È “l’altra” Bohème, quella che soffre da sempre il confronto con il capolavoro di Giacomo Puccini. Eppure la partitura omonima di Ruggero Leoncavallo, autore anche del libretto, presenta un intrinseco fascino e un indubbio valore musicale e drammatico, confermato dal successo decretato al debutto assoluto alla Fenice di Venezia il 6 maggio 1897, appena quindici mesi dopo la versione licenziata dal maestro lucchese.
Con un’operazione di indubbio rilievo artistico e culturale, il Teatro Massimo Bellini di Catania le ha programmate entrambe.
A pochi giorni dalla conclusione delle rappresentazioni della Bohème pucciniana, che ha trionfalmente inaugurato la stagione lirica, l’ente lirico etneo propone un immediato raffronto con la gemella, che verrà eseguita per la prima volta a Catania, domenica 11 e martedì 13 dicembre, nell’ambito della stagione di concerti.
Sul podio ritorna la prestigiosa bacchetta di Fabrizio Maria Carminati, direttore artistico del Bellini, che guiderà l’Orchestra e Coro del teatro. Un’occasione da non perdere per ascoltare dal vivo la poco frequentata partitura del compositore napoletano, che si differenzia pure sul piano narrativo, peraltro più fedele alla medesima fonte letteraria, Scènes de la vie de bohème di Henry Mürger.
Di alta qualità i solisti vocali. La vicenda delle due giovani coppie rivivrà attraverso le voci di Selene Zanetti (Mimì), Gaston Rivero (Marcello), Elena Belfiore (Musette), Luca Bruno (Rodolfo). Completano il cast: Domenico Balzani (Schaunard), Roberto Lorenzi (Colline), Gianni Luca Giuga (Barbemouche), Blagoj Nacoski (un becero, un signore), Monica Minarelli (Eufemia), Saverio Pugliese (Gaudenzio, Durand), Paolo Ciavarelli (Visconte Paolo). Di chiara fama anche il maestro del coro Luigi Petrozziello.
Il Massimo catanese riprende così una tradizione che, senza rinunciare e accanto agli allestimenti, prevede anche l’esecuzione di titoli in forma di concerto. Né sarà un caso isolato: La bohème di Leoncavallo apre il ciclo “Il teatro musicale in concerto”, che proseguirà con Sub tutela Dei. Per il giudice Livatino, musica di Matteo Musumeci, libretto di Vincenzo Vitale, opera espressamente commissionata dal Teatro Massimo Bellini di Catania per commemorare il giovane magistrato barbaramente assassinato dalla mafia.
Ma torniamo a Leoncavallo, che del proprio repertorio prediligeva i celeberrimi Pagliacci e appunto La bohème, ma al contempo si doleva per la loro sorte: “Con queste due opere, quelle che mi appartengono e amo, sono disgraziato. Pagliacci hanno dovuto sempre camminare a fianco di Cavalleria rusticana e La bohème ha dovuto, a torto o a ragione, cedere il posto sui cartelloni a quella di Puccini”.
Per la ‘sua’ Bohème Leoncavallo registrava così l’esito a lui sfavorevole di quella che era stata indubbiamente una sfida ardita. I personaggi sono in gran parte gli stessi, l’azione – addirittura più aderente a Mürger – si svolge in quattro ampi atti, che coprono dalla vigilia di Natale del 1837 a quella del 1838. La scelta di seguire passo passo la fonte francese venne peraltro criticata da Carlo Paladini nella Gazzetta musicale di Ricordi, editore che aveva mal digerito la ripresa del soggetto da parte di un operista legato alla casa rivale Sonzogno.
Se la storia ha consacrato la fama planetaria dell’opera di Puccini, forse la più rappresentata al mondo dell’intero teatro musicale, “l’altra” Bohème merita certamente di essere rivalutata e soprattutto eseguita con la consapevolezza che nel suo rigoglioso e denso pentagramma domina una linea espressiva già dichiaratamente verista, con autentici vertici che brillano soprattutto, e non solo, nel secondo atto.
Tra le differenze con la versione di Puccini, oltre alla vocalità baritonale di Rodolfo, va rilevato che Leoncavallo privilegia la coppia formata da Marcello e Musette (che conserva il nome francese). Particolarmente riuscita la festa che la donna – sfrattata di casa – organizza nel cortile, scena che Puccini preferì tagliare. Ed è durante questo episodio che il coro intona “L’inno della Bohème”, in cui Leoncavallo – fine intellettuale e letterato – sente di dare corpo ad un vero e proprio manifesto di poetica, non diversamente da come aveva risolto prevedendo il Prologo in Pagliacci.
Dopo lunghi anni Leoncavallo operò un rimaneggiamento e per superare lo “‘schiacciamento’ dovuto al titolo, scelse il nuovo Mimì Pinson per il debutto al Massimo di Palermo nel 1913, puntando sulla tragica figura della fioraia. Ma non fu più fortunato.
Con le due Bohème programmate senza soluzione di continuità, il Teatro Massimo Bellini conferma la qualità di cartelloni e proposte che lo pongono in prima linea nel panorama musicale internazionale. Merito del rilancio operato dalla governance guidata dal sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano e dal commissario straordinario Daniela Lo Cascio, che hanno altresì attuato un’attenta politica dei prezzi e studiato variegate formule di fidelizzazione.
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