Era quasi astemio, ma alle pendici del nostro vulcano produceva vini venduti in tutto il mondo. Andrea Franchetti, uno dei pionieri del successo dei vini dell’Etna, se ne è andato a Roma lo scorso 5 dicembre.
Lascia in eredità la passione per i vitigni tipici dell’Etna, qual sono il nerello mascalese ed il nerello cappuccio, che oltre venti anni fa cominciò a far rivivere nei terrazzamenti incastonati tra i 700 e i 1100 metri s.l.m. nelle contrade intorno a Passopisciaro, una delle frazioni di Castiglione di Sicilia, sul versante settentrionale, quello lambito dall’eruzione del 1879 che guarda verso Randazzo ed i Nebrodi e respira le brezze della costa jonica. Qui, dove il gusto del vino cambia da contrada a contrada a seconda delle caratteristiche pedologiche del suolo, i vigneti secolari, piantati ad alberello, godono dello strapazzo climatico: il vino diventa più buono se la temperatura fa sbalzi e se durante la maturazione dell’uva si susseguono notti freddissime a giorni assolati.
Andrea Franchetti era il rampollo di una importante famiglia ebraica, il cui capostipite fu un commerciante di Livorno. I discendenti divennero imprenditori e banchieri, proprietari terrieri e collezionisti, esploratori e diplomatici, patrioti risorgimentali e protagoniosti del jet-set, che rimpinguarono le loro immense ricchezze finanziarie sposando una Rothschild. Suo nonno paterno, Giorgio Franchetti sr, comprò e restaurò uno dei più strabilianti palazzi di Venezia, la Ca’ d’oro, poi donata allo Stato Italiano ed adesso museo.
In questo ambiente internazionale, Andrea (ma il suo nome all’anagrafe era Giorgio Andrea) nacque il 15 giugno 1949 a New York, da madre americana. Un po’ eccentrico ed un po’ hippy, questo “figlio dei fiori” stanco di vagabondare cominciò a considerare la viticultura come una avventura da intraprendere in terre selvagge: prima in Val d’Orcia, le colline argillose e spopolate della Toscana meridionale, poi alle pendici dell’Etna, quando il vino che qui si produceva era ancora di scarsa quantità e qualità.
Chissà cosa lo attrasse a Passopisciaro! Scoprì per caso quel luogo quando un pastore gli mostrò la tenuta semi diroccata e bruciata, che lui comprò, forse attratto anche dal singolare nome della località. La denominazione originale era, a quanto si dice, “passo del pescivendolo” (in siciliano: pisciaru), in riferimento al pescivendolo rimasto lì ucciso a causa di uno scambio di persona in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine; a quanto pare il poveretto era stato raggirato da un bandito, che puntando sullo scambio di identità con l’ignaro bersaglio, aveva scampato arresto e galera.
Andrea Franchetti fu l’inventore de “Le contrade dell’Etna” una manifestazione vitivinicola che già dal primo anno, il 2008, dimostrò un grande potenziale richiamando un centinaio di espositori a Randazzo. Lì presentò il suo Chardonnay coltivato a 1000 metri: un azzardo, esempio vivente di come la fortuna aiuti gli audaci. Se non fosse stato ardimentoso, Andrea avrebbe certamente fatto tesoro di ciò che scriveva il suo prozio, il barone e senatore Leopoldo Franchetti, nel volume “La Sicilia nel 1876”: “il vino qui ha un valore minimo”, scriveva Leopoldo, ed aggiungeva: “i proprietari terrieri sono soliti passare qualche mese in campagna e specialmente durante la vendemmia”; questa permanenza dei proprietari sui loro poderi “nuoce sensibilmente alla costumatezza della ragazze dei massari”: le contadine benestanti cioè venivano concupite ma non sposate.
Protagonista di una avventura umana veramente affascinante, Andrea Franchetti fu un personaggio visionario, un po’ Fitzcarraldo alla Herzog, un po’ Heatcliff di “Cime tempestose” un po’ Conrad. Qualche anno fa a Scicli comprò un vecchio casolare che ristrutturò in villa pompeiana. Sperava di trascorrere lì gli ultimi anni, guardando dal terrazzo la spiaggia di Sampieri e l’immensità del mare.
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