UNA STORIA SEMPLICE di Leonardo Sciascia, adattamento e regia Giovanni Anfuso; scene Alessandro Chiti, costumi Isabella Rizza, musiche Paolo Daniele, luci Pietro Sperduti.
Produzione Teatro Stabile di Catania, Cooperativa Attori&Tecnici Rona. Foto di Manuela Giusti.
Personaggi e interpreti
Narratore/Franzò Giuseppe Pambieri
Brigadiere Paolo Giovannucci
Commissario Stefano Messina
Questore Davide Sbrogiò
La moglie Liliana Randi
Magistrato Carlo Lizzani
Colonnello Geppi Di Stasio
L’uomo della Volvo Marcello Montalto
Il figlio Luigi Nicotra
Padre Cricco Giovanni Carpani
Dopo Gioco di Società, La Rimozione, Il Mare colore del vino, il quarto appuntamento con la rassegna dedicata a Leonardo Sciascia, a centodue anni dalla nascita, uno degli ultimi veri intellettuali del nostro tempo e di quello passato, perché, purtroppo, (come lo definisce il nipote) la società non ha in personaggi come lui, – estinti quasi per sempre – gli anticorpi necessari per non morire di carenza di cultura.
Adattato e diretto da Giovanni Anfuso, regista catanese che possiede l’encomiabile pregio di schiacciare sempre l’occhio ai classici di epoche diverse, tutelandone l’impianto originale e concorrendo alla loro sopravvivenza nella memoria del pubblico. Si cimenta dunque con l’ultimo capolavoro consegnato all’umanità da Sciascia, allestendo un corpo di attori intonati ai ruoli ed accordati fra loro; ruolo sorprendente e dinamico è quello del professore Franzò, che spiega la vicenda percorrendo linee precise sul palcoscenico, in mezzo ai fatti, da cronista e narratore essendo egli lo stesso scrittore. Elastico, elegante, dotato di una voce nota che accarezza lo spettatore, è Giuseppe Pambieri che offre il beneficio di se stesso garantendo l’ennesima magnifica interpretazione, paladino involontario di un teatro di pregio e valore, in cui la misura di ogni cosa faccia parte di questo mondo è conosciuta e non improvvisata e anche laddove ci fosse estemporaneità, il soggetto è talmente qualificato da sovrastare ogni aspettativa. Giuseppe Pambieri, ecco, può essere considerato “un insieme di anticorpi”, quelli che risanano la mente e lo spirito spiegando semplicemente la bellezza del mestiere. Forte emozione personale, condivisa col pubblico della prima, pronto a sottolineare anche la ginnica disinvoltura dell’attore.
“Al contrario di quanto dichiarato nel titolo, la storia è tutt’altro che semplice, – dichiara Giovanni Anfuso – siamo di fronte ad un giallo che ha come sfondo mafia e droga. Una storia in cui tutto appare al contrario di ciò che realmente è. Un suicidio che potrebbe essere un omicidio, una masseria che potrebbe essere abbandonata, un prete che sembra un vero uomo di chiesa…Realtà e apparenza: apparenza e realtà. Sciascia rinuncia a narrare la mafia come ha fatto per tutta la sua vita, e la racconta, questa volta, come fosse una resa, ed invece è un’ulteriore presa di coscienza di una realtà su cui non si possono mai chiudere gli occhi, per quanto le storie siano semplici”.
Ultimo fra i libri di Leonardo Sciascia, “Una Storia semplice” viene tempestivamente pubblicato il 20 novembre 1989, data della fine delle sofferenze terrene dello scrittore di Racalmuto che fino all’ultima pagina delle sue opere non avrà posa nel mettere in luce gli intrighi strutturati di cui la Mafia è capace.
E’ un racconto breve, ma intriso di crime suspense con legami nella cosiddetta legalità: lo squillo di un vecchio telefono in una stazione di Polizia desta un centralinista, un brigadiere ed un commissario da una soglia di attenzione leggermente ovattata, essendo la vigilia della Festa di San Giuseppe. E’ un uomo che si qualifica come abitante di una casa poco fuori dal centro e chiede di recarsi lì perché “ho trovato”… Il brigadiere (Paolo Giovannucci) vorrebbe rispondere alla chiamata prontamente ma il commissario (Stefano Messina) in procinto di indossare il cappotto, lo spiazza azzardando che potrebbe trattarsi di uno scherzo; l’indomani, all’avvenuto sopralluogo, la scena che si presenta alla squadra recatasi sul posto è ben lontana dal possedere i connotati dello scherzo. Da questo momento, una parte delle persone coinvolte, spontaneamente come testimoni involontari, facenti funzione, complici ed orditori di una trama che vorrebbe farsi fitta per non far trasparire l’evidenza fin troppo semplice, si muoveranno come in un gioco strategico fatto di avanzamenti rispetto al fronte della verità e dunque della giustizia, arretramenti e ridimensionamenti voluti dai ruoli professionali che rivestono e intenzione di complicare le procedure laddove si tratta di SU-I-CI-DI-O!!!
Co-protagonista riservato è il quadro di Caravaggio (presumibilmente dipinto intorno al 1609 durante il soggiorno palermitano del pittore), “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi”, rubato dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo nell’ottobre del 1969: un olio su tela mai più ritrovato che forse fu oggetto di una richiesta di riscatto da parte della mafia che probabilmente aveva incaricato del furto qualche balordo che la notte fra il 15 ed il 16 lo aveva impunemente arrotolato in un tappeto e forse portato in Svizzera per essere venduto a porzioni a collezionisti senza scrupoli. Il magico studio di luci ed ombre di cui Caravaggio era insuperato maestro, è in questo quadro adattato alla scena in modo singolare, scivolando piena dall’ angelo in testa al gruppo, interrotta dalla Madonna, giunge sul Bambinello illuminandolo solo in parte. Forse Sciascia era rimasto profondamente colpito dalle atmosfere di triste presagio che emergono dal dipinto, perché magari in esse riconosceva la sua posizione emotiva nei confronti degli orditi mafiosi che temeva non si sarebbe mai riusciti a smontare…
Giovanni Anfuso rievoca il mistero della Natività trafugata facendone realizzare una copia a dimensioni autentiche (268cm x 197cm) dallo scenografo Alessandro Chiti, autore di un allestimento scenico essenziale ma efficace, soprattutto perché riesce a rendere in profondità e tridimensionalmente i tre spazi di svolgimento della vicenda: immediatamente sul davanti, Pambieri/Franzò/Sciascia occupa una zona in cui ha agio di narrare non mescolandosi agli altri che subito dietro svolgono le indagini; la terza zona è sviluppata in altezza essendo la casa, dalle trasparenti pareti, in cui probabilmente la vittima aveva trovato l’opera d’arte trafugata ed arrotolata nel tappeto. Nei costumi di Isabella Rizza si riconosce la moda degli anni ’80; il commento musicale di Paolo Daniele scivola perfettamente lungo la spirale di tensione. Le luci di Pietro Sperduti sono calibrate su quelle del quadro e questa scelta si rivela una intuizione scenica davvero interessante.
Giovanni Anfuso affronta con successo anche il tema giallista e gli attori concorrono perfettamente alla resa delle condizioni necessarie a trasferire l’insospettabile semplicità del caso; forse, soltanto i primi attimi della vicenda non raggiungono con chiarezza lo spettatore che ritrova comunque maggiore fluidità nella storia poco dopo.
Nella speranza che non soltanto il pubblico catanese possa godere dello spettacolo, un plauso va al tema della rassegna, ricordo apprezzato verso uno scrittore, Leonardo Sciascia, che ha reso l’onore delle armi alla Sicilia raccontandone con amarezza, ma inconfutabile amore, difetti e bellezza.
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