Ieri s’è festeggiato San Valentino, la festa degli innamorati. Codice di diritto canonico alla mano, San Valentino non è il santo ufficiale del 14 febbraio, ma sicuramente è il santo commerciale.
Infatti, dopo la riforma del 1970, San Valentino è stato cancellato dal calendario della Chiesa Universale per rimanere santo esclusivamente per la diocesi di Terni. Tuttavia la cancellazione non ha avuto effetto e oggi continuiamo a festeggiare il 14 Febbraio come la festa degli innamorati. La mia parte romantica dice: “L’amore vince su tutto“. Mentre la parte cinica mi suggerisce: “I soldi vincono su tutto“.
Comunque sia, non si può ignorare la rilevanza psicologica di questo evento, né si può liquidarlo con frasi a effetto.
Nella storia di San Valentino, non esistono innamorati, ma la morte per decapitazione. Tuttavia dove non arriva la storia, arriva la leggenda. Il mito nasce in epoca medievale e da allora è stato un crescendo fino alla occupazione mediatico commerciale e integrale che soffoca ogni osservazione contraria.
San Valentino è la festa dell’amore che nasce e che si rinnova a beneficio dei fiorai dei venditori di cioccolatini, dei ristoratori e dei loro parcheggiatori.
Ma San Valentino muore martire per amore di Cristo. Un amore e una morte che ne hanno perpetuato la memoria. San Valentino dunque rappresenta tanto il trionfo dell’amore quanto quello della morte.
Morte e Amore sono semplicemente le cose più belle che ha la terra: “Fratelli a un tempo stesso, Amore e Morte ingenerò la sorte, cose qua giù più belle altre il mondo non ha” è la sublime lezione di Giacomo Leopardi
Amore e morte hanno sempre viaggiato sullo stesso binario. L’ufficializzazione del loro “matrimonio” avvenne nel 1920 con l’uscita di Al di là del principio di piacere di Sigmund Freud.
L’idea generale è comunque quella proposta da Empedocle di Agrigento duemilacinquecento anni fa, ovvero ci sono due forze, Amore e Odio (Distruzione), che agiscono entrambe contemporaneamente e interscambiabilmente come forze creatrici e distruttrici.
Per innamorarsi bisogna morire, morire a se stessi. Non si scappa.
Morire serve per far spazio all’altro.
Ci innamoriamo quando una parte di noi muore. Senza questa morte non possiamo accogliere l’altro e non possiamo innamorarci.
In alcuni momenti della nostra vita ci chiediamo perché non arriva l’amore? Non arriva perché non c’è spazio sufficiente dentro di noi. Amare è morire. La morte crea lo spazio necessario. Il fuoco della passione che porta l’amore è il fuoco che ci brucia, che brucia parti di noi destinate alla morte.
La morte che avviene prima dell’amore è una morte dolorosa, fatta di ricerca e di rinunce a parti di sé.
Quando entriamo in relazione con qualcun’altro non possiamo essere ciò che siamo stati prima, perché ciò che siamo stati prima viveva in solitudine. Serve quindi un nuovo “Io” che può essere creato solo attraverso la morte del vecchio “Io”.
Ci innamoriamo perché le immagini psichiche dell’amore ci attraversano e scendono in campo distruggendo parti di noi obsolete. Per far posto all’amore dobbiamo essere pronti a morire. Come San Valentino, magari in maniera meno cruenta – anzi – solo simbolica mi raccomando, senza strafare.
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