Guido Gozzano e la sua rosa a 140 anni dalla nascita

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Guido Gozzano e la sua rosa a 140 anni dalla nascita

Il 9 Agosto 1916 moriva il poeta Guido Gozzano.

Oggi non lo si ricorda quasi più. Peccato, perché c’era in lui e nella sua poesia molto più di quanto non possa apparire a prima vista.

Ritenuto dandy raffinato, superficiale ed estetizzante, viene a malapena citato nelle antologie scolastiche ed è forse oggetto di ricerca di qualche sparuto studioso. Meritava di più.

Era un poeta di grande profondità, autore di straordinarie favole per bambini, capace, come scriveva Montale, di “far cozzare l’aulico col prosastico facendo scintille”: ecco, forse proprio questa sua scintillante ironia ha fatto sì che distogliessimo lo sguardo dalla profondità dei suoi versi. Profondo lo era davvero, Guido Gozzano. Di quella profondità che solo la vicinanza con la morte può regalare.

Scolaro svogliato, bocciato per ben due volte al liceo, studente di giurisprudenza eternamente fuori corso, vide accolto con favore di critica e pubblico il suo primo lavoro poetico: “La via del rifugio”. Aveva ventidue anni ed un brillante avvenire.

Tra lui ed il suo avvenire si intromise la tubercolosi: una diagnosi che lasciava ben poco sperare. Era questione di tempo. Guido lo sapeva. Sapeva di non avere tempo. Di qui le favole, le collaborazioni, le poesie, il viaggio in India, l’inizio di una sceneggiatura per un film su San Francesco che rimase incompiuta, come il poema sulle farfalle, sua grande passione. Del resto, ne “L’ipotesi”, lui stesso scriveva: “Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia, / se già la Signora vestita di nulla non fosse per via…”

A questo, credo, servisse la sua grande ironia: a non lasciare avvicinare nessuno. Non poteva permetterselo. Per se stesso e per gli altri. Di qui le sue fughe davanti ad Amalia Guglielminetti e la sua maschera di perenne disimpegno, di dandy della Belle Epoque.

Era più di questo, ma per pudore preferiva nascondersi dietro la sua armatura di ironia che non suscitare pietà nel prossimo.

Fatevi un favore: leggetelo. Non soffermatevi solo su “L’amica di Nonna Speranza” e le sue “buone cose di pessimo gusto”, ma andate oltre.

Provate a leggere “La signorina Felicita”, o “L’ipotesi”, oppure ancora “Nell’Abazia di San Giuliano”, rimasta incompiuta. Dategli un’occasione.  Rileggete:

Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state … Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!

‘Non amo che le rose che non colsi” diceva con tenerezza, e suggeriva sommessamente che, se quel fiore mantiene nel ricordo tutto il suo splendore, è perché non è stato colto mai.

Morì a 32 anni Dategli un’occasione. Lo merita.

 

 

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