Deve escludersi la ricorrenza del “cohousing” quando la residenza delle persone anziane è finalizzata in tutto o in parte a consentire l’erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno (rientranti nei servizi alla persona e come tali soggette ai requisiti specificatamente previsti a tutela degli utenti) da parte di terzi, dai quali dipenda (anche solo parzialmente) l’organizzazione dell’ambiente; il cohousing segue, infatti, essenzialmente le direttrici dell’incoraggiamento della socialità, dell’aiuto reciproco, dei rapporti di buon vicinato, della riduzione della complessità della vita, della sua migliore organizzazione con conseguente diminuzione dello stress, della riduzione dei costi di gestione delle attività quotidiane (1).
Ha chiarito la Sezione che il cohousing è una forma non regolamentata di convivenza tra persone che, senza essere legate da vincoli o legami parentali, scelgono di risiedere in un’unica unità immobiliare della quale condividono gli spazi comuni.
Secondo la Sezione, tale figura, in quanto non ancora normata, rappresenta un fenomeno spontaneo di aggregazione e non ricorre quando, in presenza di persone anziane e non del tutto autosufficienti, la convivenza è intermediata da una organizzazione terza che si fa carico anche di erogare prestazioni tipiche dei servizi sociali, come accertato nel caso di specie.
Si osserva che sul tema non si registrano precedenti specifici e quindi la fattispecie è nuova.
In assenza di una specifica disciplina e sulla base di quanto espone la sentenza, sembrerebbe doversi ricondurre la figura del “cohousing” all’istituto civilistico della comunione (in questo caso del diritto di abitazione o di altro diritto sull’unità immobiliare) con la conseguenza che, quando i cohouser sono persone anziane, per distinguerlo da una fattispecie ordinaria di residenza assistita, caratterizzata dalla concomitanza o prevalenza funzionale di prestazioni tipiche dei servizi sociali (assistenza morale, materiale, medica, infermieristica e così via a persone non autosufficienti o non del tutto autosufficienti) bisognerà avere riguardo al complessivo equilibrio tra le obbligazioni dedotte in contratto.
Solo quando queste ultime saranno riconducibili esclusivamente o principalmente alla regolazione delle spese comuni (affitto, luce, gas, alimenti), che possono anche includere ma solo ove non prevalenti sulle prime, prestazioni accessorie ed eventuali da parte di terzi (come visite domiciliari di personale medico o infermieristico o di assistenza sociale), si potrà identificare nella fattispecie dedotta una forma di “cohousing” con conseguente inapplicabilità delle previsioni attinenti l’autorizzazione ed i requisiti altrimenti previsti dalla legislazione regionale sulle residenze (come nel caso di specie la LR Lazio nr. 41/2003).
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