Ascanio Celestini, nell’ambito delle manifestazioni di Catania Summer Fest 2024, ha aperto l’altra sera la Rassegna “Nuovi Confini”, diretta da Giovanni Anfuso con il monologo Radio Clandestina, Roma, Le Fosse Ardeatine, La Memoria.
Nonostante il caldo asfissiante e la fastidiosa, tropicale pioggerellina che ha disturbato per qualche minuto la rappresentazione, il Cortile Platamone mostrava il pienone delle grandi occasioni; perché di grande occasione si trattava, in effetti.
In una Regione governata dal centrodestra e una Città governata dall’ultradestra, assistere ad una lezione di storia patria, una lezione di educazione civica in linea con lo spirito della Costituzione Italiana del ’48 è stata una occasione più unica che rara e, come volevasi dimostrare, nessun rappresentante delle istituzioni era presente; ad onor del vero questo, per quanto deplorevole, possiamo capirlo: la Verità è sempre disagevole e dolorosa ed evitare di farci i conti è esperienza comune; ciò che ci è apparso francamente incomprensibile è stata l’assenza dei rappresentanti delle forze sociali che ai valori delle Costituzione si ispirano: colpa del caldo, sicuramente.
Il monologo ha reso conto dei giorni e del clima che si respirava a Roma fra il marzo del 1944 e il 1945 all’interno del quale i Nazisti aiutati dai Fascisti attuarono l’assassinio di massa delle Fosse Ardeatine, 335 innocenti, in risposta all’azione di guerra partigiana di via Rasella.
I fatti erano, sono conosciutissimi e ciascuno tra il pubblico avrebbe potuto raccontarli con altrettanta dovizia di particolari fino all’epilogo cristallizzato dalla Storia.
Assueta Vilescunt dicevano i padri latini: le cose solite diventano vili, perdono valore.
Qualsiasi storia, qualsiasi fatto accaduto, narrato e rinarrato, perde man mano qualcosa fino a diventare una cosa solita, già conosciuta e per questo di diminuito valore: questo è un dato esperienziale e psicologico ineluttabile.
Pensate alle vicende dei vangeli che ci vengono narrate tutte le domeniche a messa; nel cristiano dovrebbero suscitare ogni volta dolore, gioia, indignazione, speranza; eppure i più varcano in uscita il portale della chiesa nello stesso modo con cui sono entrati.
Perché? Perché conoscono il finale!
Sanno a memoria i particolari: la tragedia della crocifissione del Figlio dell’Uomo non li stupisce più, allo stesso modo delle cose solite: Assueta Vilescunt.
Dell’eccidio delle Fosse Ardeatine conosciamo il finale e non fa certo eccezione: con i suoi ottant’anni e i suoi duecento, mille anni non sfuggirà al destino di diventare “cosa solita”.
Che tristezza!
Eppure una tenue speranza c’è, c’è qualcosa che si può, che si deve fare per limitare, sconfiggere l’oblio naturale delle cose solite.
E’ un metodo che è sempre esistito, ma che è stato codificato, nei suoi Quaderni, da Antonio Gramsci da Ales, sintetizzato in questa espressione: ”Il dire bene grandi cose è un farle in gran parte”.
Il cuore dei credenti non brucia, non palpita durante e dopo la messa perché la narrazione fatta dall’officiante non è esaltante, anch’egli la vive come “cosa solita” piuttosto che narrarla con passione per trasmettere la medesima passione agli astanti.
Ascanio Celestini è uno che queste cose le ha capite e ha piegato il suo talento alla maggiore efficacia possibile della sua narrazione.
Egli ha offerto al fortunato pubblico di Catania un Concerto di Parole sulla tragedia delle Fosse Ardeatine, con tutte le abilità che il suo mestiere d’attore gli ha consentito di mettere in campo: sceneggiando con le mani, con il corpo, con i pochi oggetti di scena lo spartito di parole e di sensi che intendeva trasmettere; avvalendosi di una dizione senza nessuna sbavatura, mantenendo e modificando il ritmo narrativo e la musicalità delle pause a secondo dell’argomento e del messaggio da trasmettere, in un tutto armonico e con una simpatia e una perizia che ha ricordato coloro che suonano insieme, contemporaneamente, quattro o cinque strumenti con le mani, le gambe, le ginocchia, la bocca, i piedi; insomma una specie di One Man Band tutto teso a cancellare la patina di “cosa solita” alla sua narrazione.
La sua è stata una narrazione, un dire e un fare “erotico”, così come dovrebbe essere ogni narrazione, ogni dire, ogni fare che intende trasmettere valori che debbano restare.
Egli ha sedotto il suo pubblico, gli ha fatto provare piacere, il lustprinzip di freudiana memoria.
“… hai notato?” dice una giovane ad una coetanea mentre varca il portone d’uscita “nel momento in cui ha raccontato dell’uccisione col colpo alla nuca di ciascuno dei martiri, anche il Cielo s’è commosso e ha lacrimato qualche minuto di pioggia”: l’immensa forza creatrice della parola.
Qualsiasi messaggio veicolato dal piacere finisce con lo scolpirsi nella mente e più ancora nel cuore.
In questo senso, credo che quelle 335 vittime innocenti, i loro parenti e noi tutti italiani si debba un pizzico di terrestre riconoscenza a questa novella incarnazione del Dio Eros, a questo Aedo solitario e ostinato che ha nome Ascanio e cognome Celestini.