-“La maieutica socratica sarà sempre la nostra “ars medica” protesa a cavare le verità che già conosciamo ma che spesso necessitano metaforicamente dell’ausilio di un forcipe per estrarre dal-le menti ciò che già è stato concepito.
Per i filosofi l’arte cura lo spirito ma poiché ritengo che questo, a sua volta, alimenti l’arte, mi chiedo se l’uno non debba essere assimilato all’altra. Infatti, riconosco nello spirito l’etica e nell’arte l’estetica.
Pertanto, in un’epoca di edonismo antiestetico, fatico a riconoscere nuove forme d’arte.
Ecco perché evoco la maieutica: l’arte è oggi soffocata in ogni spirito che rimane inespresso per timore di rimanere incompreso.
L’artista è un creativo sopraffatto da una società consumistica che non per questo puo’ arrogarsi di assurgere a rango di “civiltà”; una vera civiltà crea, non consuma!
E l’arte medica non è immune da tale degrado…”-
Questo il pensiero di un medico di medicina generale , che da quasi un anno a questa parte ha visto rivoluzionato il modo di curare i suoi pazienti. Già, i medici di famiglia sono coloro i quali scrivono solo ricette comodamente seduti sulle loro poltrone e a fine giornata vanno a casa. E’ davvero così? Fatto sta che è un rapporto di uno(medico)a mille pazienti circa. I nostri dottori, sono i primi a cui ci rivolgiamo quando qualcosa non va, spesso dipende dalle situazioni ci fanno anche da psicologi, dato che viviamo in una mentalità che vede in queste figure professionali solamente: u’ dutturi de pazzi. Ma loro sono sempre li, dimenticando che anche loro hanno una vita piuttosto complicata, in tempi di pandemia. Sono diventati burocrati oltre che medici. Triste realtà se si somma insieme il fatto di non appoggiarsi a nessun collaboratore sanitario che possa aiutarlo per snellire il lavoro, velocizzando visite e somministrazioni di terapie farmacologiche.
Infine, pubblichiamo una lettera aperta che riguarda una riflessione obbiettiva e diretta, sempre scritta dalla mano di un medico di famiglia:
-” Traggo spunto dall’articolo di fondo di Antonello Piraino su “La Sicilia” del 17 gennaio 2021 poiché, facendo riferimento alla prestigiosa penna di Francesco Merlo, editorialista di “Repubblica”, e stigmatizzando la nostra “italianità”, ha mutuato di questi il neologismo già espresso come un “mantra” in diversi suoi articoli su costume, società e politica.
Trattasi dell’espressione “quasità”, che esprime già implicitamente il concetto di approssimazione che pervade la nostra cultura e il nostro spirito ribelle e riluttante non solo alle regole ma persino alla vera conoscenza basata sullo studio, la lettura, la competenza e l’istruzione.
Forse è proprio questo sapersi barcamenare nelle formule del “quasi” che consente di esprime una creatività inimitabile esaltato da un raro equilibrismo in tutti gli ambiti di una vita sociale in cui tutto viene interpretato come quasi regola, quasi legge, quasi divieto, quasi obbligo come se il buon senso non avesse una sua specifica collocazione verticale da osservare dal basso per coglierne l’idea più alta di etica individuale, quanto piuttosto una visone orizzontale e circolare da adattare alle proprie esigenze e che poco importa se risulta prevaricante nei confronti del prossimo o persino illecito.
Tanto, qualsiasi atto istintuale potrà eventualmente essere derubricato a “quasi” illecito! Ovviamente, anche le istituzioni che ci governano, constatando come il nostro popolo non ambisca a una stabilità da terra ferma ma ad un galleggiamento da mare mosso, appiattiti da un’educazione e un livello culturale omologato alla media, usano i remi – quando non li ritirano in barca – per vogare verso direzioni imprecisate come prevedono le leggi della fisica quando i moti sono asincroni e omnidirezionali.
Tuttavia, in questa improvvisazione e creatività si potrebbe intravedere l’effimero valore della libertà che in senso assoluto viene inteso come rigetto delle regole e degli obblighi che ordinano la convivenza civile per far prevalere quelle libertà individuali che non incorporano certamente l’assunto kantiano secondo cui la libertà deve essere anche morale e deve imporre all’individuo un’autodisciplina che a sua volta esige obbedienza nei confronti della legge.
Ecco quindi che anche le leggi devono essere chiare e intellegibili ai più evitando i presupposti del “quasi” che il buon Francesco Merlo evidenzia in un articolo dello scorso novembre: “Mini lockdown”, “semi lockdown”, “lockdown parziale”: sono i diminutivi dell’isolamento, ricordano le donne un poco incinta, le case chiuse semiaperte, il mezzo morto. Introducono infatti la mezza misura nel fuori misura. Socchiudono la clausura. Chiudono le scuole lasciandole aperte. Impongono il confinamento con sconfinamento a percentuale.
Promuovono il “quasi” a rimedio pandemico. Inventano il lockdown con la condizionale, il “chiuso per virus” ma non troppo. Propongono il “no-ma-anche-sì” come antivirale economicamente sostenibile. Ecco che torna dunque la quasità italiana, vecchio trucco che è allo stesso tempo una difesa per addomesticare la realtà dei contagi in crescita e dei conti in decrescita.
Il concetto di libertà ha radici antiche di cui il nostro popolo conserva ancora la memoria genetica risalendo alla politica dell’antica Grecia, resa nobile grazie al giurista e poeta Solone, ripresa e adottata pro domo sua (Cicerone docet) dalla libertas romana a sua volta messa in crisi dalla rivoluzionaria libertà spirituale professata con l’avvento del cristianesimo divenendo libertà universale che però Lutero ripropone come libertà interiore contrapposta alla nullità del mondo.
Sull’argomento potremmo citare molti pensatori, da Schopenhauer a Popper, dal citato Kant a Hegel, ma mettere insieme tutte le sfumature sul concetto di libertà ci riporta al criterio della “quasità” di Merlo e forse allora questo pressappochismo può rappresentare due facce della stessa medaglia: una individualista e l’atra altruista, come se la libertà stessa, sia essa espressa da chi governa o decide per gli altri, sia essa proposta o indicativa, fosse quasi interiore ma anche quasi universale, quasi giusta ma anche quasi sbagliata.
Merlo definisce quest’esercizio un “trucco” però magari, chissà, forse è un’arte. Tuttavia, poiché gli italiani sono un “popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori” – come in un celebre discorso di Benito Mussolini contro la condanna all’Italia da parte delle Nazioni Unite per l’aggressione all’Abissinia – chi guida un popolo dovrebbe essere prima governato dal buon senso di statista affinché possa guardare alle generazioni future nei programmi e agli educatori a qualsiasi livello (scuola, sanità, famiglia, arte e cultura) nelle decisioni immediate.”-
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