Il giornalista Nino Milazzo ci ha lasciati la scorsa settimana. La sua scomparsa ha suscitato in Sicilia immediatamente unanimi sentimenti di cordoglio e tanti articoli hanno ricostruito il suo percorso esistenziale e culturale, la brillante carriera e gli esordi, la nascita a Biancavilla nel 1930.
Chi ha avuto modo di frequentarlo ne apprezzava le doti umani e professionali. Chi, invece, lo aveva conosciuto fugacemente rintracciava in quell’ormai anziano signore, ex giornalista di successo, un senso di disincanto radicale, un sentimento sconsolato e disilluso racchiuso nella frase di Cesare Pavese: “Di tutto quanto di quella vita di noi altri che cosa resta? Magari un falò di erbe secche, una scintilla di memoria”.
Sono le parole del protagonista del romanzo “La Luna e i Falò” che una amica di Milazzo ha scelto per commemorarlo pubblicamente, in un necrologio apparso sul Corriere della Sera.
Eppure Nino Milazzo in gioventù era stato un combattente, passando da una redazione all’altra (vicedirettore del Corriere della Sera, vicedirettore de L’indipendente, condirettore de La Sicilia, direttore di Telecolor) in crescendo e con incarichi pubblici sempre più prestigiosi (Teatro Massimo Bellini, Teatro Stabile di Catania): Esperto in politica internazionale, aveva una visione chiara di quello che accadeva fuori dai confini nazionali ma purtroppo prese anche qualche abbaglio, come quando sbagliò la valutazione sul fenomeno mafioso a Catania. Talvolta le cose più vicine sono quelle che si comprendono peggio.
Ferruccio De Bortoli, che gli era amico, lo ha voluto ricordare come “Gentile maestro di buon giornalismo”. Ma più che ai giudizi degli altri giornalisti vale la pena dare la parola allo stesso Nino Milazzo, che in una autobiografia, sul filo della memoria, ripercorrendo la sua vicenda umana e professionale, scrive: “Può essere difficile essere siciliano nel mondo. Ed è sicuramente duro il travaglio di chi, nato nel fascismo e educato dal fascismo, cerca nella propria coscienza la via verso il sospirato approdo nei valori della libertà, della democrazia”.
Su questo duplice percorso si è sviluppato il cammino di Nino Milazzo che, con la sua lunga esistenza, ha coperto un lungo e vasto arco di tempo: dall’infanzia, segnata dalle privazioni e dai traumi della guerra, alla vecchiaia, vissuta con la lucida consapevolezza della distanza che inesorabilmente separava la sua generazione da un mondo in rapida trasformazione. La sua commovente e lucida riflessione sulla solitudine della vecchiaia, sulle delusioni, politiche e private, con sguardo appassionato ma consapevole dell’imminenza della fine, sono il suo testamento spirituale.
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