“ItinerDante” di Eugenio Di Fraia inaugura l’XI Rassegna di Palco Off al Centro Teatrale Universitario – ex Teatro Machiavelli

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“ItinerDante” di Eugenio Di Fraia inaugura l’XI Rassegna di Palco Off al Centro Teatrale Universitario – ex Teatro Machiavelli

Di e con EUGENIO DI FRAIA

Luci RICCARDO SOZZI
Musiche  ANGELO MARRONE
Costumi EUGENIO DI FRAIA
Produzione ASSOCIAZIONE CULTURALE NAUFRAGHI INVERSI

Premio Giuria Studenti CUT UNICT Catania Off Fringe Festival 2022

Premio F. I. L. Milano Off Fringe Festival 2022 

Menzione speciale Praga Fringe 2022

Raramente accade di assistere ad un lavoro in cui l’attore, che è pure autore, possiede una forza ed un carisma che paralizzano letteralmente lo spettatore, rendendo inefficace qualsiasi tentativo di riscontrare errore in ciò che sta accadendo, che è sbalorditivo come un origami che via via si forma in mille schemi diversi…

Eugenio Di Fraia, milanese, trentatré anni, raffinato performer, autore creativo; qualificato dalla Natura con parecchi talenti, proveniene da una preparazione classica, laureato in Psicolgia della Comunicazione, sin dal 1997 studia recitazione, frequenta gruppi di ricerca filosofica e seminari di filosofia e cinema e di critica cinematografica. Nel 2018 si diploma presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Cinecittà. Ha studiato teatro danza, teatro fisico, predisposto anche se non si è mai preparato da ballerino, durante il percorso di studi, si innamora del corso “l’attore fisico” svolto dall’insegnante Silvia Perelli con la quale impara a dare forma di corpo alla parola. Lavora prevalentemente in teatro firmando anche le regie dei propri lavori,  ha partecipato in TV a “Fedeltà” di Marco MIssiroli, alla terza serie de “L’Amica geniale” , al cinema a “Gli Indifferenti” di Leonardo Guerra Seragnoli e adesso all’ultimo film di Ferzan Ozpetek, “Nuovo Olimpo”. Ha lavorato come assistente alla regia di importanti produzioni (es, Il Capitale Umano di Paolo Virzì nel 2014) e girato numerosi corti in veste di autore e regista e altri come attore. A diciannove anni realizza un cortometraggio che intitola “Yawp!” ispirandosi al grido esortativo de “L’Attimo fuggente”, che intende come una provocazione slegata dalle tendenze, un monito ai propri coetanei a cambiare le cose, ravvisando la vacanza di ideali di queste generazioni rispetto alle precedenti. Il corto riceve ottime valutazioni dalla critica, sia in ordine ai contenuti, che alle scelte tecniche.

Sfruttando gli spazi dell’ex Teatro Machiavelli (gioiello al centro della Catania barocca, recuperato dall’Università degli Studi di Catania), Eugenio Di Fraia fa ingresso non visto, ma percepito, dopo che la sua voce fuori campo ha terminato di declamare gli ultimi versi del XXXIV canto dell’INFERNO; non riuscendo a concludere con “e uscimmo a riveder le stelle…”  tuona contro la miopia culturale che concatenando innumerevoli episodi di abbandono della bellezza ha ricoperto di oscurità ogni scintilla, ogni flebile tentativo, lungo settecento anni. La luce alla parola e la parola al corpo: l’attore è solo sul nero palcoscenico, e genera da se stesso le spoglie mortali di anime dannate, agitandosi nel loro tormento, ora moderno naufrago, viandante privo di giudizio, maestro e guida di Dante, strazio nascosto alle Arpie, azzardo di altra ipotesi di verità su Ulisse, rassegnata pena di amanti incompresi. Laddove è intenzione dello spettatore riafferrare reminescenze scolastiche, è parimenti lo scrupolo dell’attore far si che il senso ampio della parola percorra il suo corpo e diventi ora bocca riversa e macchiata di sangue, albero straziato, libro galeotto, gigante impazzito, ali di uccello bestiale ed affamato. Quel corpo si muove al ritmo di una musica da cui non si separa il suono, ma che esiste all’unisono in un istantaneo lavoro di precisione sartoriale: Angelo Marrone compone e divaga rispetto alla partitura concordata perché ogni nota è la spinta di quel gesto che improvvisamente il suo Dante può cambiare… Lo studio delle luci con maestria adoperate sul corpo dell’attore contribuisce a definire le scelte stilistiche: l’assenza di accessori di scena, gli abiti dilaniati, il lungo scuro cappotto del “naufrago inverso”. Giungono come lame taglienti quando atroce si fa il canto; indiavolate ed intermittenti quando il corpo si agita in un ballo perfetto; creano lungo i suoi tratti l’armonia dei chiaroscuro di una foto in bianco e nero. ItinerDante, corpo, musica e luci e lo spettatore è definitivamente conquistato dall’equilibrio ideale del lavoro teatrale.

 

 

Raggiunte e superate le cento repliche, ItinerDante è declinato in diverse estensioni di tempo per essere rappresentato in luoghi diversi: i teatri, gli antichi edifici, e le performance di strada e di piazza. Nasce nel 2013 da una prima stesura (“La Commedia – tra volgare e volgare”) in cui l’attore nella sua classica declamazione dei versi riceve il controcanto da un altro attore (Riccardo Sozzi) che più “volgarmente” interpreta le terzine dei canti scelti (che variano quasi sempre); prosegue dopo la pandemia come ricerca e studio che viene presentato dall’Associazione Naufraghi Inversi, oltre che ai circuiti teatrali, anche alle Scuole, ai Consolati, agli Enti pubblici con lo scopo di contribuire ad alimentare la fiammella della conoscenza perché fatti non fummo “a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

Nel ragionare sull’attualità inconfutabile dei contenuti della Divina Commedia, lo spettacolo si fa espressione di quegli archetipi, ovvi ed inevitabili che il primo pensatore che ne ragionò l’esistenza altro non fece che spiegarsi con essi il proprio sentire in relazione a ciò che accadeva: il Male è l’opposto del Bene ed occorre perseguirlo e non smarrire la via perché esso esisteva nella mente del Dio creataore ancor prima che il mondo nascesse. Leggendo, riprendendo fra le proprie mani i classici, i grandi romanzi, i saggi, gli studi filosofici, magari dentro si riconoscerebbero i propri demoni, le angosce che guastano la vita e che nessun influencer da video può riuscire a spiegare e tantomeno sconfiggere pur utilizzando fiumi di parole, immagini ridondanti, raggiungendo attraverso tablet e smartphone con soperchieria anche coloro che non hanno manifestato curiosità alcuna. Oggi si assiste ad un perpetrato plagio del patrimonio letterario classico per cui ciascuno, pur non avendo l’arte di prenderne parte, cerca di dire i pensieri altrui con nuove parole proprie nel tentativo di conferire originale autenticità al personale vuoto culturale: una gigantesca selva di alberi secchi sui quali si muovono in vortice creature improvvide alla ricerca delle ultime risorse…ItinerDante è, diversamente, la giustizia riconosciuta a Dante Alighieri, uno spettacolo così ben fatto da poter essere considerato per il sommo poeta un vero e proprio risarcimento!

La ricerca che l’Associazione Naufraghi Inversi porta avanti consiste esattamente nel rivelare l’autenticità di un pensiero vecchio di settecento anni che abbraccia le sorti dell’umanità. Che se ha saputo attirare un giovane studente di liceo classico inducendolo a sfidare se stesso nell’imparare a memoria i canti della Divina Commedia, speriamo potrà cacciarsi nella testa di menti distratte dai richiami delle sirene che offrono risposte, che altro non sono che trappole di garantita sopraffazione ed infelicità. Gli interminabili labirinti in cui l’uomo si è infilato, soprattutto a conclusione del biennio pandemico, ci tengono intrappolati perché contano sullo smarrimento interiore prevalente rispetto agli altri sensi. Quali sensi davvero? Oggi non ne abbiamo che uno, la vista e la parte meccanica affidata ad un paio di dita per mano per trascurabili funzioni; la vista è adoperata all’interno di pochi pollici per guardare il mondo senza goderne, e il male dell’anima, perché la nostra anima è fortemente guastata, verrà curato nei sintomi e non nelle cause. Per farlo, occorre ritrovare la diritta via che ciascuno ha smarrito trascurando, fra gli altri, uno come Dante che le cose tutte ha saputo spiegare in strofe e terzine per cento canti in tre libri vergando la memoria di persone reali ipotizzandone una condanna avulsa da giudizio per il male e le colpe che avevano causato a se stessi e agli altri.

Mai ho sentito pronunciare il verso “e la bocca mi baciò tutta tremante” con tanta dolcezza e fremito: dentro all’interpretazione di Eugenio Di Fraia del V Canto dell’Inferno (Paolo e Francesca) c’è il palpito di un pensiero illecito che almeno una volta nella vita ha scatenato il dilemma dentro ciascuno…

Quale che sia la selva, l’importante è ritrovare la via…

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