In un tribunale italiano come tanti, un cittadino si trova intrappolato in un incubo degno di Kafka, dove le procedure esecutive sembrano seguire le regole di un gioco assurdo piuttosto che quelle della giustizia. Nel nostro caso, tre procedure esecutive immobiliari si contendono il primato in una competizione che ha più somiglianze con un reality show che con un’aula di tribunale.
Immaginate la scena: un cittadino diligente, che vedremo presto scendere nella buca del bianconiglio della burocrazia italiana, scopre che il suo immobile è stato oggetto di un’asta giudiziaria. Fin qui tutto normale, direte. Ma ecco il colpo di scena: le aste in questione sono tre. Sì, avete capito bene, tre diverse procedure che sembrano essere state scelte per un esperimento sociale più che per una procedura legale.
La legge, con la sua solita chiarezza cristallina, stabilisce che quando ci sono più procedure esecutive aperte sullo stesso bene, quella più antica diventa la procedura principale, e le altre devono accorparsi. Semplice, no? Beh, solo in teoria. Nel nostro caso, sembra che nessuno abbia ricevuto il promemoria.
Abbiamo quindi una situazione in cui una procedura aperta nel 2006 dovrebbe essere la stella della serata, ma le altre, aperte successivamente, si rifiutano di passare in secondo piano. È come se le procedure esecutive avessero sviluppato una personalità propria, ciascuna decisa a mantenere il proprio posto sotto i riflettori.
Ma la vera comicità tragica emerge quando si scopre che i documenti che dovrebbero legittimare queste procedure sono assenti o, peggio ancora, falsificati. È un po’ come scoprire che il presentatore del reality non ha mai letto il copione e gli attori recitano a soggetto.
E come ciliegina sulla torta, il nostro cittadino non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale riguardo l’esito dell’asta. In un mondo ideale, la trasparenza e la comunicazione dovrebbero essere i pilastri della giustizia. Nel nostro mondo, sembrano essere optional, come i finestrini elettrici su un’auto del secolo scorso.
E mentre le Special Purpose Vehicle, quegli enigmatici enti di recupero crediti, si destreggiano tra irregolarità e mancanza di legittimazione, il cittadino resta in balia di un sistema che sembra progettato per confonderlo piuttosto che aiutarlo.
In conclusione, questa vicenda ci ricorda tristemente che, in Italia, le procedure esecutive possono trasformarsi in un labirinto senza uscita, dove la logica è un’ospite rara e l’efficienza un miraggio. E mentre i giudici sospendono e annullano a destra e a manca, resta la sensazione che la giustizia, almeno quella per il cittadino comune, sia rimasta imprigionata in un’ennesima procedura amministrativa, in attesa di essere accorpata a tempi migliori.
E così, tra un’accorpamento mancato e un documento assente, il nostro cittadino continua a navigare nelle acque torbide della burocrazia italiana, sperando che, un giorno, qualcuno accenda finalmente la luce in questo oscuro teatro dell’assurdo.