“Che fai tu luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?”
Pare di vederlo Giuseppe Lazzaro Danzuso interrogare il globo roccioso che ci gira intorno da quattro miliardi di anni, alla maniera del Pastore Errante dell’Asia di leopardiana memoria; come il recanatese, come un poeta, come colui che cerca risposte all’esistenza, alla propria esistenza.
Ma parla la luna? Risponde la luna?
Non risponde la Luna a chi ragiona, non gli parla.
La Luna parla ai folli.
Solo i folli possono comprendere il suo linguaggio; e di folli ce ne sono parecchi miliardi sulla terra: malati di mente, ubriachi, bambini, iniziati, credenti, sognatori, amanti e poeti; ce lo ha insegnato definitivamente Platone duemilaquattrocento anni fa: i poeti sono folli perché smarginano il linguaggio, perché vedono con gli occhi di chi immagina il mondo di dentro; proprio come Cyrano De Bergerac, come Micio Tempio, come Giuseppe Lazzaro Danzuso che nella sua “follia” ha scritto e rappresentato a Catania nell’auditorium del Centro Polifunzionale di via Zurria “Miciu e Cirano sulla luna”, un atto unico diretto da Angelo D’Agosta, che lo ha interpretato con Andrea Balsamo, per i costumi e gli attrezzi di scena – comprese le maschere e le marionette – di Menonèmo e l’assistenza in regia di Agnese Failla.
Ci dice l’autore: ”I protagonisti sono due poeti, il catanese Domenico Tempio e il francese Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac, uguali eppure diversissimi, i quali, vivono sulla luna in un esilio imposto da Ananke, rubando ai terresti ausili tecnologici (PC, cellulari, etc.) e osservano il nostro mondo, a cominciare dalle eruzioni dell’Etna fino ai fuochi della guerra: litigano, facendo ridere e commuovere”.
I tre (Micio, Cyrano e Giuseppe) si interrogano in mezzo all’immondezza terrestre, tanto reale quanto simbolica, sull’ontologia fenomenologica della propria esistenza, arrivando alla conclusione latomistica, comprensibile solo sul piano emotivo, che l’uomo esiste nella misura in cui si realizza, egli non è altro che l’insieme dei suoi atti, nient’altro che la sua vita.
Pare che Jean Paul Sartre, al calar della tela, abbia inviato dalla luna a Giuseppe un sintetico messaggio Uozap: “Giusè! Ci sto pure io qua.”
Sono sicuro che il lettore malevolo non mi crederà, che mi classificherà “rejected” e mi consegnerà all’immondezzaro; per questo motivo nomino mio difensore il più grande degli avvocati dei folli e di chi sogna di poetare, il Maestro di Omegna, Gianni Rodari.
Dai Gianni, difendici tu!
Sulla luna, per piacere,
non mandate un generale:
ne farebbe una caserma
con la tromba e il caporale.
Non mandateci un banchiere
sul satellite d’argento,
o lo mette in cassaforte
per mostrarlo a pagamento.
Non mandateci un ministro
col suo seguito di uscieri:
empirebbe di scartoffie
i lunatici crateri.
Ha da essere un poeta
sulla Luna ad allunare:
con la testa nella luna
lui da un pezzo ci sa stare.
A sognar i più bei sogni
è da un pezzo abituato:
sa sperare l’impossibile
anche quando è disperato.
Or che i sogni e le speranze
si fan veri come fiori,
sulla luna e sulla terra
fate largo ai sognatori!
Grande!
Il pubblico s’è divertito tanto e tanto ha applaudito, quand’anche s’aspettasse una maggiore quantità di citazioni dalle liriche audaci e coloratissime del compaesano Micio Tempio.
Buona la regia, impeccabile l’apparato tecnico, azzeccato il corredo musicale e ottima la performance degli attori.
Un ottimo manufatto, in buona sostanza.
Lo spettacolo, curato per l’Ufficio stampa da Giovanni Iozzia, ha fatto parte della rassegna “Corra la voce” prodotta da Buongiorno Sicilia e finanziata nell’ambito di “Palcoscenico Catania 2024” dal Comune e dal Ministero della Cultura.
Le foto di scena sono di Marzio Pardo.