Domenico Centamore: “sul set mi sento a mio agio”

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Domenico Centamore: “sul set mi sento a mio agio”

Domenico Centamore è la Sicilia stessa, plasmato con le sue materie: l’evidenza e la riservatezza. Sembra uscito da un libro in cui si narrano le nostre verità; è uomo ed attore e nello scambio dei momenti in cui deve essere l’uno o l’altro non carica di effetti speciali nessuno dei due. E’ se stesso e basta, desideroso di rendere al meglio il proprio lavoro che si sentiva destinato a svolgere. Domenico lo sapeva, lo raccontava a suo padre: “papà, io da grande voglio fare l’attore” ed il padre lo guardava rispondendogli: “va bene, ma poi ti passa, guarisci..“,  valutando fosse una sorta di malattia della quale il figlio si trovava a soffrire da adolescente. Alla prima del film  “I Cento passi” di Marco Tullio Giordana, a Catania presso il Palazzo della Cultura, guardandolo – certamente con orgoglio – gli disse “alla fine, ci sei riuscito, sei riuscito a fare ciò che desideravi”.

Vent’anni di carriera, uno dei volti italiani più “stabilmente duttile”, perché capace di esprimersi con eloquenti e affatto marcati cenni del corpo, tanto che spesso è stato scelto per interpretare il mafioso che dice senza parlare, che condiziona senza manifestare espressamente il potere e al tempo stesso, in grado di assumerne gli aspetti ironici e grotteschi. Domenico Centamore è stato bravissimo sempre: ancor prima di “Makari”, era stato grande nel ruolo di Vito ne “I cento passi”: la scena alla radio con Luigi Lo Cascio è indimenticabile! Come il suo gioco mal riuscito delle caramelle nella scena con Valentino Picone ne “La Matassa” e non ultima, nelle sue infradito e bermuda colorate abbinate a magliette alternative che con noncurante disinvoltura trasforma subito in un “must”, mentre percorre a piedi le strade di una località incantevole, quella del trapanese, di cui come Beppe Piccionello assume ogni grado di corenza e contraddizione.

Domenico Centamore è un caratterista di talento. Non ha fatto l’accademia, ma ha frequentato i teatri in lavori amatoriali e ha studiato osservando gli attori di un tempo, quelli che arrivavano, stavano cinque minuti in scena e venivano ricordati oltre la fine del film.

Beppe Piccionello (co-protagonista in Makari) tratteggiato dalla penna di Gaetano Savatteri è un ruolo che gli calza a pennello, tanto che sembra assorbire l’attore piuttosto che il contrario: e l’attore è straordinario sin dalla prima scena, quella in cui va a prendere Lamanna che sbarca dal traghetto. Lì Centamore/Piccionello ha la responsabilità di rappresentare per Gioè/Lamanna il luogo sicuro ed accogliente a cui tornare: e Domenico riesce a farci vedere tutto attraverso il suo sgangherato personaggio che inventa luoghi comuni e fa presa sulla gente con la sua schietta semplicità. Ci spiega una terra dove s’indossano abiti leggeri quasi tutto l’anno, in cui si vive all’esterno, in cui il mare è a portata di passo. E’ il siciliano generoso che nella gioia di condividere può apparire invadente; pronto a ricomporsi in una insospettabile riservata dignità se comprende di non essere corrisposto e peggio non capito.”…Poi uno si chiede come si fa ad andarsene via…”

   

<<Non ho mai avuto dubbi su ciò che avrei voluto fare: ho cominciato con la compagnia di teatro amatoriale di mio zio che allestiva a Scordia commedie della tradizione siciliana; e quando lessi sul giornale che Marco Tullio Giordana cercava attori e comparse per il film “I cento passi”, (produzione a basso budget) mi presentai alle selezioni e venni scelto e, solo in un secondo momento, considerato per uno dei ruoli cardine del film, quello di Vito, amico di Peppino Impastato>>

<<La mia interpretazione colpì il regista che mi scelse anche per la parte dell’agente Enzo ne “La meglio gioventù” e da lì ho continuato rivestendo ruoli di uomo d’onore. Ficarra e Picone intuirono la mia probabile virtualità comica offrendomi la parte di Ignazio, figlio di un boss mafioso, Don Mimì (Mario Pupella), che tenta di percorrere ingloriosamente le orme del padre, venendo invece affiancato e vigilato da Pietro, (Giovanni Martorana). Mi piacque tantissimo e lavorare ne La Matassa fu una esperienza straordinaria, anche per gli attori con cui ebbi occasione di trovarmi. E ritrovarmi, come Claudio Gioè con il quale mi ero incontrato sul set de “Il Capo dei Capi” in cui io ero Giovanni Brusca e lui Totò Riina: bravissimo!>>

   

<<Claudio è un professionista serissimo, un uomo perbene, con il quale subito abbiamo istaurato un rapporto fatto di stima e fiducia e forse, anche grazie a questo, sul set di “Makari” siamo riusciti a creare quella complicità che da impulso alle cose che poi accadono. Piccionello e Saverio sono nei racconti di Gaetano Savatteri le due facce della stessa medaglia, si completano e corrispondono: in maniera istintiva e verace Piccionello, e con un pensiero di peso più razionale Lamanna. Nessuno dei due singolarmente riesce a raggiungere quella efficacia necessaria a spiegare la Sicilia, i siciliani, il nostro approccio con l’amicizia; valore concreto ed invariato per l’uno e riscoperto per l’altro. Michele Soavi, il regista, definisce Beppe Piccionello come il Sancho Panza che cavalca fiduciosamente accanto al giornalista reduce da uno spiacevole epilogo professionale.>>

   

<<Il successo del personaggio? Ne sono felice, felice di essere stato scelto per impersonarlo! Sono abituato a studiare, a soffermarmi sulle sfumature dei ruoli che mi vengono affidati: appartengo alla categoria degli attori caratteristi che hanno la grande responsabilità di tratteggiare le connotazioni di un ruolo che non è marginale, ma necessario a definire e far ricordare. Quando riesco in questo, mi sento soddisfatto: il set è un luogo che vivo con gioia, in cui mi sento a mio agio>>

<<Ho scelto di continuare a vivere a Scordia e spostarmi quando giro: con tutte le sue contraddizioni, le difficoltà (soprattutto adesso), la mia terra mi da la vera dimensione della vita, anche professionale. Non amo fare commenti sul mio privato che mantengo in un’area riservata, soprattutto perchè la mia famiglia è davvero il mio rifugio. Insomma, non ho velleità da star: amo il mio mestiere e ci tengo a fare il meglio per farlo bene.>>

 

  

 

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