Agata, la Santa fanciulla di Giovanni Anfuso alla Chiesa della Badia

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A proporre Agata, la Santa Fanciulla è la stessa squadra che negli ultimi anni ha ottenuto uno straordinario successo con due spettacoli, Inferno di Dante e Odissea di Omero, rappresentati in vari luoghi della Sicilia ed applauditi da diverse decine di migliaia di spettatori, tanto da essere inseriti tra i grandi eventi dell’Assessorato al Turismo della Regione SicilianaLo spettacolo è prodotto da Vision Sicily e Buongiorno Sicilia con il patrocinio del Comitato per i festeggiamenti Agatini – che l’ha inserito nel programma ufficiale -, del Comune di Catania, della Curia arcivescovile e con il sostegno di Isolabella gioielli.

 

“Sentiamo forte la responsabilità di confrontarci con quella Verità di cui ogni Catanese si sente possessore, quando si parla della vicenda della Santa patrona. Dall’ altare della chiesa parte una pedana che si protende verso l’esterno, verso la città, verso i devoti”. Lo ha detto Giovanni Anfuso, autore e regista di Agata, la Santa Fanciulla, parlando di questo “dramma sacro della città di Catania ispirato agli atti del martirio”, che ha debuttato il 23 gennaio nella Badia di via Vittorio Emanuele. “Agata, la Santa fanciulla – ha proseguito Anfuso – racconta sì quanto descritto negli atti del martirio, ma anche dei terribili bombardamenti che colpirono Catania durante la seconda guerra mondiale. E in questa vicenda parallela si inserisce un piccolo giallo”.

 

Tra i protagonisti di Agata, la Santa Fanciulla, c’è Davide Sbrogiò, che interpreta Quinziano, proconsole dell’imperatore romano Decio: “Quinziano – ha spiegato Sbrogiò – è pagano, politeista, espressione di un potere arrogante e folle. Per questo non può tollerare che una fanciulla possa essere nutrita da una fede incrollabile in Cristo. La reazione, violentissima, lo condurrà a ordinare prima la tortura di Agata e poi la sua uccisione”.

 

Barbara Gallo, che interpreta uno dei personaggi più importanti della pièce, aggiunge: “Si tratta della storia misteriosa di una badessa e di un tesoro che potrete scoprire … venendo ad assistere allo spettacolo”.

“La narrazione – conferma Giulia Antille, che interpreta Antonietta – procede su due binari: Il martirio di Agata e la vicenda delle monache della Badia. E poi c’è il mio personaggio, che rappresenta il popolo”. Giulia Messina (Agata) :“Provo una sorta di turbamento – ha detto –  nell’interpretare questo personaggio, perché so quant’è importante per la città di Catania. Spero di riuscire a trasmettere al pubblico l’emozione che ho provato anch’io”.

Ivan Giambirtone impersona invece Orazio Pennisi, “catanese, devoto, ma soprattutto appartenente al Comitato Agatino”.

 

In scena, dunque, Barbara Gallo e Angelo D’Agosta, Ivan Giambirtone, Davide Sbrogiò, Alberto Abbadessa, Giulia Antille, Renzo Conti, Giulia Messina, Davide Pandolfo, Elena Ragaglia e Francesco Rizzo; ed il coro composto da: Rosa Lao, Francesco Castro, Michela Di Francesco, Anna Gagliano, Roberta Lazzaro, Giordana Montesilvano, Rachele Ruffino, Darwin Michener Rutledge. Riccardo Cappello, scene e costumi, Nello Toscano, autore delle musiche, Fia Distefano, che cura le coreografie e l’aiuto regista Agnese Failla. Foto di Santo Consoli.

Agata è la Santa bambina, la creatura innocente colpevole di essere bellissima ed irraggiungibile per quella sua virginale inclinazione a servire Dio ed osservarne i recenti e rivoluzionari insegnamenti. I catanesi la amano e ne proteggono la memoria, replicando ogni anno la sua breve ma efficace vita, in una festa che è la terza nel mondo per programma, fama e quantità di gente richiamata; se esiste un momento in cui tutti i catanesi si sentono uniti è quello delle tre giornate della festa dal 3 febbraio al 6 mattina, durante le quali la Santuzza viene portata lungo le vie di Catania in tutto il suo giovane ed intatto splendore e seguita da una moltitudine di devoti in abito bianco (il sacco) e papalina nera.

Giovanni Anfuso, forse da devoto ma certamente da catanese, ha realizzato un lavoro di certosina ricerca e studio delle fonti storiche componendo una vicenda in cui il racconto in forma di favola della Madre Badessa (unico personaggio inventato ed interpretato magnificamente da Barbara Gallo) ai tempi delle giornate dello Sbarco Alleato (9 Luglio – 17 Agosto 1943) raffigura nell’immaginazione della ragazza del popolo, – che lavora al convento delle suore della Chiesa della Badia (Giulia Antille), – la vicenda del martirio di Sant’Agata… “ca’ quando parra di Agata le cose te le fa figurare ca’ parunu vere e di colpo uno si trova lì in mezzo, come se fossero qui…davanti”. 

Per abitudine non propongo mai anticipazioni e riassunti dei lavori a cui assisto, cercando prevalentemente di riuscire a scuotere la curiosità del lettore per altre vie. In maniera particolare ho deciso di marcare la riservatezza per “Agata, la Santa fanciulla” perché è semplice la definizione affermando schiettamente “bellissimo”, ma complesso da giudicare in ordine a ciò che senza ombra di dubbio passa dentro ciascuno.

A tentativo di chiarimento, c’è soltanto da dire che non essendomi di proposito informata sul lavoro per giungere ad un “tutto nuovo ed inaspettato”, dirò che l’incanto di questa perfetta operazione culturale e civica comincia dal marciapiede dirimpetto alla chiesa della Badia, dal quale pur spingendo la testa sulla nuca all’indietro più possibile, è impossibile abbracciare con lo sguardo l’imponete facciata che Vaccarini volle sviluppare come l’interno, su morbide rotondità… Il cielo sopra Piazza Duomo, la concentrazione di edifici barocchi, sacri, la fila ordinata sulla scalinata ad attendere come l’inizio di una liturgia, mi hanno portato da subito in una dimensione di passaggio temporale. Un gentilissimo collaboratore (N.T.), accortosi di quest’aria trasecolata (che ho sbirciato assai simile negli sguardi di altri utenti) leggendomi nel pensiero, mi chiese “si sente la magia entrando, non è vero?”

La Chiesa della Badia a dispetto di una facciata importante, ha uno sviluppo a croce greca allestito soltanto da altari e statue in marmo; pareti prive di decori ed un ordine superiore da cui spiccano le gelosie risalenti al periodo in cui il Monastero accanto era abitato dalle suore dell’Ordine Benedettino. Ecco: basta soffermarsi su questi dettagli per capire quanto grande ed intelligente e sensibile sia stata l’operazione culturale di Giovanni Anfuso che ha raccontato con semplicità una storia in fondo crudele ed immonda che arriva a noi senza patire (sfortunatamente) il trascorrere di epoche diverse; non abusando al contempo di dettagli macabri e senza cadere nella trappola del già detto. Ha raccontato la storia della santuzza filtrando, da ciò che tutti sappiamo, soltanto i momenti più esplicativi, quelli di maggiore trascinamento emotivo e lo scenografo (Riccardo Cappello) li ha marcati con l’ausilio dell’esistente illuminato in modo eccellente.

Gli attori (squadra vincente non si cambia), all’altezza di scommettere sull’impegno necessario per rendere poi il momento finale e conclusivo di tanto studio e tante prove. Bravissimi tutti, ciascuno padrone del proprio personaggio e perfettamente in sintonia col compagno e coll’ambiente. La determinazione della Badessa (Barbara Gallo), l’ansia appassionata del Cavaliere Pennisi (Ivan Giambirtone) di cui ogni goccia di sudore è veramente paura, la semplice innocenza ciarliera della candida Antonietta (Giulia Antille), quasi un alter ego della dolce, tenace e patrizia Agata (Giulia Messina); l’arroganza dell’ ufficiale americano (Alberto Abbadessa), quella più educata dell’ufficiale inglese (Angelo D’Agosta); la versatilità di Davide Sbrogiò che lasciamo vecchio e malinconico Odisseo e ritroviamo feroce Quinziano. Il soldato di questi, l’Angelo (Francesco Rizzo), San Pietro (Renzo Conti)Afrodisia (Elena Gloria Ragaglia) e ciascun attore del coro (Rosa Lao, Francesco Castro, Michela Di Francesco, Anna Gagliano, Roberta Lazzaro, Giordana Montesilvano, Rachele Ruffino, Darwin Michener Rutledge) preparatissimi. Il coro in modo particolare perfettamente attento alla sincronia di passi e gesti (coreografie di Fia Distefano) ed intonazione: un piacere ascoltarli e vederli, bravissimi nel trascinare lo spettatore verso le evoluzioni narrative!

Esattamente come i marinai e le sirene dell’Odissea, Dante e Virgilio diventano essi stessi il contesto di ricostruzione, il fiume Alcantara, ecco che i bravissimi attori assorbono tutta la luce natuarale e la magia surreale della Chiesa della Badia, riuscendo allo scopo di far diventare parte dell’ambiente lo stesso spettatore, che si trovi esso sulla riva del fiume, scalzo ed i piedi in acqua; oppure seduto alle panche, circondato dal mistero.

Gli spettacoli si ripeteranno in ordine a due orari (20,00 e 21,30) il 29, 30 Gennaio e primo febbraio.

L’uscita dello spettatore sulla via Raddusa, alla fine dello spettacolo, è lenta e stordita…i profili barocchi, la luce gialla dei lampioni ed il nero del basolato lavico lo riportano alla odierna realtà. Forse…

 

 

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