“A me è Maggio che mi rovina
e anche Settembre, queste due sentinelle
dell’Estate: promessa e nostalgia”
Questa poesia di Patrizia Cavalli (1947-2022) seppure sgrammaticata contiene una fulminante verità che soltanto un poeta sa trasmettere con poche parole.
Racconta con sapienza il sentimento dell’attesa e del disincanto, riuscendo anche ad esprimere lo stato d’animo presente quando sta per arrivare l’estate – la stagione dell’amore brioso ed acerbo – che è sfuggente come la gioventù (… mentre l’autunno, se tutto va bene, è tempo d’amore dei pensionati, che per pagare meno vanno in vacanza fuori stagione!)
Patrizia Cavalli nata a Todi ma romana di adozione, grande amica di Elsa Morante, non amava essere chiamata “poetessa” ma “poeta”: giusto, il femminile di giornalista non è “giornalistessa” ed è bene che certe parole restino invariate, comprendendo esse il maschile e il femminile.
Donna riservata, Patrizia Cavalli ha avuto una vita privata a noi quasi del tutto ignota; non è stata sposata e non ha avuto figli; non rilasciava volentieri interviste; dalle poche notizie trapelate su di lei, si sa che si è sentita sempre perennemente fuori posto. Eppure si è conquistata un podio nella letteratura contemporanea. Dopo la sua scomparsa, avvenuta qualche mese fa, in molti hanno rimpianto il suo modo di fare poesia, l’uso di parole semplici e colloquiali, i suoi versi scritti in modo leggero ma frequentemente assoggettati alle regole ferree della metrica.
La voce poetica di Patrizia Cavalli, forse la massima espressione di quello che si può chiamare “stile semplice”, è molto netta e si presenta già ben definita nella prima raccolta di poesie; il suo linguaggio poetico è rimasto sempre talmente naturale da sembrare puerile, ma proprio questa spontanea freschezza accentua la forza spesso drammatica dei temi e delle situazioni evocate: anche la malattia e la morte.
Era consapevole di essere già gravemente ammalata quando la poeta scrisse questi versi?
Ah, ma è evidente, muoio,
Sto per morire, che siano giorni
o anni, sto per morire,
muoio. Lo fanno tutti,
dovrò falo anch’io. Sì, mi conformo
alla regola banale. Però intanto,
tra un sonno e l’altro finché esiste il sonno
(solo chi è in vita gode dl suo sonno)
guardando il cielo, girando gli occhi
intorno, in questi istanti incerti
io sono certamente un’immortale.
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