Matthias Martelli da anni ha conquistato un posto fisso nel cuore del pubblico siciliano: è ritornato anche grazie all’attenzione per un teatro argomentato che pongono nelle scelte Francesca Romana Vitale e Renato Lombardo. Sul palcoscenico della Sala Futura, ha portato due giullarate del teatro di Dario Fo: una dedicata alla storia della nascita del giullare ed un’altra sulla paura di un uomo buono ed ingenuo “della parpaja topola”.
L’attore nato ad Urbino nel 1986, ha raccolto il testimone da Dario Fo e Franca Rame che appena diplomato incontrò personalmente dopo aver loro inviato una mail; incredulo, ricevette una telefonata e dopo numerose cordialità garbate e sincere, il magistrale artista gli raccomandò di memorizzare il suo numero di cellulare. Da allora, la sua carriera si articola in una cascata di idee brillanti, sapientemente tradotte dalla realtà e poiché è uno che le cose le sa, la resa sul palcoscenico, nei libri che scrive, acquista una qualità ricca di spessore, priva di ovvietà.
Calca i palcoscenici in Italia ed Europa con Mistero Buffo di Dario Fo e Franca Rame, con la regia di Eugenio Allegri, co-prodotto dal Teatro Stabile di Torino e in tour con la produzione di Enfi Teatro; Per la Fondazione TRG ha scritto e interpretato Nel Nome del Dio Web; è protagonista di Pierino e il Lupo insieme all’ orchestra del Teatro Regio di Torino; nel 2020 debutta con lo spettacolo Raffaello, il figlio del vento da lui scritto e interpretato, prodotto da Teatro Stabile dell’Umbria e Doc Servizi, in collaborazione con Comune di Urbino, Amat Marche e Regione Marche; è attore e autore di Dante, fra le fiamme e le stelle, prodotto da Teatro Stabile di Torino e Fondazione TRG, con la consulenza scientifica del professor Alessandro Barbero e del presidente dell’Accademia della Crusca, professor Claudio Marazzini. Nella stagione 2022/2023 debutta con il suo nuovo spettacolo FRED! , che ha ideato, scritto e interpretato, con la regia di Arturo Brachetti, mentre Roy Paci è coprotagonista; produzione di Enfi Teatro – Teatro Parioli. Nel docufilm “L’ultimo Mistero Buffo” di Gianluca Rame, prodotto da Clipper Media e Rai Documentari, interpreta il ruolo del narratore. Il docufilm è candidato ai Nastri d’Argento 2023. E’ da poco rientrato dalla conferenza “The universal language of Dario Fo”, presentata negli USA, alla Chapman University di Los Angeles e in patria ha approfondito la figura del celebre condottiero e mecenate Federico da Montefeltro studiando le somiglianze fra Dante Alighieri ed i giullari di epoca medievale.
In ordine alla scelta professionale, non mi piace parlare di “eredità”, quanto piuttosto di “donazione” perché in vita Dario Fo e Franca Rame riconobbero in Matthias Martelli colui che con precisione e dedizione avrebbe potuto evitare la dispersione di un modo di fare letteratura e teatro che non avrebbe mai trovato generi uguali (ricordo a margine che Dario Fo, nel 1997 venne insignito del Nobel per la Letteratura). Marito e moglie, esponenti oltremodo colti di una borghesia da cui avevano preso le distanze per tutta la vita, hanno insegnato al giovane attore non soltanto la sintassi precisa, il linguaggio mescolato (grammelot) ed i capitoli delle giullarate, ma soprattutto l’approccio alla burla come maniera di raccontare in forma di favola irriverente e divertente, personaggi e circostanze mescolando senza tempo gli elementi della farsa, per raccontare senza commentare. E Matthias Martelli impara dalla guida del compianto regista Eugenio Allegri (da poco scomparso) che gli spiega che le coordinate della giullarata così come si trovano nel suo pensiero si devono ricostruire sul palcoscenico secondo un piano geometrico, per effetto del quale il pubblico si senta traferito nelle mirabolanti ricostruzioni.
Assenza di scenografia e il non colore dell’abito che si ritaglia un margine rispetto al palcoscenico, uscendone di quando in quando, per farsi inghiottire ancora per brevi istanti e riemergere con un ventaglio di immagini che Matthias apre piano piano come un esperto prestigiatore. Le giullarate dello spettacolo sono due.
Nella prima, si racconta di un contadino che tutto il giorno sta sotto il padrone a coltivare una terra non sua: a casa ha moglie e figli e dalla stanchezza spesso non condivide nulla con loro. Un bel dì, rientrando per l’ennesima volta demotivato e stanco, sbaglia strada e incontra davanti a sé una montagna nera e brulla e gli viene l’idea di terrazzarla, portarvi le sementi e trasformarla in un piccolo paradiso in terra, finalmente solo suo e della sua famiglia. Il signorotto feudatario che sino a quel momento si era disinteressato di quel piccolo luogo che certamente non gli avrebbe arrecato impoverimento, volle esprimere una violenta prepotenza al poveraccio, prima servo suo e adesso con la cresta alzata, abusando della consorte davanti agli occhi del marito e dei figli. Da quel mostruoso istante, un triste fato si abbatté su di loro: la donna cominciò a non rispondere più sino a sparire lontano e i figli, deperendo per inappetenza causata dal dolore, morirono tutti di lì a poco… In preda alla più irreparabile depressione il contadino stava per farla finita, quando Gesù gli apparve dandogli un consiglio: “trasforma questo tuo dolore, provando a raccontare in un linguaggio tuo, con le parole che conosci, i gesti che saprai scegliere, ciò che ingiustamente avete subito; fai ridere la gente dando loro anche da riflettere”. Così, il poveraccio divenne giullare, si esibì nelle piazze dei borghi attirando la gente del luogo e cominciò a narrare attraverso un codice sonoro, verbale e gestuale di sua invenzione, l’ingiustizia dei poveracci e la prepotenza dei potenti.
La seconda intitolata “La parpaia topola” (facente parte del capitolo delle giullarate “Il fabulazzo osceno”) ci porta nei giorni tutti uguali del povero giovane pastore Giovan Pietro che dalla nascita altro non faceva che pascolare ovini, uniche creature che gli facevano compagnia e con cui conversava. Il gregge suo non era, ma dell’anziano padrone che sovente lo andava a trovare, facendogli prediche e mettendolo in guardia contro le femmine che avendo “sotto le sottane la parpaia topola, arma tagliente”, erano pericolose e dunque da tenere lontano. Il padrone del gregge un giorno rese l’anima a Dio e lasciò tutta la sua fortuna al povero Giovan Pietro che da quel giorno era diventato ricchissimo. Tutte le “tose” da marito cominciarono a rincorrerlo, ma lui, povero, scappava via lontano per sfuggire all’invasione delle parpaie topole. In paese c’ era un parroco, Don Faina, furbo e poco osservante del valore della castità, appunto ossessionato dalla bellezza di Alessia, la ragazza più bella della valle; questi, venuto a sapere dell’immensa eredità dell’ingenuo Giovan Pietro, in combutta con “la Volpassa” escogita un piano facendolo maritare alla Alessia e continuare a fare il comodo suo. Giovan Pietro, sopraffatto dal desiderio e attratto dall’idea di trascorrere la propria vita con una donna dalla voce che fa innamorare, accetta e attende con pazienza di “poter fare giochi d’amore” con lei. Una serie di rocambolesche circostanze, (espresse da Matthias Martelli con una bravura encomiabile) cambieranno il piano dell’arrogante parroco a favore del candido ragazzo, realizzando l’Alessia quanto questi fosse rispettoso e fosse invece Don Faina “un insatanato porcello”.
Se negli anni di Dario Fo, esistevano paradigmi precisi in cui di declinavano partigianerie politiche, sociali, correnti di pensiero e istituti di formazione che stabilivano l’indirizzo di un comportamento, ne condizionavano resa e conseguenze, oggi l’assoluta mancanza di relatività costituisce valore non confutativo bensì di confusione. Ovvero: se nel riconoscere rigidamente cosa fosse bene e male, si stabiliva da che parte della storia andare, oggi per un attore parlare di prepotenti e plagiati – perché gli uni esagerano nel ritenersi al di sopra la legge e gli altri ne rimangono schiacciati – è un lavoro complesso in quanto l’umanità si muove veloce e in tondo su di un “treno senza fermate” (Baricco) e non ha il tempo di far riposare il pensiero.
Così questo magnifico attore corre col cuore oltre l’ostacolo e senza temere l’anacronismo, recupera una preferenza spontanea e bambina, quella che in ogni epoca prestare ascolto a chi sa narrare le favole é semplice, piace, è un trasporto, ci permette di rallentare e riflettere. E il pubblico aspetta la prossima favola: alla prossima giullarata, dunque…
Foto di Giorgio Sottile, Andrea Macchia e Lorenzo Isoni.
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