La Civiltà della Conversazione ne “Le Intellettuali” di Molière, riviste da Giovanni Anfuso e Giuseppe Pambieri al Teatro Brancati di Catania

La Civiltà della Conversazione ne “Le Intellettuali” di Molière, riviste da Giovanni Anfuso e Giuseppe Pambieri al Teatro Brancati di Catania

Fossimo a Broadway sarebbe stato in cartellone per almeno un anno!

Mi riferisco alla versione delle Les femmes Savantes (Le donne studiose, o saccenti, o sapienti, o letterate o intellettuali; a secondo della sensibilità dei traduttori) che Molière scrisse un anno prima di morire (1672) e che Giovanni Anfuso, col titolo Le Intellettuali, ha riscritto, tradotto, ridotto, diretto e recentemente donato al pubblico catanese.

Credo che i catanesi abbiano, l’altra sera, contratto un debito di riconoscenza non solo nei confronti dello stesso Anfuso ma anche nei confronti di Orazio Torrisi direttore del Teatro Brancati e del maestro Giuseppe Pambieri che hanno creduto nel progetto prodotto dal Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale di Catania e dal Teatro Vittorio Emanuele di Messina – Ente Autonomo Regionale.

Il “debito”consiste nel fatto che era da molto tempo che non si assisteva a Catania ad uno spettacolo che rasentasse quasi la perfezione in tutte le componenti costituenti una rappresentazione teatrale come descritte dai manuali (la dizione, i tempi, le pause, le movenze del corpo, del viso, le scene, i costumi, le luci, le musiche, finanche gli ammiccamenti al pubblico, etc)  e da quello che si insegna nelle più accreditate scuole di teatro.

S’è intravvista, lontana ma distinta, la mano di Giorgio Strehler, Orazio Costa, Luigi Squarzina e le voci degli immensi attori che dal secondo dopoguerra alla nostra generazione è dato di conoscere.

La trama è presto detta ed è tipica delle dinamiche narrative di Molière: diversi personaggi, tra il comico e il drammatico, si contrastano tra loro fino un nodo irresolubile e tragico che viene sciolto da un espediente fantasioso nel finale.

Chrysale, un ricco borghese interpretato da Giuseppe Pambieri in stato di grazia, impeccabile e carico di quasi dimenticate sfumature recitative magistrali, è succube delle moglie Philamine, una convincente Micol Pambieri, della sorella Belise, l’applauditissima Barbara Gallo e della figlia maggiore Armande (Isabella Giacobbe), tutte circuite dal poeta “politicamente corretto” Trisottin (un eccellente Giorgio Lupano) che mira alla dote dell’altra figlia Henriette (Roberta Catanese) che ama invece Clitandre ( Eugenio Papalia), mentre Ariste, fratello di Chrisale, è un encomiabile Davide Sbrogiò che alla fine s’inventa l’escamotage che disinnesca l’imminente tragedia.

Fanno da contorno alla storia il notaio Vadius, Santo Santonocito, la scaltra domestica Martine, Margherita Frisone e il lacchè L’Epine, Gabriele Casablanca.

La materia del contendere tra i protagonisti è l’amore smodato per la cultura, per l’arte, per la poesia, per la grammatica e il bel parlare degli uni (la Ragione apparente) contro la semplicità e la naturalezza dei sentimenti (la Follia apparente) degli altri.

Un contendere, come ognuno può constatare, davvero fuor d’ogni comprensione al mondo d’oggi: la Ragione cerca d’imporre alla Follia un marito perché parla in rima e parla forbito piuttosto che per amore e passione! Una sconcezza da attuale agone politico.

In questo senso la commedia mostra tutti i suoi trecento anni e passa: diciamolo pure, la contesa tra saccenza e passione oggi non è né attuale né credibile.

Per comprendere appieno la commedia occorre tornare al 1672 e scoprire che proprio in quegli anni si affermava, prepotente, fra le classi agiate – e avrebbe continuato a vivere almeno per due secoli – quella che gli storici e i critici letterari hanno chiamato la “Civiltà della Conversazione”, cioè quel costume che per mezzo di una retorica simulata si metteva al servizio dell’otium anziché del negotium.

Proprio attraverso la “Conversazione”, l’urbanitas – l’antico ideale di cortesia – dispiegava l’intera gamma dei suoi significati e sottolineava l’importanza del sermo convivialis atto a offrire un rifugio fuori dal tempo agli interlocutori, dove le divine idee del bello, del vero e del bene erano viste come strumenti per raggiungere una specie effimera di felicità.

Strumenti privilegiati di questa ubriacatura ludica erano la musica, il ballo, il teatro, la poesia, la letteratura, la poesia; ma niente era paragonabile alla capacità d’illusione della parola coltivata con fasto mecenatesco, fino all’iperbole di Madame de Rambouillet: ”Il più grande piacere della vita, e quasi il solo, va ricercato nella conversazione”; espressione tardo secentesca che preconizza, inconsapevole, l’avvento novecentesco e l’esplosione del tempo presente della “intossicazione ermetica” che ci opprime e soffoca la nostra mente e ancor più il nostro spirito oggidì.

Perché no, ci fa piacere pensare che il nostro Moliére, intuendo questa dittatura della comunicazione, sbeffeggi e metta alla berlina i suoi contemporanei che si coprono di ridicolo mentre ostentano quel sapere che non possiedono e che aspirano invano a possedere.

Crediamo che, non solo dunque per la perfezione stilistica ma anche per queste ultime considerazioni, “Le Intellettuali” di Anfuso e questo cast, “stellare” dal primo all’ultimo, vadano rappresentate in lungo e in largo nella nostra disgraziata Italia e, di più ancora, nelle sue scuole affinché gli alunni (e anche gli insegnati) possano intraprendere un cammino di conoscenza e consapevolezza della radicale importanza e straordinaria potenza (nel bene e nel male) che ha il comunicare, la comunicazione.

Onore e merito a questa compagnia di folli … e che buon pro ci faccia!

Completano il cast Andrea Taddei per le scene, Riccardo Cappello per i costumi, Luciano Francisci e Stefano Conti per le musiche, Antonio Rinaldi per le luci, Giorgia Torrisi Lo Giudice per i movimenti coreografici e Lucia Rotondo che è stata l’aiuto regista.

 

 

 

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