La popolazione siciliana vive in una regione di frontiera dell’Italia ma anche dell’Europa e trae principalmente risorse economiche dalla esportazione di produzioni agricole soprattutto quelle del settore agrumicolo, della serri coltura, della viticoltura e dalla pesca, mentre la regione è fortemente deficitaria nella maggior parte dei settori legati alle produzioni manifatturiere.
Quindi i trasporti rappresentano un elemento strategico e i relativi costi incidono in maniera determinante sulle esportazioni che a causa di questi costi possono non essere apprezzate dai mercati nazionali ed esteri. Infatti le produzioni siciliane debbono confrontarsi con altre produzioni similari, in primo luogo con quelle spagnole la cui distanza con i principali mercati europei è mediamente inferiore di 1200 km, mentre l’assenza in Sicilia di molti prodotti manifatturieri costringe i mercati siciliani ad accettare comunque gli aumenti dei costi relativi.
A questo handicap va aggiunto il deficit infrastrutturale ed il costo imposto dalla mancanza di continuità territoriale che impone l’utilizzo di navi traghetti a costo pieno. Nei porti siciliani annualmente transita una media di 910 milioni di tonnellate di prodotti no/oil in uscita e poco meno in entrata mentre in maniera parallela e distante opera il settore petrolifero con ben cinque insediamenti petroliferi attivi nell’ Isola, per complessivi 241 pozzi, che estraggono ogni anno una media di 600 mila tonnellate di greggio, il 15 per cento dell’ intera produzione in Italia. Un settore che da una occupazione risibile e al territorio, cioè alla Regione, lascia royalty per appena 400/500 mila euro all’anno, una cifra inferiore a quanto la Regione spende per acquistare la carta nei propri uffici.
Inoltre in Sicilia sono attive 4 raffinerie (Gela ha chiuso lasciando un territorio disastrato ed inquinato per la cui riqualificazione occorrono oltre 20 miliardi mentre la popolazione presenta una
percentuale di arsenico nel sangue allarmante i cui danni sono ancora tutti da verificare). Le raffinerie siciliane non solo raffinano i prodotti estratti nell’isola, ma soprattutto ricevono, da grandi navi cisterne, petrolio da raffinare che viene scaricato principalmente nei porti di Augusta, Siracusa e Milazzo dove le produzioni raffinate vengono caricate con un volume che annualmente supera di gran lunga il tonnellaggio dei prodotti no/oil trattati nei porti di tutta la Sicilia. Questa attività altamente inquinante, soprattutto nelle lavorazioni eseguite sino a pochi anni or sono, ha determinato e determina un grave danno all’ambiente e alla salute senza alcun bilanciamento in termini economici alla vita dei siciliani.
Ultima notazione: la interruzione della continuità territoriale dovuta alla mancata realizzazione del ponte sullo stretto di Messina determina una perdita calcolata in due punti di PIL all’anno ed un costo proibitivo sui trasporti di merci e passeggeri sui quali lo Stato non è mai intervenuto. Inoltre nello stretto il forte traffico delle navi traghetto causa un gravissimo inquinamento
Ciò premesso in questi giorni si è abbattuto in questa zona periferica del Paese, ma strategicamente di grande importanza, l’aumento dei costi dei combustibili: 2000 euro oggi è il costo di un pieno di un Tir da 44 tonn. Aumento dei prezzi del carburante significa aumento dei prezzi di tutto.
In Italia il carburante è assoggettato ad una doppia tassazione. Infatti sui rifornimenti di benzina, gasolio e metano, lo Stato italiano prevede Iva ed Accise.
L’Iva è al 22% e questo produce notevoli introiti come erario. Ma è la doppia tassazione ad incidere sui costi, le accise sul prezzo dei carburanti hanno una incidenza enorme. Per benzina e gasolio siamo rispettivamente al 41% ed al 37,5%, mentre si scende al 18% per il Gpl.
I trasportatori siciliani così subiscono un incremento di spesa tra i 100 ed i 300 euro, in base naturalmente alla lunghezza del tratto, mentre si ricorda che nel trasporto su strada solo i mezzi pesanti oltre le 7,5 tonnellate (ed almeno con classe di inquinamento Euro 5) possono richiedere il credito di imposta per il rimborso delle accise, praticamente pochissimi visto che sul totale degli autocarri presenti oltre il 90 per cento è sotto la soglia delle 7,5 tonnellate. E anche per chi ha la possibilità di chiederlo, l’attuale credito di imposta ha raggiunto il livello massimo consentito dalle norme comunitarie.
E’ divenuto indispensabile, per una regione strategica e periferica come la Sicilia a cui si è negato l’intervento per garantirle la continuità territoriale, che lo Stato tolga IVA ed accise sui prodotti petroliferi e il gas per tutti i cittadini siciliani e per chi vi opera.
I carburanti costerebbero ai Siciliani e ai loro operatori attorno agli 80 o 90 centesimi di euro il litro e ciò rappresenterebbe un intervento che potrebbe compensare il divario strutturale che si vive nell’isola, bilanciare i danni arrecati dall’attività di raffinazione, riconoscere alla popolazione una parte di quanto ha fruttato e frutta l’estrazione del petrolio che avviene da 70 anni, senza che questa misura sia un costo reale per lo Stato, solamente un mancato introito che, però, eviterebbe un collasso sociale dai costi non prevedibili.
Interventi di questo tipo a favore delle popolazioni di frontiera sono già stati adottati dallo Stato e a tal riguardo basta leggere le normative che sono state applicate nelle province di frontiera del Friuli Venezia Giulia che hanno avuto le stesse caratteristiche di “peso” per lo Stato e di aiuto per i cittadini, aggiungendo il fatto che il reddito pro capite dei siciliani è la metà di quello di quelle popolazioni.
Una normativa di tale segno interverrebbe in maniera sostanziale in tutti i settori produttivi, primi tra tutti la pesca che è un settore importante per l’intero Paese. Infatti il prezzo del petrolio ai massimi storici rischia di affondare anche la flotta peschereccia siciliana, già duramente messa in difficoltà dalla riduzione delle giornate di pesca e dall’aumento insensato dei canoni demaniali. Con gli attuali ricavi la maggior parte delle imprese di pesca non riesce a coprire nemmeno i costi energetici, oltre alle altre voci che gli armatori devono sostenere per la normale attività. Di questo passo uscire in mare non sarà economicamente sostenibile e i pescatori si troverebbero costretti a navigare in perdita o a tagliare le uscite rischiando così di favorire le importazioni di pesce straniero che non garantisce gli stessi standard di qualità e sicurezza del prodotto “made in Italy”. Con questi costi le imprese non riusciranno a sostenere a lungo le uscite in mare e rischieranno di dover restare a terra incidendo gravemente sulla filiera e sull’occupazione che in Sicilia conta una flotta peschereccia 3.323 imbarcazioni e rappresenta di gran lunga la flotta regionale più grande d’Italia,
sia in termini di numero di pescherecci (24,4% della flotta nazionale), sia di capacità totale (33,1% della stazza lorda e 25,2% della forza motrice).
Parallelamente al prezzo netto per i carburanti in Sicilia occorrerà affrontare strutturalmente il settore del trasporto su gomma su cui viaggiano le merci siciliane. E’ opportuno studiare interventi nazionali e regionali che affrontino organicamente il settore e sarebbe il caso che la Regione Siciliana evitasse di sostenere che l’aumento dei costi dei carburanti i trasportatori li scarichino sulla committenza perché le filiere agricole sono già in grave difficoltà e rischiano di restare escluse.
Occorre operare su:
- dichiarazione dello stato di crisi energetica con conseguente sterilizzazione di tutte le accise che gravano sulla vendita di carburante;
- contributo strutturale a fondo perduto che abbatta almeno il 30% del costo dei traghettamenti e delle autostrade del mare;
- apertura del tavolo di lavoro permanente sulle regole di settore per un’analisi approfondita;
- abolizione del pedaggio sull’autostrada Catania Messina, in quanto non in regola per le corsie di emergenza;
- abbattimento dei costi dei traghetti;
- riconoscimento delle difficoltà in cui si ritrovano le categorie derivante dall’insularità, dalla posizione geografica svantaggiata, riconoscere il gravissimo danno ambientale arrecato al territorio e alla salute delle popolazioni dall’attività delle raffinerie, riconoscere il ritardo rispetto al resto del Paese delle infrastrutture e dei servizi, riconoscimento di contributi a fondo perduto per l’ottimizzazione della logistica, per l’imballaggio, per la trasformazione e per il trasporto belle produzioni siciliane;
- destinazione, da parte della Regione Siciliana, una quota delle risorse del Fondo di Coesione e Sviluppo 2021 – 2027 per garantire alcune iniziative mirati all’abbattimento di alcuni costi del comparto.
Su queste linee i promotori di “Vertenza Sicilia” danno corpo ad un comitato per promuovere una iniziativa che da un lato riunisca in una linea unitaria di lotta le categorie maggiormente esposte e contemporaneamente informi tutti i siciliani al fine di creare un vasto fronte di solidarietà e di partecipazione. Accanto a questa opera di coordinamento e di proselitismo si cercherà un confronto con i parlamentari di tutti i gruppi con l’obiettivo di inserire un pacchetto di norme che si muovano in questa direzione all’interno del primo provvedimento utile, anche nel redigendo Documento di Economia e Finanza.
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