Mario Natangelo, il vignettista de “Il Fatto Quotidiano” ha presentato a Catania la sua ultima opera “Cenere, appunti da un lutto”.

Mario Natangelo, il vignettista de “Il Fatto Quotidiano” ha presentato a Catania la sua ultima opera “Cenere, appunti da un lutto”.

Ospite della Comunità della Chiesa Valdese di Catania nel giardino della Biblioteca Navarria Crifò di via Naumachia 18/a, Mario Natangelo vignettista de “Il Fatto Quotidiano”, intervistato dal giornalista e fotografo Roman Henry Clarke,  ha presentato il suo ultimo libro “Cenere – appunti da un lutto” edito da Rizzoli.

Mario Natangelo, napoletano classe 1985, giornalista e vignettista di lunga, brillante esperienza, è salito alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali ed è entrato nelle fauci della Presidentessa del Consiglio dei Ministri per via di una vignetta satirica riguardante il Cognato d’Italia, attuale Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida e la moglie Arianna, Sorella d’Italia, in merito all’infelice espressione del ministro riguardo alla cosiddetta “sostituzione etnica”, per la quale ha subito un processo disciplinare da parte dell’Ordine dei Giornalisti conclusosi con la piena assoluzione all’unanimità e tutt’ora costretto a difendersi in Tribunale da una querela che ha tutto il sapore di una censura sul tipo “Guai ai vinti”.

Nel giardino della biblioteca non c’erano più sedie, era stracolmo di gente che si è sostituita all’intervistatore ufficiale con domande tutte tese a conoscere, di fatto, uno sconosciuto.

Piano piano l’Inclito Cavaliere dei diritti civili, il Guerriero irriverente e senza paura ha ceduto il posto a un giovane di quasi quarant’anni, del tutto normale nelle sue debolezze, nelle sue fragilità, nelle convinzioni, nelle risposte alle avversità della vita, vissute allo stesso modo di tanti di noi, con in più il solo talento d’artista, che non è poco e non lo disumanizza.

Il suo libro “Cenere”, fatto interamente di vignette e foto tratte dai suoi social, narra della sua personale elaborazione del lutto per la perdita della mamma; è una riflessione sincera sul proprio dolore e sull’evento stesso della morte, un evento comunissimo di cui in verità, non dovremmo affatto stupirci: ogni giorno nel mondo muoiono circa duecentomila persone, un milione da lunedì a venerdì.

Eppure se la morte tocca uno dei nostri affetti, ci distrugge la vita: siamo mediamente, rovinosamente impreparati ad accogliere l’idea che possiamo essere privati dei nostri affetti. La società capitalistica ha abolito dal suo orizzonte culturale l’idea della morte perché elimina d’un colpo il consumo dei prodotti che essa produce, sicché ciascuno deve vivere come se non morisse mai, in una immortalità cieca fino all’ultimo giorno per il bene supremo della Produzione.

Com’è ovvio l’obnubilamento dell’idea della morte rende ancora più doloroso il distacco da chi si ama, ed è questa l’esperienza che ha vissuto Mario Natangelo.

Egli, con i suoi disegni, ha fatto quello che, quelli di noi che hanno vissuto la stessa esperienza, non hanno potuto fare per via del condizionamento sociale che ci vuole composti e rispettosi delle regole comportamentali, del galateo che la società impone in questi casi; un rito codificato, ch’è una danza silenziosa sempre uguale a se stessa che vuole il dolore composto e silente.

Mario col suo “Cenere” ha gridato! E grida da ogni pagina, da ogni disegno, da ogni vignetta! Il suo libro è un grido che assume tutte le sfumature, tutti i colori che il dolore animico suscita in chi ne è vittima.

Grida Mario, fino all’ultima pagina, anche quando appare convinto nell’accettare l’assenza; grida il suo dolore e la sua rabbia.

Queste grida che rivelano certo l’indomito guerriero, il combattente che non si spezza, il non credente  che dileggia il Rosario, hanno un precedente importante nel  “De profùndis clamàvi ad te, Dòmine; Dòmine, exàudi vocem meam. Fiant àures tuæ intendèntes in vocem deprecatiònis meæ”; è il salmo 129 .

“Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica”.

La mamma di Mario è morta, giace sulla “deserta coltrice”, vittima come tutti dei naturali fenomeni tanatologici, eppure Mario ci parla, dialoga con lei continuamente: “per quanto riguarda me, non smetterò di parlarle, di sentirla, di farla ridere” scrive; e che cos’è quest’incessante ricerca del dialogo con la mamma, se non una implicita riconoscenza della Trascendenza, un riconoscimento dell’ultrattività dell’Anima al di fuori dal corpo, un aprire il cuore alla Speranza della vita che non finisce con l’ultimo respiro.

Sono riconoscimenti non detti e nemmeno scritti: sono gridati!

Esattamente come fa il salmista, De profùndis clamàvi ad te, Dòmine!

C’è molto di cristiano nell’agire di Mario Natangelo; la sua passione civile, la sua attenzione agli ultimi, l’indignazione verso i mercanti di morte, verso i prepotenti, verso i disonesti, sono tutte virtù cristiane; tutte virtù tese a costruire un mondo migliore, a corroborare la fede nell’attesa di un mondo migliore che non può non venire, con la stessa Certezza e la stessa Speranza che hanno le sentinelle sull’avvento dell’Aurora.

“Siediti e resta a guardare la primavera. E’ tanto bella, Tesoro mio, vedrai qualcosa fiorirà”, scrive Mario nella quarta di copertina: più Speranza di questa!?

Con ogni probabilità, questo fu anche l’ultimo pensiero di Carlo Marx, era cristiano anche lui.

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