Arpagone, Freccia e Frosina interpretati magnificamente da Salvo, Eduardo e Caterina Saitta, oggi avrebbero convinto anche il pubblico sdegnato della prima rappresentazione al Teatro di Palais-Royal il 9 settembre 1668, che ebbe a criticarlo duramente, tanto che lo stesso autore dovette a lungo subire il rigetto del copione. Da allora, non si contano le repliche, le varietà, gli innumerevoli adattamenti per teatro, cinema e tv. Moliere era considerato un autore scomodo per la franchezza delle sue opinioni e perché adoperava senza mezzi termini l’ironia per denunciare l’ipocrisia dalle classi sociali abbienti e delle categorie religiose e professionali. Considerato uno dei più eccellenti autori del teatro classico francese, egli tenne in considerazione i capisaldi della commedia classica, già riscoperta qualche centinaio di anni prima e da lui riproposta con uno spirito da giullare che più di una volta lo mise nei guai con la pubblica morale. La falsa pubblica morale del ‘700 francese.
Arpagone, protagonista dell’Avaro è infatti una delle figure ricorrenti del Teatro Classico, ovvero il vecchio bavoso che, insieme al servo scaltro, la donna sapiente e saggia erano adoperati nella commedia dell’arte che narrava e concludeva entro un tempo breve una vicenda dove spesso l’equivoco complicava la comunicazione e l’onestà dell’uomo e della donna concorrevano al lieto epilogo.
Adattato in lingua siciliana, con Salvo Saitta (Arpagone), Eduardo Saitta (Freccia), Katy Saitta (Frosina), Massimo Procopio (Valerio), Eleonora Musumeci (Elisa), Andrea Grasso (Cleante), Agatino Ferlito (Mastro Giacomo), Orazio Torrisi (Don Simone), Serena Rapicavoli (Marianna) e Aldo Mangiù (Don Anselmo).
La vicenda che vede protagonista l’allegra e rodata Compagnia dei Saitta, si svolge nell’arco di una giornata: il primo atto si apre sulle confidenze che i due fratelli Elisa e Cleante si fanno rivelando gli innamoramenti rispettivamente verso Valerio e Marianna, ed i rimproveri che il padre Arpagone muove loro per lo sfoggio esagerato di abiti troppo ricchi di trine e merletti costosi. Arpagone è un anziano indolente e dall’aspetto assai trasandato; tiene tutto sotto chiave, ma per quante catene e catenacci abbiano i suoi forzieri, le dispense di casa sua, egli si sente sempre minacciato e cercherà in giardino, dentro una fossa, il nascondiglio più sicuro per non far trovare ad alcuno della sua famiglia e dei servitori i diecimila scudi di cui non vuol far sapere nulla. Arpagone, avido anche di sentimenti, pianifica altresì il suo matrimonio e quello di Elisa stabilendo di sposare Marianna e di far sposare alla figlia un nobile anziano di nome Anselmo che si rivelerà essere il padre di Valerio e Marianna. E tutto si rimetterà in ordine. Freccia, il servitore tuttofare e la faccendiera Frosina (Caty Saitta) sono gli elementi dinamici dei fatti narrati ed infine coloro che favoriranno, con la propria curiosità, il lieto fine.
La quadratura del cerchio era da Moliere auspicata nella sua idea di trama perché ciò che egli voleva consegnare al pubblico era davvero un messaggio di positività, una sorta di pensiero new-age ante litteram. L‘affermazione del principio morale doveva essere garantita dall’ altruismo e dall’ascolto della coscienza.
La tradizione teatrale dei Saitta ha sempre tenuto il punto sulla conservazione e proposizione dei classici della commedia, auspicando di trasmettere nozioni, generare riflessioni, corrispondere una morale; alla rilettura di questi, Eduardo Saitta ha alternato copioni originali e in entrambe le maniere queste generazioni di attori brillanti e preparati hanno conquistato, mantenuto il proprio pubblico che corrisponde loro in una relazione di reciproco rispetto. Adesso che col piccolo Salvo di pochi mesi, nato da Eduardo e dalla moglie Federica, si è giunti alla terza discendenza, sopravvive la speranza che il teatro così come loro onestamente lo fanno possa godere di prospettive sempre aggiornate.
La famiglia Saitta, affezionata a Moliere (si vocifera che lo sia soprattutto Eduardo), ha già messo in scena “Il Malato immaginario” con risultati eccellenti: la complicità dei “tre Saitta” concorre alla disinvoltura con cui i personaggi si collegano fra di loro e gli attori giocano sapientemente con i propri ruoli. Abiti dell’epoca, sfarzosi e ricchi di accessori, come sdruciti e attaccati con la corda per risparmiare sulle cinture; un allestimento scenografico che rende l’idea di una casa un tempo ricca ed elegante, ma trascurata dall’avaro Arpagone: mobili chiusi con i catenacci che sembrano persone bloccate dalla propria aridità. Gli attori in ottima sintonia, si divertono a loro volta (impossibile trattenere il sorriso alle estemporanee di Eduardo Saitta) invitando gli spettatori a sorridere delle incomprensioni familiari, del divario generazionale sempre esistito e a gioire del finale che mette tutti d’accordo e fa trionfare i buoni sentimenti.
“In media stat virtus” e al centro della commedia e del centro del palcoscenico, avviene il monologo di Freccia che si lamenta, auto deridendosi, del numero di mansioni che il suo padrone lo obbliga a svolgere, non volendo pagare, tirchio com’è, altro personale di servizio: trascinante! E come oggi lo si classificherebbe, un qualificatissimo momento di “stand-up comedy“, se non fosse che l’attore sta incastrato dentro ad un baule!
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