Questa triste e disarmante circostanza nella quale stiamo vivendo, anche per le caratteristiche e l’alto numero di vittime che ha causato, ha portato ad escludere la singolarità dalle coniugazioni comuni ad ogni riga sia stata scritta, ad ogni pensiero sia stato formulato. Si è parlato di medici, infermieri, di impiegati in smart-working, di dipendenti in cassa integrazione, di famiglie impoverite, ristoratori ed albergatori a locali vuoti, ambulanti senza bancarelle, pescatori senza vendite, fornitori senza scopi; artisti che improvvisamente hanno visto sparire gli spettatori dalle platee, produttori interrompere le tournée, annullare le prossime date, maestranze vanificare le proprie funzioni intorno ad un mondo fatto di effimere emozioni indispensabili.
Si è perso il riferimento all’individuo (per certi versi, necessario nella situazione attuale) e riferendosi agli attori, si è cominciato a parlare per categoria. Appelli, contributi visivi, streaming si streaming no, racconti di cosa si cucina, di come si trascorre il tempo, di quanto sia messo a frutto lo spazio bianco fra le date scancellate ed il perimetro della propria casa. In tantissimi abbiamo tratto giovamento da questo fermo biologico imposto dagli eventi, ma se gli artisti hanno sperimentato le alternative, la verità è che nessun surrogato è paragonabile al palcoscenico, le platee, il grande schermo, i set di posa…
Avere al telefono (soltanto, ahimè!) Agostino Zumbo mi ha fatto ricordare di quante singole unità di prestigio è composto il mondo dell’arte teatrale, cinematografica, televisiva; lui, Agostino, non ci ha fatto mancare niente. Fotogrammi legati alle sue interpretazioni hanno cominciato a scorrere nella mente come in un “amarcord” emotivo stabilizzando la consapevolezza di quanto pesi la forzata assenza di un attore come lui: sia che interpreti il prete dell’Istituto ne “Il ladro di bambini” di Gianni Amelio, il cardinale ne “Nove anni a Tient-sin” di Marcello Trovato, il detenuto detto “Il cardinale” ne “Sogno di una notte a Bicocca” di Francesca Ferro, il macellaio vedovo in “Chi vive giace e chi muore si da pace” di Armando Pugliese, Ciccio ne “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi” di Rosario Galli ed Alessandro Capone (nella prima foto sottostante insieme a Francesca Ceci), il Tre di oro in “Scupa” di Guglielmo Ferro, l’avvocato ne “La Piramide di fango” di Camilleri e Sironi – e potrei continuare per molte righe ancora -, Agostino Zumbo ha conferito sempre qualità alla parola “attore”. Il monologo affranto in “Sogno di una notte a Bicocca”, quando allo spegnimento delle luci nella cella, la spavalderia lascia il posto alla tristezza, così come la performance in bustino di pizzo e calze a rete in “Sicilian Commedy” di Ottavio Cappellani, danno la misura esatta dell’intervallo ampio in cui riesce ad esprimere la propria bravura.
Agostino Zumbo è quella squisita coniugazione fra le valutazioni corpose e la passeggera accettazione della circostanza; ovvero, è una persona schietta ma misurata nella vita, che sul palcoscenico riesce a portare ai personaggi ogni ragionevole e folle caratteristica del proprio modo di essere. Sorriso d’artista ma anche di uomo: i suoi occhi appuntiti come spilli ascoltano, registrano, si offrono o si distolgono se il panorama poco offre in termini di educazione e di dignità.
Alla persona ed all’attore ho chiesto di spiegare quanto sta accadendo e come e quando si potrà tornare a recitare ed assistere agli spettacoli.
<<In questo periodo la categoria è diventata più solidale, perché in passato a fronte di tante e diverse situazioni gli artisti non erano così coesi. Ci sono stati degli errori molto forti perché l‘attore vivendo magari una precarietà di lavoro ha dovuto accettare certe condizioni che non erano le migliori. Cosa sta succedendo? A fronte della crisi attuale, che potrebbe durare un tempo non definibile, occorre un’azione di coscienza da parte di tutti, teatro pubblico, teatro privato, perché tutti usufruiscono dei finanziamenti e lo Stato allo stesso modo dovrà intervenire dando aiuti ad entrambe le categorie e contestualmente rispettare il lavoro dell’attore che non può più accettare, ad esempio, di fare venti giorni di prove con una paga forfettaria. Quello dell’attore è un lavoro come un altro; l’operaio ha una paga giornaliera, (volendo forzatamente avvicinare i lavori seppur diversi nell’attuazione ma simili nel merito), allora bisogna quantificare il lavoro e pagarne il corrispettivo: ti pago per le ore di prove che fai, sette, otto, dieci. La categoria da sempre è anomala perché c’è l’attore che viene ingaggiato, quello che lavora con Partita Iva. Qual è il problema? C’e da dire che esiste l’attore collocato nella sfera dei vip, diciamo, che ha maggiore visibilità, che possiede un potere contrattuale più robusto qualificato con guadagni corrispondenti; e ci sono attori bravi che però non hanno lo stesso potere per i quali è indispensabile attuare misure di tutela per affrancarli dal rischio di diventare invisibili ed inascoltati.>>
<<Le colpe sono antiche e distribuite; adesso a poco serve la rivoluzione, anche se credo che se non si sistemano le cose le rivoluzioni ci saranno perché c’è gente con grosse difficoltà! E’ ridicola tutta questa cosa: quindici giornate, venti giornate; ha lavorato 15 giorni, ma come ha campato un anno? Pochi sanno che quell’attore è stato costretto dalle produzioni pubbliche e private ad accettare delle condizioni capestro. Quindi è una responsabilità che va distribuita su ogni coscienza: l’attore esce da casa per andare a provare, un certo numero di ore, per un preciso numero di giorni, torna a casa e continua a lavorare perché studia il copione. Si viene scritturato, in base alla carriera, ai curricula, diversificando in base a tali principi si effettuano dei conteggi economici, ma non sono state rispettate le regole! Lo Stato, dal canto suo, “tartassa di tasse” riconoscendo da una parte i contributi, dall’altra imponendo dei tributi sui quali non riconosce sconti! Lo Stato faccia la sua parte, vigili sull’osservanza delle regole, evitando anche l’istaurazione del triste rito del lavoro in nero: non è così difficile e penso che la categoria può averne solo un vantaggio.>>
<<L’aiuto dei 600,00 euro?… si, che ben venga, ma sarebbe meglio organizzare un fondo solidale, creando un elenco di tutte le persone certificate che possono dimostrarlo, tutelandoti sino a chè i teatri non verranno aperti. Chi ha una possibilità in più, senza ledere la dignità di nessuno, chi può contribuisca e che si aiutino i colleghi che ne hanno bisogno. Speriamo che finisca presto, e che nel momento in cui si riprenderà, ci sarà davvero il rispetto del lavoro di tanti artisti. Siamo abituati a non rispettare le regole; se si apre tutto dobbiamo farci considerare; questa pandemia ha operato troppe vittime, ma anche risvegliato molte coscienze addormentate, ci tocca tutti sotto vari aspetti. L’attore debole oggi è troppo esposto.>>
<<Lo streaming? Io non ci credo, o per lo meno, se non cambia il mondo, forse ci dovremo adeguare: Il teatro ha un respiro diverso, un’emozione irripetibile che non si può vivere se non dal vivo ed in diretta. Non so se lo spettatore ritornerà presto a teatro per paura dei contagi, ma anche l’attore che sta sul palcoscenico rischia di essere troppo vulnerabile. Non è una situazione semplice, ma i rimedi per porvi una saggia e concreta soluzione, quelli non sono complessi ed impossibili. Veniamo da una politica che ha allargato le maglie del tessuto civile ed economico creando la dispersione di energie necessarie per garantire (non mi stanco di ribadirlo) il rispetto dell’individuo e dunque delle regole; purtroppo, lo sfruttamento dell’ideologia, del pensiero culturale, oggi viene strumentalizzato: chi ha sfruttato prima, oggi si erge a paladino. E’ stato dato peso al denaro, al business, alle banche, dimenticando l’uomo! Il mondo è stato fermato perché siamo arrivanti in fondo al delirio. Non so perché, se per un complotto, per un pipistrello, non ci è dato saperlo e non lo sapremo mai; ma adesso bisogna un attimo riflettere e cambiare; gli squali esistevano ed esisteranno, ma impariamo a riconoscerli per sapere cosa è bene accettare e cosa negare risolutamente. Io, forse grazie alle mie origini umili – di cui sono orgoglioso -, riconosco il linguaggio, le modalità e mi adopero dunque per contrastarli. Dunque, dobbiamo avere la consapevolezza che non si può sottostare a compromessi inopportuni e lamentarci che le cose vanno male! Non so cosa cambierà quando sarà passata la paura, se la gente dimenticherà presto e ricomincerà a comportarsi come e peggio di prima: ciò che so e che mi adopero per far presente, è che il mondo dello spettacolo e il lavoro dell’artista devono essere rimodulati riconoscendo il lavoro di chi opera per ogni ordine e grado.>>
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