Si è conclusa con “La Fortuna con la Effe maiuscola” la stagione teatrale di cui Alessandro Idonea è direttore artistico al Metropolitan di Catania: gradimento del pubblico e lunghi applausi per una operazione di restyling davvero degna di parole meritorie. E, per F-ortuna, un’altra si approssima con lavori in abbonamento ed un altro extra: Liolà di Luigi Pirandello; Amore, sono un po’ incinta di Marco Cavallaro; Non ci resta che ridere di Antonio Grosso; C’è Costa per te con Antonello Costa ed infine Miseria e Nobiltà, tributo ad Eduardo Scarpetta e la Cavalleria rusticana, a conferma dell’attenzione che Alessandro riserva ai grandi autori del teatro del passato. Un passato che gli allestimenti e le regie dell’attore figlio di cotanto padre – che si adopera nel mondo dello spettacolo con peculiarità personalissime – porta sul palcoscenico dimostrando quanto essi siano estranei all’usura del tempo, avendo nella propria struttura un patrimonio congenito fatto di valori nei quali, malgrado accadano altre faccende e oggi si siano persi di vista i riferimenti più saldi, ci riconosciamo un po’ tutti, bisognosi forse di specchiarci in acque più cristalline…. epoche in cui “la povertà faceva fare poca spazzatura“.
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“La Fortuna con la F maiuscola“, venne scritta da Eduardo De Filippo in collaborazione con Armando Curcio nel 1942 e fa parte della raccolta “Cantate dei giorni pari” in cui l’autore collocava le opere con un epilogo positivo.
Tradotta dal napoletano al siciliano da Alessandro Idonea che ne ha firmato anche la regia, si avvale in questa versione di un cast brillante: nel ruolo della moglie, Giovanna Criscuolo, Bruno Torrisi in quello del notaio, Salvo Disca in quello di Enricuccio e Nellina Fichera in quello di Agatina. Inoltre, Giuseppe Brancato (nel ruolo di Vito, il marito tradito), Antonella Cirrone (la portinaia Concetta), Federica Fischetti (Virginia, la sensitiva), Chiara Seminara (Amalia, la moglie infedele), Enrico Pappalardo (l’avvocato), Nino Signorello (il dottore), Giuseppe Brancato (il brigadiere) e Massimo Giustolisi (il barone Santino). Le scene sono di Salvatore Tropea, i costumi di Noa Prealoni e le luci di Francesco Noè. Direttore di scena Emanuele Salamanca, macchinista Aureliano Idonea. Foto di Dino Stornello.
Esempio acuto di commedia grottesca, narra gli sforzi di Giovanni Ruoppolo, di sua moglie Cristina e il figlio adottivo Enricuccio per emergere quotidianamente dalla miseria, compagna fedelissima in una abitazione che un tempo era stata una fabbrica di ghiaccio che, se non si tiene la porta aperta, suda l’acqua dalle pareti. Come la fame nera, li attanaglia un’umidità insanabile e i mischini non possono far altro che indossare a cipolla tutti i poveri abiti che posseggono e dividersi per uscire l’unico cappotto. Giovanni esegue lavoretti giornalieri, tenta piccole faccende e suo figlio fa il corriere per donna Amalia che approfitta dell’assenza del marito “malacarne” per incontrarsi con l’amante. In un contesto di tali patimenti, Giovanni accetta la proposta originale, e quanto mai fuori legge, di commettere falso in atto pubblico dichiarando di essere il padre di un barone spiantato senza genitori che ha bisogno di circondarsi di una famiglia per fare bella figura col padre della ragazza assai benestante che vorrebbe sposare – dice lui – per amore, guadagnando ben centomila lire! Questi numeri gli riempiono gli occhi e soprattutto la pancia e nel momento in cui speranzoso si appresta a chiudere l’affare, la sorte si diverte a scombinargli le carte: suo fratello in America è deceduto e lo ha lasciato erede di una fortuna a molti zeri, proprietà e gioielli, a condizione che non ci siano altri eredi in linea diretta.
I tre atti saranno un avvicendarsi di equivoci, spaventi, tentativi e tempi scoordinati. Pettegolezzi fra le scale, sali e scendi di amanti e mariti cornuti armati di pessime intenzioni, traumi e guarigioni; i personaggi legati dal fato, non il medesimo ma capriccioso per tutti. Povera gente che si adatta, si barcamena e le ragioni stanno lì nell’evidenza dei fatti, negli incastri che non si trovano, nel cappotto uno e solo condiviso. La spontanea generosità di coloro che nulla tengono e l’aridità dei ricchi che si tengono ben stretto anche ciò che non appartiene loro.
Alessandro Idonea sceglie una delle commedie più grottesche di Eduardo De Filippo, mantenendo intatto il testo, l’epoca e l’umore che l’attraversa: le scenografie, gli arredi, gli abiti lo specchio dell’epoca, uguale tanto a Napoli, quanto a Catania, luoghi simbolo di una miseria accresciuta dalla guerra. I dialoghi in cui Eduardo indugiava alla maniera prolissa tipica dei partenopei, Alessandro Idonea li stringa alla maniera del catanese che è più breve, usa meno parole senza disperdere la chiarezza del discorso. Ma quanta similitudine fra questa gente che ha dovuto imparare a prendersi beffa della sfortuna, del tormento, della miseria!
La morale in quest’opera di Eduardo De Filippo passa per una strada contorta ma si riassume in una semplice frase pronunciata dal protagonista “una disgrazia che si risolve in bene“. La conclusione di cui tutta la famiglia Ruoppolo beneficerà sarà magnificamente inaspettata, al costo di un sacrificio che il capo famiglia dovrà compiere, avendo sbagliato i tempi della provvidenza. Riflessioni etiche già insite, lasciate per scelta narrativa, al pubblico. Nella edizione del 1959 gli interpreti, per citare i ruoli principali, erano Clelia Matania (Caterina), Pietro De Vico (Enricuccio), Pupella Maggio (la vicina di casa sensitiva); Alessandro Idonea ha messo a segno un cast di valentissimi attori, capaci di esprimere con abbozzi personali ogni valore narrativo del proprio ruolo, fra i quali è tangibile la sintonia stante il risultato molto convincente. Qualche volta, l’onere del rifacimento teatrale viene tanto temuto da risultare una copia sbiadita e priva di tracce coraggiose; ecco: la regia di Alessandro Idonea procede con rispetto ma attua, nella stessa ripartizione in scene, una versione siciliana in cui ogni attore fa magnificamente la propria parte senza ammiccare al predecessore.
Alessandro Idonea, lo scrivano padre putativo di Enricuccio e marito della prudente e mansueta Caterina, è bravissimo nel cucirsi addosso il ruolo, nel rifinirlo secondo i suoi tempi comici, nell’adoperare una mimica diversa da quella di Eduardo De Filippo ma molto eloquente comunque. Impagabile la spiegazione che il denaro va solo dove c’è altro denaro, riconoscendosi anche da continenti diversi!
Giovanna Criscuolo, attrice brillante perfetta equilibrista sulla traccia tragicomica (già applauditissima nel ruolo da’ Za’ Pidda in “‘U sapiti com’è”, nel 2019), spontaneamente incline a non marcare mai ma a caratterizzare si. Ecco che il risultato delle sue interpretazioni è sempre eccellente, sempre diverso: i suoi personaggi al cinema come al teatro, anche fossero parte dello stesso registro, vengono realizzati con un temperamento sempre differente. La forza scenica e caricaturale che adopera per interpretare donne dai modi, piglio e maniere più autorevoli, veraci, fragili, è qui mutata nella chiave di raccordo fra il marito ed il figlio della sua povera sorella: rappresenta la donna minutamente padrona della propria casa, capace di conocere ogni caratteristica infame e tramutarla in beneficio per la famiglia.
Salvo Disca è per me una scoperta straordinaria. Ha studiato da attore e cantante lirico; possiede una fisicità statuaria che nel ruolo di Enricuccio riesce ad usare in modo magnificamente estroso. Molti consensi dalla platea per questo bravissimo interprete.
Bruno Torrisi (l’avvocato del fratello Federico) ha caratteristiche personali amabili che lo rendono attore sempre e comunque. Al punto che commentarne l’interpretazione si riduce ad una costatazione di fatto perché egli riesce ad essere elegantemente calzante sempre.
Massimo Giustolisi interpreta un barone snob, freddo e calcolatore, che caratterizza con guizzi nervosi e simpatiche pose affettate.
Le attrici e gli attori che rivestono gli altri ruoli in locandina sono bravi e preziosi per qualificare i toni e riempire gli spazi altri rispetto al fulcro centrale.
Ci auguriamo repliche estive della rassegna appena conclusa, affinché chi ha perduto qualche spettacolo possa recuperarlo godendo del privilegio di assistere a lavori davvero ben fatti, che si avvalgono della partecipazione di nutriti gruppi di attori, di regie attente, e che ci raccontano un passato spiegandocelo ancora immanente ma sotto mentite spoglie in un’ epoca disorientata e pasticciata in cui la “ricchezza fa invece tanta spazzatura“.
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