“L’Assaggiatrice” di Giuseppina Torregrossa è un libro da leggere.
“L’Assaggiatrice” interpretato da Egle Doria per la regia di Nicola Alberto Orofino è un lavoro teatrale da vedere.
All’interno della rassegna estiva (che ci auguriamo di cuore sia un’anticipazione di quella invernale), al Teatro del Canovaccio è andato in scena “L’Assaggiatrice”, recital con Egle Doria, per la regia di Nicola Alberto Orofino, tratto dal libro di Giuseppina Torregrossa. Aiuto Regia, Gabriella Caltabiano. Voci di: Roberta Amato, Alessandra Barbagallo, Francesco Bernava, Grazia Cassetti, Luca Fiorino, Alice Sgroi e Francesca Romana Vitale.
Foto di Dino Stornello.
Il palco è stato allestito nella prossima Via Gulli, sottratta alla trascuratezza e alla disattenzione; la strada che disegna un martello con la piazza Gandolfo, si presenta adesso come un elegante corridoio con posti a sedere che garantiscono il distanziamento, un tetto a cielo aperto e le pareti laterali degli edifici storici a protezione dello spettatore che gode di un’acustica perfetta. La Forza del Teatro è più di una semplice rassegna teatrale: Salvatore Musumeci, Saro Pizzuto, ancora una volta hanno creduto nel valore di questo mestiere, impiegando risorse personali e soprattutto ancora la speranza che da questa oscurità si possa uscire pian piano. Coraggiosamente hanno predisposto un cartellone ricco di nomi di professionisti eccellenti: oltre Egle Doria, Laura Giordani, Guseppe Ferlito, Carmela Buffa Calleo, Alice Sgroi, Roberta Amato, Cinzia Caminiti, Barbara Cracchiolo, Valeria La Bua, Aldo Toscano e Paola Greco, figlia dell’indimenticabile Nando Greco che negli anni ’60 fondò Teatro Club, portando a Catania artisti e lavori di altissimo livello: uno per tutti: L’Amleto di Carmelo Bene.
Egle Doria è Angiledda, sposa piena di speranze ad un ingegnere che dopo un certo numero di anni di matrimonio scompare senza dare spiegazioni: si avvia un’altalena emotiva che oscillerà dalla preoccupazione alla paura della solitudine personale, della responsabilità di genitore, delle difficoltà economiche. Ma Angiledda è donna, concreta e affatto banale: da questa altalena con un gran salto riconquista la terra e seguendo il consiglio di sua sorella, apre un negozietto pieno di spezie, profumi, umori e ricordi da portare via dalla Sicilia, che come lei si sente un po’ abbandonata e un po’ riemerge orgogliosa tirando a lucido l’argenteria, le ceramiche e le porcellane, i cocci e le pentole. Per far chè? Cucinare, per fare ciò che sa fare bene….e “Per curarsi, per guarire…”
E Angiledda non si sente più o quasi un numero dispari in mezzo a tante coppie che bisbigliano. Lei è il femminile che scivola con discrezione sui profili di ogni stoviglia, mani che cercano e scelgono cibo, bocca che porta alle labbra cucchiai colmi da assaggiare… E’ una donna con una porta aperta sul mondo, seduta sui gradini a fumare una sigaretta; le sue narici avvertono ogni profumo del cibo che ha messo a cucinare, lì nel retrobottega, ma anche ogni fragranza maschile che giunge, cacciando dapprima nel suo intimo colloquio la vergogna e la curiosità, poi esprimendo con stupìta voluttà ogni aspetto primitivo legato ad una liberazione ampia come un abbraccio e fragorosa come un urlo di piacere finalmente sciolto dai lacci del pudore.
Il cibo a contatto con le papille gustative, anticamera della bocca, evoca ricordi, scatena piacere: è innegabile. Innegabile e impossibile da nascondere come il decolletè generoso di una donna bella che t’invita ad assaggiare cous cous, parmigiana, caponata, cassatelle, sfince, biancomangiare…
Egle Doria è al centro di tutto questo: col suo incedere raffinato, per inclinazione naturale, si muove nella cucina della nonna e della mamma dapprima e poi nel suo negozietto delle meraviglie, esaminando ogni dettaglio, facendo rivivere zie spregiudicate, sorelle strutturate, uomini dalla pelle ambrata e banchetti di cose da vendere: commissari di polizia impazienti ma titubanti, amiche ritrovate e riscoperte. E’ sola al centro della scena e non ha niente intorno a sé se non il palco nudo e crudo che non appena lei inizia a recitare diventa un vortice che rapisce lo spettatore in una girandola di voci fuori campo, di elenchi di ingredienti e tempi di cottura e segreti che rendono la magia esclusiva di quel piatto. Con una bravura ancora una volta indefinibile, quanto già nota, Egle Doria è in grado di tratteggiare nel suo racconto i luoghi, colorandoli col la tinta del cielo, del mare, della sabbia e delle strade estive piene di calore. Ci fa vedere la scaletta davanti alla sua attività, il braccio indolente che regge la sigaretta, le splendide gambe aggiustate sui gradini e ci fa avvertire l’odore del mare che arriva dal molo, l’odore che fa d’estate quando fa caldo e quello più pungente quando caldo ne fa meno. Ruba l’interesse dei più attenti quando parla di una donna misteriosa e riservata che prende il sole su uno scoglio e di quando in quando risale la china per appropriarsi del paese…
Egle Doria è incommentabile; soltanto ancora una volta indimenticabile in un ruolo magnifico.
“Il Segreto della felicità è prendersi cura degli altri….” G. T.
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