di Enrico e Alessandro Licciardello
L’ art. 2220 del codice civile recita che “Le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione”. Esse vanno tenute in forma “cartacea” o “digitale”. Lo stesso articolo, inoltre, prevede che anche i documenti contabili (fatture emesse e di acquisto, corrispondenza ricevuta e spedita, ect.) devono essere tenuti per lo stesso periodo di dieci anni.
Dal punto di vista fiscale, invece, la conservazione delle scritture e dei documenti contabili viene sancita dall’art. 22 del D.P.R. n°600/73 e, ai fini I.V.A., dall’art. 39 del D.P.R. n° 633/72. La normativa fiscale impone che la loro conservazione debba avvenire fino al momento in cui risultino definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, anche oltre il citato termine previsto dall’art. 2220 c.c.
Il bilancio è il documento di sintesi della contabilità da cui trae origine il reddito imponibile fiscale, derivato dall’utile d’esercizio, cui vengono apportate le variazioni, in aumento o in diminuizione, della normativa tributaria. In pratica il Bilancio è una sorta di cerniera tra le scritture contabili e le dichiarazioni fiscali.
In base al principio di derivazione del reddito d’impresa dal bilancio (art. 83 TUIR), le scritture contabili sono la fonte dei principi reddituali, poi ribaltati nelle dichiarazioni fiscali. Infatti le dichiarazioni fiscali sono l’elaborazione delle scritture contabili ai fini della determinazione delle imposte dovute dal contribuente.
Il termine per la conservazione delle scritture e dei documenti contabili, funge da garanzia affinchè il soggetto non sia indefinitamente esposto ad azioni e a rivendicazioni da parte di terzi, sia in sede civile che nei confronti dell’Amministrazione finaniaria. Tale garanzia si manifesta nella previsione di precisi termini di prescrizione, decorsi i quali i diritti si estinguono quando il titolare non provvede ad esercitarli entro il termine previsto dalla legge (art. 2394 c.c.): la prescrizione decorre dal giorno in cui si può far valere il diritto (art.2395 c.c.).
L’art. 1, comma 130, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, dispone che le dichiarazioni fiscali possono essere rettificate, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui sono state presentate (art. 57, comma 1, DPR n. 633/72 e art. 43, comma 1, DPR n. 600/73). Nella ipotesi, invece, di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali , l’avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata (art. 57, comma 2, DPR n. 633/72 e art. 43, comma 2, DPR n. 600/73).
La citata legge 208/2015 è in vigore per l’annualità dal 2016 (dichiarazione presentata nel 2017), mentre in precedenza i tempi per la rettifica fiscale erano di quatro anni dalla presentazione della dichiarazione, mentre in caso di omessa dichiarazione , la notifica dell’accertamento doveva avvenire entro il quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere stata presentata.
Alla fine del corrente anno 2020 si doveva prescrivere la rettifica della dichiarazione presentata nel 2016. Tuttavia l’art. 157 del D.L. Rilancio proroga al 31 dicembre 2021 la notifica degli atti scadenti fra l’8 marzo e il 31 dicenbre 2020.
Si precisa, infine, che in caso di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p. per reati tributari, i termini di accertamento vengono raddoppiati, passando da 8 anni per le dichiarazioni infedeli a 10 anni per quelle omesse.
Lascia un commento
You must be logged in to post a comment.