La rassegna ‘Rigenerazioni’, prodotta dal Teatro Argentum Potabile ha chiuso il ciclo delle rappresentazioni l’altra sera nello spazio artistico teatrale Roots, in via Borrello a Catania con lo spettacolo ‘La Loba’, scritto e diretto da Antonella Caldarella.
La Loba è “un testo teatrale ispirato alle fiabe contenute nel libro di Clarissa Pinkola Estés ‘Donne che corrono coi lupi’ – ci dice Antonella Caldarella –. È una sorta di viaggio con tante fiabe simboliche basate sull’archetipo femminile, dal respiro quasi arcaico. Mi piace sottolineare che è un teatro narrativo, ma allo stesso tempo fisico e dinamico. Tutto fatto di sudore e anima. La Loba è la lupa, la raccoglitrice, la donna delle ossa. Il suo canto, se scegli di seguirlo, ti porta in un mondo arcaico dove danzano donne-foche sotto la luna in riva al mare, dove la donna-scheletro beve lacrime umane per ricoprirsi di carne, dove i vecchi si rivelano bambini e i bambini, vecchi saggi; alla scoperta della donna selvaggia che dimora in noi che talvolta rimane nascosta per anni oppure si manifesta sin dalla nascita”.
In soldoni, lo spettacolo propone un viaggio attraverso queste storie, un guardarsi dentro, un rito collettivo che fa eco alle origini sacre del teatro stesso; una epifania dell’universo femminile visto dalle donne, inconsueta all’apparenza quanto reale.
Una rappresentazione tutta giocata sul simbolismo. Il simbolismo dei testi, per la comprensione dei quali è necessaria una ermeneutica che richiede il ripasso; il simbolismo dei pochissimi strumenti di scena; il simbolismo della disposizione del pubblico nel corso dello spettacolo; il simbolismo che l’accorta regia assegna ai movimenti scenici, il simbolismo del casto nudo esibito dalle tre brave attrici: Maria Riela, Clara Baudo e Chiara Sciuto; il simbolismo d’una cadenza recitativa, che attinge ai cori del teatro classico greco, tutta tesa a sottolineare la drammaticità delle storie narrate; il simbolismo della nebbia che avvolge l’intera scena e gli spettatori.
Un effluvio di simboli dunque che, com’è nella natura dei simboli, attende l’interpretazione di ciascuno degli spettatori, il quale ci vede cose e sensi del tutto differenti da tutti gli altri.
Una narrazione, quella di Antonella Caldarella, che si serve in abbondanza di strumenti polisemici tutti indirizzati in una unica direzione in ogni caso, la complessità e il doloroso cammino identitario delle donne e del loro universo, che grida il bisogno d’essere compreso ed accettato nella sua sacra “follia” così cara agli Dei, sempre in lotta con la “razionalità” del maschio/uomo che non capisce e non intende per colpa o per convenienza, per incapacità o disinteresse.
Uno spettacolo che è un invito ad andare al fondo delle cose, non fermarsi in superficie, perché la superficie è dei profani che stanno davanti al tempio e non possono entrarci.
Uno spettacolo che è una sfida, una sfida per ciascuno, uomini e donne, che ha come premio l’evitare d’essere irretiti dalla “giustizia del mondo, che punisce chi ha le ali e non vola”.
Le musiche originali sono di Andrea Cable e i costumi di Gaetano e Maria Riela.