Love Story compie cinquant’anni. E’ un film diretto da Arthur Hiller nel 1970. E’ uno dei cult movie degli anni ’70 del ‘900; all’epoca ebbe un successo lungo e strepitoso e fu campione di incassi ovunque nel mondo.
Ricevette pure sette nomination all’Oscar, ma vinse (e giustamente) soltanto l’Oscar per la colonna sonora di Francis Lai. Lo sceneggiatore e ideatore del soggetto Erich Segal ne trasse immediatamente un libro che per tanto tempo spopolò nelle librerie. E’ uno dei pochi casi in cui il film nasce prima del libro. (Per motivi ovviamente commerciali).
Vidi allora il film e rimasi scioccato. Era un filmetto borghese con una morale da “pisci scaffitutu”. Guardavo stranito negli occhi le mie coetanee che uscivano dalla sala cinematografica con gli occhi gonfi di pianto, chiedendomi ancora dopo 50 anni perchè.
Molti, molti anni dopo avrei provato io fortissime emozioni, ma soltanto nel riconoscere gli ampi cortili, i viali e gli edifici dell’Università di Harvard dove furono girate alcune scene del film e che mi accolsero per qualche tempo mentre portavo a termine la mia specializzazione.
Brevemente: il giovane Oliver Barrett, ricco studente incontra Jennifer Cavalleri, una studentessa di musica dal carattere forte, che sin da subito dà del filo da torcere al ragazzo di buona famiglia. Nonostante le differenze sociali i due si amano profondamente e, contravvenendo alle condizioni imposte dal padre di Oliver che non approva l’unione, decidono comunque di sposarsi
Queste scelte li costringono a vivere in severe ristrettezze economiche, mentre lei lavora come insegnante per sbarcare il lunario e lui entra alla facoltà di legge di Harvard dove si laurea con voti altissimi.
Quando finalmente Oliver viene assunto da un prestigioso studio legale di New York e Jennifer può smettere di lavorare, si scopre che Jennifer è affetta da una forma di leucemia fulminante e che le resta poco da vivere. Morirà. Oliver all’uscita dall’ospedale sbatte in faccia a suo padre, pentito d’averne ostacolato le nozze, la morale di tutto il film, produttrice di parecchie tonnellate di lacrime genuine di almeno tre generazioni di adolescenti:
“Amare vuol dire non dovere mai dire mi dispiace”.
Una cacata gigantesca! Comunque la rigiri.
Starei qui ore a dimostrarvi la vacuità, l’insulsità teoretica, ontologica di questa affermazione. La giudicai tale allora che avevo da poco iniziato lo sviluppo puberale, la giudico peggio adesso che m’appresso alla vecchiaia, con cinquant’anni di studio delle dinamiche nel microgruppo sulle spalle e delle discipline che ad esso afferiscono.
Riferisco in breve solo un argomento tra i 100 possibili:
E’ proprio vero il contrario: “Si ama quando si dice sempre mi dispiace” e per 1000 motivi.
E’ una “sentenza” altrettanto banale e imprecisa ma possibile, reale e produttiva di incalcolabili benefici nella vita di coppia.
Per gli altri 99 argomenti e i 1000 motivi vi aspetto in Studio. Scherzo … ma non troppo!
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