Era il 2018 quando Inge Auerbacher fu ospite presso l’aula consiliare del comune di Belpasso per presentare il suo libro: I’am a star.
Liberamente ispirato dalla sua autobiografia, Inge Auerbacher, visse la tragica esperienza dei campi di sterminio nazista a Tezenin, in Cecoslovacchia dal 1942 al 1945. Inge, nasce nel 1934 in un paesino tedesco al confine con la Francia e la Svizzera: Kippenheim; la sua infanzia fu spensierata e tranquilla, prima della sua deportazione. Di famiglia borghese la piccola Inge giocava nel cortile di casa a “fare gli esperimenti,” il suo sogno era quello di fare la scienziata, sogno in parte realizzato( divenendo biologa) trasferitasi negli Sati Uniti, a New York, dove vive ancora oggi. Durante il suo racconto Inge, si sofferma su una foto, dove vi era ritratto un camion e delle persone che salivano messe in fila poichè poste in stato di arresto: era il 1938, iniziava la cosidetta:”notte dei vetri rotti”, ovvero i primi rastrellamenti ad opera dei nazisti con a capo Hitler. Il padre ed in nonno dell’autrice vennero arrestati, settimane più tardi vennero rilasciati tornando a casa. Molte famiglie di Kippenheim, vennero deportate verso altre città nei campi di concentramento, quelle che restavano erano costantemente molestate. I bambini, ad esempio compresa Inge, furono costretti a frequentare scuole “speciali”, dove l’ingresso era permesso solo a piccoli studenti di origine ebraica e non ai cosidetti puri di razza “ariana”, costretti ad indossare la stella di Davide, simbolo della religione ebraica con su scritto “jude”,(giudeo) che per altro veniva pagata dagli stessi genitori, che magari dopo aver perso tutto, venivano umiliati e beffati indegnamente. L’autrice seppure in tenera età, non riusciva a capire perchè i compagni (cristiani) fino a qualche tempo prima, condividevano giochi spensierati frequentando la stessa scuola, Inge non se ne faceva una ragione e si chiedeva: perchè tutto è cambiato? Grandi e piccini assistevano indifferenti ai rastrellamenti nazisti, azione abominevole che accadde a causa della follia di un uomo, che credeva in una razza superiore alle altre: -“Chi assiste a violenze senza aiutare la vittima, restando indifferenti alla sofferenza in qualsiasi situazione essa si trovi, quella persona diventa complice”- questo è ciò che Inge ha ribadito alle classi di quinta elementare e di scuola media superiore che, 4 anni fa assistettero all’evento. Il momento drammatico, che la portò in un campo di concentramento a soli sette anni, fu nel 1942 quando insieme ai suoi genitori i suoi fratelli, e ad altre famiglie furono portati in Cecoslovacchia a Terezin; ricorda che, durante il tragitto i bambini spaventati piangevano oppure camminavano lentamente, venivano picchiati con il frustino ed i suoi genitori cercavano di fargli da scudo affinchè non venissero colpiti, ma non solo, quando qualcuno di loro starnutiva veniva letteralmente inondato con una pompa di l’acqua gelata perchè dava fastidio( a suo padre capitò due volte) insomma non potevano nemmeno respirare, perchè altrimenti venivano vessati e maltrattati. Quando giunsero al campo, gli fecero indossare il pigiama a righe, entrò in questa stanza dove le venne assegnato un letto da dividere con un’altra bimba coetanea. Avveniva così per tutti, la consuetudine di dividere il letto, con la conseguenza di trasmissioni di malattie e di tanti decessi a causa di norme igieniche inesistenti; trattati come bestie. Le giornate erano interminabili non sapevano nulla riguardo la loro sorte, vedeva solo che talvolta gruppi di persone venivano spostate in altri campi e poi non se ne sapeva più nulla; un giorno la sua compagna di gioco e di vita, con la quale divideva il letto, venne trasferita anche lei insieme ad altri. Seppe poi che fu portata ad Auschwitz, dove venne trucidata. Quando l’orrore ebbe fine nel 1945 ad opera degli alleati, Inge con la sua famiglia rappresentarono l’1% dei sopravvissuti al genocidio,(un miracolo) scampando alla morte. Si trasferirono da li a poco negli Stati Uniti. Quello che testimonia con il suo libro, l’autrice pur non entrando nei dettagli delle torture subite e viste, (sicuramente per non voler spaventare i bimbi presenti, troppo piccoli per sentire racconti raccapriccianti) ciò che è rimasto nei cuori di tutti studenti e non, è l’assoluta volontà nel perseguire il ricordo della Shoa, affinchè nessuno dimentichi mai che la follia di un uomo, ha portato allo sterminio di sei milioni di persone perchè secondo un’ideologia, fondata sulla superiorità di uomini rispetto ad altri, una mente malata e malvagia convinse altri intorno a sè che questo popolo, non valeva nulla, quindi sopprimerli era l’unico modo per salvaguardare una razza pura che non esiste! Ancora oggi ci sono pensieri antisemiti, in giro per il globo…ancora una volta la stupidità e l’ignoranza di certe menti lavorando a favore dell’odio e del fanatismo che non devono in nessun modo, sostituire la dignità di un uomo che deve professare la sua fede in libertà ed amore fraterno, sempre. L’amore per Dio, è amore per la vita e per la tolleranza, avere paura del diverso porta ad ideologie sbagliate anche quando certi assassini, di qualunque fede religiosa, dicono di uccidere un altro uomo in nome di Dio. Nel secondo comandamento che il Signore diede a Mosè, sta scritto: ” Non nominare il nome di Dio invano”, ed il quinto dice chiaramente : “Non uccidere”. Il nostro buon Pastore ci ha dato le regole per vivere in pace serenamente, donandoci il libero arbitrio, siamo noi a decidere per la nostra vita nel bene e nel male. La testimonianza di Inge, rappresenta un gioiello da preservare, un onore per me fu, ascoltarla e conoscerla.
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