CATANIA – Per la regia di Romano Bernardi, è in scena dal 7 Dicembre “Ma non è una cosa seria” di Luigi Pirandello. Scene di Susanna Messina, costumi delle Sorelle Rinaldi , aiuto regista Riccardo Maria Tarci ; con Giorgio Arcadipane, Debora Bernardi, Filippo Brazzaventre, Lorenza Denaro,Evelyn Famà, Maria Iuvara, Camillo Mascolino, Salvo Scuderi, Maria Rita Sgarlato, Riccardo M. Tarci, Sebastiano Tringali, Riccardo Vinciguerra. Risultato della combinazione di due diverse novelle, “La Signora Speranza” e “Non è una cosa seria” scritte rispettivamente nel 1902 e nel 1910, narra di una decisione paradossale che deriva dalla necessità del protagonista, Memmo Speranza, di sfuggire al matrimonio in quanto vincolo con una sola donna. E’ un giovane di bell’aspetto, ricco e dunque abbastanza desiderato dalle donne che vorrebbero farsi impalmare; s’ innamora facilmente ma non per molto, urtando la sensibilità di qualche fratello geloso che lo passa da parte a parte con il fioretto per difendere l’onore della sorella illusa. L’espediente escogitato è quello di sposare la signorina Gasparina Torretta, chiamata Gasparotta che ogni tanto viene mutato in “Scarpa-rotta”, poiché si tratta di una donnina mite, di aspetto incolto…” È una donnina fina fina, un po’ sciupata, trasandata; sarebbe vivacissima, se i patimenti, le angustie, la tristezza che glien’è derivata, non smorzassero tutti i moti del suo animo e della sua personcina, e non le dessero un’umiltà sorridente e rassegnata. Veste poveramente, con un vecchio cappellino da vecchia…”Così la introduce Pirandello.
La signorina Gasparina Torretta che gestisce una pensione per signori anziani, verrà prescelta dal viziato giovanotto per il suo progetto – fuori da ogni logica ma logico al tempo stesso – perchè la giudica innocua e per corrisponderle un po’ di riposo e fortuna economica che la poveretta non ha mai avuto. Memmo la sposerà malgrado l’ incredulità di amici ed “amichette”, le donerà un casale in campagna (dove non si farà mai vedere) e proseguirà nella sua vita effimera: “Sono come la paglia, io: piglio fuoco subito, una bella fiammata; poi affogo nel fumo. Il matrimonio non è per me: l’amore, sì; il matrimonio, no”
“Ma non è una cosa serie” è una commedia brillante ma severa che offre una doppia lettura dell’esistenza: prendere troppo sul serio il matrimonio può minacciare lo sviluppo di quella dinamica giocosa che una relazione dovrebbe avere per non spegnersi mai. Allo stesso tempo, giudicare le cose e le persone dall’apparenza, induce quasi sempre nell’errore di valutazione. Una storia scritta agli inizi del secolo scorso che non patisce il tempo perché in essa si riscontrano tutte le frequenti caratteristiche degli esseri umani che non vogliono crescere, che arrivano con ritardo sulle responsabilità della vita; i personaggi sono vinti e risorti allo stesso tempo ma dalle conseguenze di iniziative e sorti opposte.
Gasparina, appena trentaduenne (ma apparentemente più anziana), dirà di se stessa : “Non ho avuto, mi creda, neppure il tempo di pensare che la mia sorte avrebbe potuto essere un’altra. Ho pensato solo a difendermi, coi denti e con le unghie! La dignità, lei dice? Ma che vuole che diventi una vestina bianca di velo sulle carni di una povera sperduta, fustigata, inseguita da tutti, in mezzo a tutte le spine della vita? Mi sembra d’essere nuda al mondo! È casa questa? Chi entra, chi esce… La porta, sempre aperta. La tavola, sempre apparecchiata. Non mi vedo più dentro, signorina! Sono forse più una donna io? Sono uno strofinaccio. Chiunque, con licenza parlando, può pulirsene le scarpe”. Ella accetta la sua condizione assumendola come l’unica che possa meritare di avere, compreso il permettere a qualche ospite anziano di burlarla con irriverenti affermazioni. Poiché la Vita non può essere una cosa seria, non possono assumersi certezze neppure in ordine alla rassegnazione: la Vita può mutare, divenire, prendere forme inaspettate. E guardarla con leggerezza, ponendo lo sguardo al di sopra di tutti i pesi che si sono dovuti patire o al di sotto di quelli che si sono disprezzati, favorisce l’individuo nella conquista di mete sicure: Gasparina farà tesoro dell’occasione ricevuta, soprattutto perché lavorando meno avrà il tempo di prendersi cura di se stessa e priva della zavorra del quotidiano, osserverà la vita con spensieratezza, sebbene le pesi rimanere parcheggiata in un oasi dorata (“perché io non posso e non voglio più vedermi qua in casa sua a rappresentare una parte che mi diventa amara”); allo stesso modo, Memmo Speranza, orientato dal coraggio della moglie per finta, dalla sua voglia di riscatto anche verso di lui: “Se ti dicessi sul serio che mi sono seccato, stancato, nauseato della mia pazza vita di scapestrato, degli amici stupidi e delle donnette più stupide e delle signorine più stupide ancora? Proprio stancato, sai? Proprio nauseato! Anche perché gli anni miei ‑ capisci? ‑ non comportano più la dissipazione cui mi sono abbandonato finora”.
La commedia degli espedienti folli e delle soluzioni inaspettate e dal lieto fine, in ogni modo lascia per strada qualche vittima: il sig. Barranco, vedovo, balbuziente (“E sono sciagure, sa? Qua‑quando non si è più giovani, da lasciarsi presto riprendere da‑dalla vita con facilità; e‑e non si è ancora tanto vecchi da poter fare a meno d’‑u-una compagna!) forse sinceramente innamorato resta abbandonato ai margini della storia perché Gasparina accetta un patto scellerato prima e dopo s’incammina a braccio di un uomo che si dice conquistato e che forse (non si può sapere) non perderà mai il “vizio del lupo”. Il professore Virgadamo, spensierato e giocherellone che un ictus riduce in uno stato di pietosa ed ironica demenza: “vogliamo ridere, vogliamo ridere”, ripete continuamente a voler sottolineare, dalla coscienza trasformata dalla malattia, l’unico principio di questa storia: la leggerezza!
“La logica, sai che cos’è? Ecco: immagina una specie di pompa a filtro. La pompa è qua in testa; Il filtro, s’allunga fino al cuore. Tu hai un sentimento? La macchinetta che si chiama logica te lo pompa e te lo filtra; e il sentimento perde subito il suo calore, il suo torbido; si raffredda; si purifica: si i‑de‑a‑liz‑za! Fila tutto a maraviglia perché ‑ sfido! ‑ siamo fuori della vita, nell’astrazione. La vita è lì, dov’è il torbido e il calore, dove non c’è più logica, capisci?”
La commedia è perfettamente resa dalla regia senza errori di Romano Bernardi, al quale la compagnia, a termine della prima serata ha conferito una medaglietta d’oro con dedica (è un rito di ogni fine rappresentazione); bellissimi gli abiti delle Sorelle Rinaldi; brillantemente interpretata da ogni personaggio: Debora Bernardi che ha dovuto parecchio imbruttirsi nel primo atto, compare nel terzo in tutta la sua solare e naturale bellezza. Tutti bravissimi e meritevoli di plauso (i lunghi applausi lo hanno dimostrato) nei diversi ruoli: da Memmo a Celestino! Debora Bernardi (Gasparina Torretta); Filippo Brazzaventre (Memmo Speranza); Sebastiano Tringali (il signor Barranco); Salvo Scuderi (Il Professore Virgadamo); Camillo Mascolino (Grizzoffi); Maria Rita Sgarlato (la Maestrina Terrasi); Riccardo Maria Tarci (Magnasco); Riccardo Vinciguerra (Vico Lamanna); Evelyn Famà (Loletta Festa); Lorenza Denaro (Fanny Martinez); Giorgio Arcadipane (Celestino) e Maria Iuvara (Rosa).
Insomma, per dirla alla Vasco Rossi: “la Vita è tutto un equilibrio sopra la Follia…!”…credo che a Pirandello non dispiaccia questa riflessione!
Foto di Dino Stornello
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