Avviata anche la nuova stagione invernale al Teatro del Canovaccio con il lavoro “Amabili mostri“, scritto ed interpretato da Valeria La Bua e Davide Arnau Toscano. Luci di Simone Raimondo. Produzione Teatro del Canovaccio. Foto di Agatino Dipolito.
La “Teraphobia”, paura dei mostri, è assai comune nell’età prescolare del bambino; crescendo, si prendono le distanze da fenomeni che vengono abbandonati anche grazie a una buona collaborazione degli adulti. In psicologia, si parla infatti di “approccio empatico“, di “forme simboliche” ed “atmosfere magiche“; ovvero l’approccio complice da parte dei genitori che devono organizzare una sorta di gioco per smascherare ed allontanare mostri sotto al letto, uomini neri nascosti nell’armadio, ombre che emergono dal buio. La paura del mostri da piccoli aiuta a conoscere e soprattutto affrontare l’ignoto, atteggiamento sano che da grandi, se non risolta, si traduce patologicamente truccando il problema, camuffandolo con altre distrazioni.
Valeria La Bua e Davide Toscano Arnau scrivono, durante i mesi di isolamento forzato causato dalla pandemia, un lavoro davvero intuitivo e delizioso, raccontando attraverso itinerari storici dei classici del genere, (quando tutto ebbe inizio a cavallo fra il 1700 ed il 1800), per mano e fantasia di un signore, scrittore tedesco, che rispondeva al nome di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, creatore del mostro “della sabbia” che viene di notte e predilige gli occhi. Hoffmann, uomo geniale, versatile e assai colto, sarà fonte di ispirazione per gli scrittori esponenti del Romanticismo, sia coevi che successivi; persino lo stesso Luigi Pirandello valuterà il concetto di “umorismo”, tipico di questo eclettico uomo di cultura. Un plauso agli attori per aver sapientemente rispolverato questo importante autore ed averlo inserito con proprietà nel preambolo di “Amabili mostri”, suscitando nello spettatore quella dotta curiosità che innesca senza mai finirlo, il processo di apprendimento. Anche perciò bisogna andare a teatro, per non perdere l’occasione di essere attivi rispetto agli stimoli e agli spunti.
Adorabili Mostri è un lavoro davvero ben scritto e congegnato, sospeso fra la favola e l’incubo, restituisce comunque un’immagine placida sull’argomento. Valeria La Bua ha una padronanza scenica già valutata ne “68, punto e basta“ di Nicola Alberto Orofino e in “Madri di Guerra” di Antonella Caldarella. E’ evidente la sua grande disinvoltura sul palcoscenico, la preparazione accademica e sul campo (ha studiato alla scuola del Teatro Stabile di Catania e lavorato per cinema e tv) e conosce le potenzialità espressive del proprio corpo, contando sulle sue naturali inclinazioni ed adattandole piuttosto che studiando atteggiamenti artefatti. Ne viene fuori un risultato convincente che invita lo spettatore e/o critico ad osservare con maggiore interesse: credo davvero che Valeria La Bua sia da tenere d’occhio.
Lei ed Davide Toscano Arnau giocano sul palcoscenico con abiti, oggetti e luci del bravo Simone Raimondo, qui adoperate per configurare quelle circostanze narrate, senza però richiamare nelle atmosfere generate il sinistro significato occulto dell’ignoto. La scena delle ombre con le mani è davvero il momento, sia registicamente che narrativo, più alto dell’intero lavoro che ha la qualità di entrare ed uscire da numerosi livelli di impronta emotiva variabile: intermezzi ballati, ironia e malinconia rendono insieme la fallacità dell’esistenza e l’importanza di superare il malessere.
Ho assistito al debutto di questo bel lavoro e sono sicura che le repliche aiuteranno a perfezionare l’intesa. Forse la regia, in alcuni cambi di pagina, è un po’ congelata, ma proprio non si riesce a trovare imprecisioni in questa valida prestazione.
I due giovani e bravi attori ci hanno raccontato la paura dell’ignoto senza usare i luoghi comuni tanto largamente adoperati da due anni a questa parte, e perciò gliene siamo grati: per le belle pagine molto ben illustrate e per non avere reso ancora una volta l’angoscia di questo momento storico. Ciò rende loro il merito di aver saputo attraversare l’argomento in maniera assai più efficace e affatto pedante, rappresentando la leggerezza della paura rispetto ad un mostro della letteratura, facendoci riflettere sulla paura vera, quella che può essere nascosta dietro la falsità e l’imprevisto, occorrenze ahimè ridondanti nella realtà, in cui le manifestazioni del male superano la fantasia.
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