere uomini onesti ancor prima che uomini d’affari.

La modernità di Ibsen sta proprio in questo: assumere per mezzo di espedienti narrativi un principio e rivelarlo attraverso i personaggi che appunto, per quanto sviluppati, sono soltanto un tramite che consente al dramma di prendere vita. A chi legge e guarda oggi questo dramma di fine 800, lo stupore massimo è scatenato dalla grande anticipazione di una condizione di pensiero a cui ancora molte donne non sono giunte. Eppure, l’ambiente è il medesimo, la raffigurazione del ruolo della donna infarcito degli stessi dogmi. Valeria Contadino credo sapesse, affrontando il personaggio di Nora, di dover attraversare un cerchio di fuoco, perché è quello che accoglie nel suo bacino tutte le tracce psicologiche di ogni personaggio. Ha reso bene innanzitutto la facciata ed i momenti interiori: la prima composta di garruli atteggiamenti di bambina stupita di ciascuna cosa, pronta ad accogliere nella sua giornata tutto ciò che essa possa portare; gli altri piegati al tormento di non poter palesare la verità di un atto compiuto per amore. Valeria riesce a concludere ogni scena in cui Nora è coinvolta portando con crescente rivelazione il tutto quel personaggio contenga: finta gioia, vero tormento, ansia da imprevisto, attesa “di un prodigio”. Non è affatto semplice attraversare continuamente ed all’improvviso questi cambi di condotta e l’attrice c’è riuscita benissimo.

Controcanto del suo personaggio, quello a cui si lega ogni confronto è l’amica d’infanzia Kristen Linde, interpretata da Barbara Gallo che ha compiuto un esercizio in grande stile. Kristen, a differenza di Nora ha scelto di sposarsi per aiutare la famiglia, ma senza obiettivo: l’unico scopo naturale che poteva derivarne non le verrà riconosciuto, dunque alla morte del marito resterà sola “senza niente, neanche rimpianti“. Ma una memoria di gioventù verso l’illividito Krogstad acquisterà nello sconfortante presente la gioia di poter amare ed essere ricambiata ancora con passione. Nora e Kristen corrono per tutto il dramma su binari paralleli ed i loro destini s’incontrano soltanto in due cruciali momenti nei quali opereranno da fautrici alternandosi: prima Nora, indulgendo verso il marito avvocato, prossimo alla promozione a direttore di banca, le farà trovare un lavoro per aiutarla a garantirsi un’indipendenza economica; dopo, Kristen, senza alcuna strumentalizzazione, porterà Krogstad a rivedere i suoi piani di distruzione a mezzo di ricatto verso Torvald che lo ha licenziato. Entrambe si troveranno affrancate dalla responsabilità verso altri che le ha costrette al sacrificio della propria conoscenza. E forse, entrambe “hanno scelto” il matrimonio mettendo da parte se stesse. Barbara Gallo marca il palcoscenico con grazia ed eleganza e rende indimenticabile infine il dialogo con Krogstad.

Riccardo Maria Tarci verso il quale non ho mai nascosto il compiacimento di vederlo riuscire in ogni personaggio interpretato, qualsiasi impronta esso possegga, si rivela magnetico nei suoi felini e silenziosi ingressi sul palcoscenico e nella vita di Nora. Affatto scomposto nell’abituale eleganza di ciò che nella vita fa, ovvero il procuratore per la banca, è in ogni caso un uomo che subisce una necessità di adattarsi. E Tarci è veramente all’altezza di caratterizzare Krogstad così come Ibsen lo ha descritto e lo fa attraverso impercettibili deroghe all’atteggiamento ingessato, chiusura verso una società che lo ha condannato senza accantonare l’errore di un momento, sino alla liberazione e lo stupore di apprendere che attraverso l’amore tutto potrà essere rivisto. A lui si oppone il personaggio di Torvald Helmer – interpreatato da Davide Sbrogiò – innamorato forse di Nora ma ancor più del compito che questa riesce ad assolvere da otto anni con devozione. Egli ne è ammirato, rapito nel desiderarla, ne subisce la carica emotiva. La rivela a tutti vestendola con gli abiti di una scugnizza napoletana e facendola esibire in una tarantella che gli percuote ogni controllo. Davide Sbrogiò, a cui non fa difetto il talento, è attore drammatico diplomato all’INDA, già cimentato in una edizione del capolavoro ibseniano intitolato “Interno di casa con bambola” del 2015 (in cui Krogstad era interpretato dall’indimenticato Giorgio Faletti). Anche lui come Valeria Contadino deve assolvere al compito di conferire velocità nei cambi d’umore e d’espressione. Bravissimo, nella scena successiva al ballo, quando abbracciando la moglie, muta da una pelle fatta di giacca e cravatta, di attenzione e rigore per poi doversi nuovamente cambiare per riappropriarsi dell’attenzione verso il bisbiglio della società che lo circonda e sui quali equilibri si stabilizza la propria reputazione.

 

I personaggi maschili in questo dramma asservono alla funzione di concepire, giustificare e spiegare i comportamenti dei personaggi femminili che a loro volta, ante litteram, generano un principio e svelano un inganno. Ultimo, fra questi è il dottor Rank, interpretato da Sebastiano Tringali, malmesso amico della famiglia Helmer, assolutamente sedotto dalla candida bellezza e dalla spensieratezza di Nora. Come Krogstad, anche Rank si muove strisciando nell’ombra della protagonista, fino a palesarsi nel finale, quando tutto verrà messo in discussione ed egli si sentirà legittimato ad esporre i propri arditi palpiti. Rank è il personaggio che chiuderà il cerchio, quello forse nella cui troppo spontanea rivelazione del desiderio, Nora si riconoscerà come donna, pur rimanendo fedele al proprio ruolo ed estranea a qualsiasi apparente compiacimento. La bravura di Sebastiano Tringali è assai evidente sulla scena, ma appare più lentamente come regista. Nel senso che vedendolo parte di un divenire perfetto in ordine alle modalità strutturali ed espressive di ciascun attore (egli compreso) difficilmente l’attenzione nel frattempo si sposta su altro. Rimane fissa sugli attori e sulle loro ragioni. Il lavoro del regista viene considerato con qualche istante di ritardo. E non è un difetto. La scelta dell’allestimento scenico incentrato sull’albero di Natale che nella sceneggiatura irrompe allegramente sulla scena come lo fa Nora che lo ha acquistato con tanta gioia e voglia di fare una sorpresa, è una trovata brillante, appunto perché porta in sé, nel suo allegro e ricco allestimento tutto l’entusiasmo di questa donnina che sembra frivola come i suoi addobbi e che infine con un cambio di profilo diventerà spoglio e disarmato come la vita di Nora. Sarà Rank con una lieve spallata a cambiarlo in scena così come in qualche maniera ha promosso, senza saperlo, il coraggioso exploit finale della protagonista. E sempre l’albero sarà contenitore di quelle lettere, stati cruciali di snodo, accenti che porteranno il finale in una direzione che fece indignare la società bene dell’epoca.

Nora, personaggio femminile di facile affezione per la spensierata volontà di vivere, celando se stessa ed i propri bisogni al marito, sviluppa in maniera indiretta l’intenzione di Ibsen di colpire i piedi d’argilla di un modello di ipocrisia sociale vincente fintanto che un errore verrà classificato come peccato irreversibile. Torvald, che è davvero marito e padre devoto che delle necessità della famiglia fa il suo più alto ufficio, scivolerà sulla prima buccia di banana che le occorrenze quotidiane gli faranno trovare per strada. La devozione dell’uomo per quanto si spinga in avanti non giungerà mai al sacrificio della donna…”...ogni giorno lo fanno migliaia di donne…” che non sono bambole con cui gingillarsi. E sarebbe bastato e basterebbe ancora quel “prodigio”, comprendere quella necessaria frivolezza di indossare qualcosa di rosso ed essere comprese…

“Casa di Bambola“, produzione Teatro della Città, lavoro in cartellone della Rassegna Must curata da Giuseppe Dipasquale, per la regia di Sebastiano Tringale, protagonista Valeria Contadino, con Barbara Gallo, Davide Sbrogiò, Riccardo Maria Tarci, oltre lo stesso Tringali, musica di Germano Mazzocchetti, scene di Susanna Messina, costumi delle Sorelle Rinaldi è davvero una gran bella pagina del Teatro catanese.

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