Giacomo Carboni Parla Della Mancata Difesa di Roma l’8 settembre 1943  

Giacomo Carboni Parla Della Mancata Difesa di Roma l’8 settembre 1943   

 

Di Santi Maria Randazzo

 

Dopo la prima edizione del libro scritto da Giacomo Carboni, Capo del S.I.M., pubblicata nel giugno del 1945 con il titolo “L’Armistizio e la Difesa di Roma – Verità e Menzogne”, in un limitato numero di copie che ben presto andarono esaurite, lo stesso autore nel pubblicò una seconda edizione ampliata nell’agosto del 1945, di cui pubblichiamo interamente la premessa all’edizione del giugno 1945 integrata dalla premessa all’edizione dell’agosto 1945, datata 31 gennaio 1945, che costituiscono una sintesi che illustra in modo significativo gli avvenimenti ed il contesto che li riguardava e che contrasterebbe con la ricostruzione di quei momenti fatta da Aldo Cazzullo nella trasmissione ‘Una giornata particolare’.

Premessa alla prima edizione del giugno 1945

Da cinque mesi il Ministro della guerra ha aperto un’inchiesta ufficiale sui ‘Fatti di Roma del settembre 1943’. Ho confidato che l’inchiesta sarebbe valsa ad accertare la verità ed a renderla pubblica, svelando agli italiani quanto sfortunato e disperato e sublime eroismo i soldati delle divisioni Ariete, Granatieri e Piave, del corpo motocorazzato, abbiano profuso attorno a Roma, nei giorni 8, 9, 10 settembre 1943. In quei giorni i soldati del Corpo Motocorazzato furono abbandonati e traditi dal governo e dall’Alto Comando; lo seppero; vollero battersi ugualmente e si batterono, ai miei ordini, con incomparabile slancio e tenacia, fiancheggiati da squadre di cittadini volontari da me armati e impiegati in combattimento. Ma, dolorosamente, i numerosi caduti alla difesa di Roma sono stati traditi, poi, anche dall’opinione pubblica, fuorviata da interessi personali e di parte e non illuminata da chi avrebbe avuto il dovere e il potere di farlo. Sono venuto ormai acquistando la fondata convinzione che anche le inchieste ufficiali, se pure non si propongono lo scopo di prolungare e di aggravare l’errore di giudizio dell’opinione pubblica a danno dei difensori di Roma, non si possono proporre nemmeno lo scopo di correggerlo. Sento perciò il dovere di rompere il silenzio, che mi ero imposto finora non per un sentimento di inerte disciplina dovuta a 35 anni di servizio militare, ma per meditata carità di patria e divulgo la prima parte della mia relazione ufficiale sui ‘fatti di Roma’, presentata alla Commissione d’inchiesta ministeriale fin dal giorno 23 settembre 1944. La divulgo perché il pubblico possa finalmente conoscere, come ne ha il diritto, tutti i particolari sugli avvenimenti di quei giorni. E perché la conoscenza della verità sulla difesa di Roma possa sollevare gli italiano dall’abisso di avvilimento in cui li ha precipitati la fuga di Pescara e possa ridare a tutti, senza distinzione di partito, fiducia nelle nobilissime virtù guerriere della nostra stirpe e urgente volontà di trarre al più presto da queste virtù una forza armata nazionale radicalmente rinnovata, idonea a battersi degnamente accanto agli Alleati per la totale liberazione del suolo patrio e per affrettare il raggiungimento di una vittoria che, avendo anche l’impronta italiana, serva a riscattare l’Italia dall’ignobile armistizio Badoglio- Castellano.

Integrazione alla prima premessa, contenuta nell’edizione dall’agosto 1945

“Queste note erano già in corso di stampa, allorché un provvedimento ministeriale mi ha collocato in congedo assoluto. Le mie previsioni sono state così superate, perché non si è soltanto voluto prolungare ed aggravare l’errore di giudizio dell’opinione pubblica a danno dei difensori di Roma, ma si è fatto di più: adottando contro di me un provvedimento punitivo che mescola il mio nome con quello di alcuni generali fuggiti e con quello di altri che ignoro se e quali colpe abbiano, si è voluto offrire un capro espiatorio all’opinione pubblica, indebolendo preventivamente ogni mia eventuale presa di posizione a favore della verità sulla difesa di Roma. Da parecchi mesi si lavorava per seppellirmi senza che io potessi far udire la mia voce, cercando di farmi sparire alla chetichella, come si sono fatti sparire e dimenticare tutti i caduti alla difesa di Roma; e si è riusciti ad impedire persino che io parlassi dinanzi alla commissione d’inchiesta nominata dal Ministero stesso. Infatti il mio collocamento in congedo assoluto è stato deliberato senza che la commissione mi abbia mai né interrogato ne contestato alcunché sulle relazioni scritte, presentate di mia iniziativa. E mentre sono stati interrogati coloro che potevano avere motivi di ostilità o di tornaconto contro di me, nessuno dei testi da me indicati per accertare la verità sulla difesa di Roma è stato chiamato dinanzi alla commissione; anzi questi disgraziati testimoni della verità hanno subito tutti i soprusi e le intimidazioni possibili. Contro di me è stata esercitata una persecuzione in piena regola, culminata in un atto di violenza col quale il 16 gennaio, in pieno giorno, in una via di Roma, alcuni individui qualificatisi agenti di polizia si sono impadroniti di una mia piccola cassaforte affidata a mani amiche e colma, fra l’altro, di documenti personali di decisiva importanza. Fatto il colpo, che costituisce un vero e proprio reato appena concepibile in un paese selvaggio, o fascista, si è creduto di avermi privato finalmente di tutte le armi per la onesta mia e dei miei soldati e si è provveduto a colpirmi col congedo assoluto. Una così straordinaria procedura nei miei riguardi mi autorizza a pensare che, in determinati ambienti, non si sia preoccupati soltanto di soffocare la verità sulla difesa di Roma, ma che molte circostanze della mia carriera vengano considerate quali colpe e fra queste, con ogni probabilità, particolarmente gravi le seguenti: l’aver partecipato troppo da vicino alla preparazione e all’attuazione del rivolgimento del 25 luglio 1943 e l’aver tentato di oppormi a molti errori commessi in quei giorni e nei 45 successivi dal primo ambiguo e catastrofico governo Badoglio; l’essermi trovato in situazione analoga in occasione della nostra entrata in guerra accanto alla Germania poiché allora io ero capo del S.I.M. e in tale carica combattei aspramente e apertamente la volontà interventista dell’ambiente militare e politico; l’avere esplicitamente osteggiato, durante la guerra, le più balorde imprese militari che avvilirono e macchiarono le nostre armi; l’avere contrastato tenacemente e con tutte le mie forze il progetto di fuga a Pescara che ha disonorato l’Italia dinanzi al mondo e che l’ha disarmata; l’avere distribuito a Roma, nei drammatici giorni del settembre 1943, armi al popolo, nonostante i dubbi e le paure del governo Badoglio e della polizia; l’aver combattuto e fatto combattere i miei soldati a Roma dopo la fuga generale, riuscendo, in una situazione molto complicata, oscura e tragica da non trovare precedenti nella storia militare, a tenere accesa la lotta per due intere giornate, neutralizzando le trattative di armistizio condotte da un genero del Re, il generale Calvi di Bergolo e da due Marescialli, Caviglia e De Bono, e l’aver impiantato, poi, il primo fronte clandestino. Io sarei, cioè, giudicato come un elemento ‘incomodo’ per talune alte e altissime posizioni personali; anche, forse, perché dopo la liberazione di Roma, ho mantenuto il mio isolamento ed ho conservato la mia coscienza immune da compromessi, senza cedere né a pressioni né a lusinghe. Coi metodi fascisti, che oggi vediamo tornare progressivamente in auge, si deve dunque considerare relativamente ragionevole e conseguente che, all’aprirsi dell’anno postfascista 1945, questi metodi siano impiegati anche in atti intesi ad eliminarmi bruscamente ed arbitrariamente. Posso dichiarare che, pur non volendo sottovalutare la mia modesta persona, lo avevo preveduto e debbo riconoscere di aver facilitato il gioco dei miei nemici col non essermi mai difeso pubblicamente, neppure quando venivo ignobilmente diffamato e calunniato sun organi di stampa dietro ispirazione di elementi variamente interessati.  Mi ero imposto il silenzio unicamente per carità di patria, poiché speravo e volevo che l’Italia potesse partecipare alla guerra con tutte le sue forze; per difendermi personalmente avrei dovuto invece dare esca alla inconsulta campagna giornalistica che quotidianamente faceva a brani l’esercito – con la guerra in corso e l’Italia invasa – sotto gli occhi noncuranti delle supreme autorità militari. Ma oggi lo stesso sentimento di carità di patria – e non soltanto il diritto di legittima difesa – mi induce a parlare pubblicamente, perché è ormai chiaro che sono stati proprio i governi succedutisi dopo l’8 settembre 1943 a non volere una più larga partecipazione del paese alla guerra; sono stati questi governi a creare un clima tanto obbrobrioso da indurre molti richiamati a non presentarsi alle armi e non pochi soldati sotto le armi a disertare per non combattere. Una grande armata nazionale volenterosamente in linea contro i tedeschi, significava avere in armi il popolo italiano e ciò, dopo la ignominiosa fuga di Pescara, poteva essere (e sarebbe più giusto dire ’doveva’ essere) estremamente pericoloso per tutti coloro che, fuggendo, avevano abbandonato all’esasperata ferocia nemica un’Italia ignara ed inerme. Perciò fino dai tempi beati del governo di Brindisi, Badoglio ha ostacolato la formazione di un’Armata nazionale volontaria, numerosa e animata da amore di patria, preferendo ad essa un esercito minuscolo e del tutto inefficace ai fini della liberazione del suolo patrio, ma sicuramente malleabile e monarchico; perciò Roma ha dovuto spasimare nove mesi sotto il giogo nazista e fascista. In questo momento, poi, traspaiono i sintomi che l’Italia ufficiale ha rinunciato definitivamente ad ascoltare la voce dell’onore e della necessità politica che le impongono di possedere ad ogni costo una armata nazionale che combatta, in armonia di sforzi, tanto sul fronte quanto al di là del fronte – e per il quale abbiamo ragione di ritenere che non sarebbe mancato il concorso di armamento e di equipaggiamento alleato -; dopo alcuni vani e fiacchi tentativi presso gli Alleati per ottenere il consenso ad un maggior contributo militare italiano alla guerra, dopo il delittuoso abbandono dei partigiani a sé stessi, gli elementi direttivi dell’ambiente militare italiano stanno rassegnandosi infatti a ripiegare sin d’ora sulla costituzione stabile di un piccolissimo esercito di mestiere, senza ideali e senza anima, inquadrato da piccoli generali di sicura fede burocratica, più adatto a compiti di polizia che non a compiti di guerra. Dobbiamo credere che anche l’Italia del popolo e dei combattenti possa essere passiva e disfattista come l’Italia ufficiale? No: io non lo credo. Chi ha visto i soldati del Corpo motocorazzato, reclutati in tutte le regioni d’Italia, e molti patrioti, combattere disperatamente a Roma per due giorni e due notti, senza munizioni né viveri, sapendosi soli, col re e coi supremi capi militari in fuga, non può dubitare del senso d’onore, del patriottismo, della volontà di combattere del popolo italiano. Questa volontà, che andrebbe utilizzata e sorretta, viene invece mortificata e delusa in una atmosfera di oppressione, di arbitrii e di inganni, che ricorda per troppe analogie i giorni in cui i soldati italiani erano forzati a combattere accanto ai ‘camerati’ tedeschi. Dobbiamo avere fiducia nel popolo italiano! Nonostante tutte le sciagure che ci hanno tirato addosso il crollo infamante dell’8 settembre, i cui responsabili sono tutti individuati, ma impuniti; nonostante la fame e le malattie, la prostituzione e la  borsa nera, le città distrutte e le campagne allagate, la politica delle ‘zone di influenza’ e il fascismo libero e rifiorente; nonostante il funereo battesimo di non libertà democratica del governo d’oggi; nonostante la mortifera cancrena della situazione armistiziale, gli italiani sapranno risvegliarsi e ritrovare se stessi. Non può tardare il giorno in cui gli strati più sani e più vitali del nostro popolo si renderanno conto delle cause vere dei mali della patria – ed anche queste note potranno forse giovare allo scopo; – quel giorno il popolo scarterà ogni indugio e, fondendosi in una massa solidale e  compatta, spazzerà dal corpo della patria le piaghe che la avviliscono e la prostrano e combatterà la sua guerra per far risorgere l’Italia, unita e libera.”

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