Caravaggio e la canestra di frutta

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Caravaggio e la canestra di frutta

di Enrico Licciardello

i Nei secoli passati l’analfabetismo faceva da padrone fra le popolazioni. Mancando i mezzi di comunicazione che abbiamo oggi (stampa, radio, internet, ecc.) le persone erano all’oscuro dei fatti presenti e passati. La Chiesa, per ovviare a tale inconveniente, comunicava con i fedeli attraverso le opere d’arte, quali dipinti, affreschi e statue. Le opere contenevano dei simboli, più o meno espliciti, di ciò che il committente o l’artista avrebbero voluto dire, ma non lo potevano fare esplicitamente. Anche il Caravaggio utilizza nelle sue opere simboli e fra queste la “Canestra di frutta”.

Una delle prime vere e proprie nature morte dell’arte italiana è la “Canestra di frutta” del Caravaggio che rappresenta un piccolo cesto contenebte comune frutta, ma di una tale abbagliante bellezza da quasi non notare che la mela non è nelle migliori condizioni (la mela è bacata), alcuni acini d’uva sono avvizziti, la buccia dei fichi violacea, le foglie della pesca sono mangiate dagli insetti, mentre le splendite foglie dei frutti sono in qualche misura maculate, scolorite ed appassite: è una natura morta traboccante di vita.   

 La frutta contenuta nel cesto ha un significato profondo che poteva essere compreso solo dalle persone colte del tempo del Merisi. L’uva rappresenta le parole di Cristo: io sono l’uva e voi il tralcio. Nello stesso tempo questo frutto rappresenta il vino e, quindi, Bacco il dio dei piaceri della vita e dell’ebbrezza. Per gli antichi greci la pera rappresentava la donna ed in particolare Afrodite, la dea dell’amore e della bellezza, simbolo positivo della vita. Dei fichi e dell’albero che produce il frutto, vi sono antiche credenze che ritenevano che i fulmini non colpissero le persone che trovavano rifugio sotto l’albero del fico, in quanto rappresentava il simbolo della protezione e della salvezza. Questa credenza scaturisce da un antico mito riferito a Zeus, capo dell’Olimpo, che lanciava mortali saette. Il dio voleva la dea Gea, la dea della terra, ma questa fugge via e trova salvezza sotto un albero di fico. La pesca è un frutto che è costituito da tre parti, la polpa, il nocciolo ed il seme; simbolo trinitario del divino, ma anche umano in quanto costituito da carne, ossa e anima. La foglia della pesca ha la forma della lingua e ha collegamento diretto con il cuore, quindi le foglie di questo frutto rappresentano la verità. La mela ha un significato non positivo perché collegato all’albero del melo (malum) e, quindi, al peccato originale. Inoltre la mela è bacata per ricordare di godersi la vita, ma viverla con moderazione perché essa prima o dopo finirà.

Nelle opere del Merisi vi è sempre una luce che illumina e in questo quadro la luce irrompe da sinistra verso destra; le foglie illuminate sono fresche e vive (alcune di esse hanno delle gocce di rugiada), ma dal centro del quadro verso destra, le foglie cominciano ad appassire quasi a significare il passaggio dalla vita alla morte.

La canestra, inoltre, è un semplice cesto che viene dipinto fuori dal tavolo di appoggio dell’opera, quasi a dire allo spettatore di prenderlo fra le mani per farlo partecipare a questa realtà di vita. L’anonimo sfondo, infine, serve a fare risaltare ancora di più il contenuto e il significato del dipinto e forse anticipare gli sfondi oscuri dei dipinti della sua maturità. Infatti non dobbiamo dimenticare che questa opera fu realizzata a Roma fra il 1597 e il 1598 per il suo committente e mecenate Cardinale Francesco Maria del Monte, opera che fu poi donata al Cardinale Federico Borromeo.

 

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