Antonella Caldarella è una donna riservata e timida ma anche molto curiosa, che ama l’arte in tutte le sue forme e le piace mettersi in gioco. Attrice, regista, drammaturga, scrittrice di libri per bambini, anche burattinaia, costruttrice di burattini in cartacolla, pasta di legno, scultrice di gommapiuma, formatrice, psico-drammatista; <<ho anche cantato in un gruppo di musica popolare>> – ci racconta – << e sperimentato la burattino-terapia in ospedale>>. Il suo periodare elegante e semplice la portano ad esprimere concetti destinati ai bambini “comprensibili” anche dagli adulti che spesso si estraneano dall’approccio più diretto alle cose. Antonella parla ai piccoli trattandoli da “giganti” e si rivolge ai grandi con un cuore semplice. La sua grande forza ed il suo grande fascino risiedono soprattutto in questa singolare qualità.
Il suo debutto come attrice è avvenuto al Teatro Musco di Catania nel 1984. A metà degli anni ‘90, ha iniziato a scrivere e dirigere spettacoli propri, sia per bambini con ‘La Casa di Creta’, sia per adulti con ‘Teatro Argentum Potabile’, associazioni culturali costituite col marito Steve Cable, nel 1997. Nel 2014, è nato ROOTS, uno spazio teatrale di 130 mq, quasi interamente manufatto, sede fissa per le loro molteplici attività.
<<Con mio marito Steve, ci siamo conosciuti ad un laboratorio teatrale; mi ha invitata a fare con lui uno spettacolo sui generis, in un capannone, con un testo bellissimo e magico, un uso dello spazio diverso dal solito; come illuminazione solo la luce di tre candele e gli spettatori erano venti. L’ho trovato geniale e mi ha subito conquistata>>.
La passione prevalente di Antonella è la scrittura: lei afferma le sue più concrete visioni dell’arte attraverso la parola che si fa favola, racconto. Da sempre dedicata ad un tipo particolare di pensiero rivolto ai bambini, quando era in attesa di suo figlio Andrea, apprese la tragedia della nostra conterranea, la giornalista Maria Grazia Cutuli che Catania continua a piangere ed a portare nel cuore. Trovarsi in attesa di una vita ed apprendere dell’agonia di un’altra madre, la indussero, quasi per rimettersi da quella compenetrazione che le faceva male e la spiazzava, a scrivere “Madri di Guerra”, una narrativa ispirata ma che comprendeva nella sua trama il rapporto universalmente considerato fra una madre ed una figlia.
Antonella, ci vuole raccontare cosa l’ha esortata a scrivere “Madri di Guerra”?
<<Spesso quando scrivo un testo è perché devo mettere in scena uno spettacolo, diciamo per necessità, mentre “Madri di Guerra”, è nato per ispirazione. Tutto è avvenuto come un sogno, le parole i personaggi sono stati generati da quel dolore che mi aveva toccata profondamente, mentre io ero in attesa di mio figlio Andrea. Non facevo che pensare alla storia di Maria Grazia Cutuli, del suo amore per il giornalismo vero, di denuncia e a sua madre, così decisi di scrivere un testo che parlasse di due donne e della guerra. Mi sono documentata su internet, su chi fosse Maria Grazia, ma su sua madre invece non avevo dubbi, sapevo chi fosse Agata D’Amore: una donna irrimediabilmente straziata. La visione della madre vestita di nero, e la giovane donna vestita da sposa: l’ho scritto e lasciato. Per anni, sino a quando nel marzo scorso, l’ho ripreso, riletto, allungato; fatti i provini, la scelta è ricaduta su Daniela Fisichella e Valeria La Bua, rispettivamente per i ruoli della madre e della figlia, ed è andato in scena.>>
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Rispetto all’edizione dell’anno scorso, lei sostituisce Daniela Fisichella: l’ha gratificata rivestire questo ruolo?
<<Daniela Fisichella è stata fantastica nel ruolo della madre; purtroppo si è fratturata il ginocchio ed è ancora in ripresa. Mi piace tanto fare regia, perché essendo fuori posso osservare e quindi dirigere in maniera minuziosa e rigorosa. In questo spettacolo la mano del regista è quasi invisibile perché è come se le stesse attrici da sole dirigessero se stesse. “Madri di Guerra” è un lavoro in cui sia l’elemento narrante, che quello attivo della regia e della recitazione devono mantenersi in un equilibrio che probabilmente ha costituito la maggiore difficoltà. Devo dire che con Daniela Fisichella e Valeria La Bua è stato veramente bello e facile lavorare: sempre molto tranquille e disposte all’ascolto dei suggerimenti, molto professionali, si sono fatte guidare con naturalezza. Una difficoltà è stata quella di non potermi guardare, non volendo strafare o ancora fare un personaggio lontano da quello che avevo scritto. Poi alla fine mi sono lasciata andare, sono consapevole che ogni persona dia la sua energia al personaggio e lo spettacolo risulta diverso. Valeria La Bua è una giovane e promettente attrice, dotata di spontaneità e molta grinta: io l’ho trovata perfetta per il ruolo della figlia ed insieme abbiamo una bella sintonia. Mi piace recitare, anche se per me è più stressante ché stare dall’altra parte.>>
Ha conosciuto la famiglia di Maria Grazia Cutuli?
<<Ho avuto la gioia di conoscere la sorella Sabina che assistette al debutto dello spettacolo; avrei tanto desiderato che lo vedesse anche la signora Agata, perché solo lei avrebbe potuto dirmi quanto c’è di vero in quello che ho scritto, nel delirio della madre che io ho immaginato, solitario e segreto, impossibile da condividere. Allo stesso tempo ho pensato che forse era meglio così, non ha nessuna importanza perché in ogni caso, purtroppo, nel dolore di una madre c’è una universalità crudele ed irrisolvibile. Infatti, il mio è un testo che riguarda tutte le madri: il titolo è al plurale e non al singolare.>>
Quanto è stato difficile per lei “mamma” parlare della morte?
<<Io credo che questo fantasma esista sempre nel momento in cui si ha un figlio, ci accompagna ogni attimo della nostra vita; scriverlo mi ha dato la possibilità di esorcizzarlo. Come penso sia per lo spettatore: vedere questo spettacolo induce alla catarsi parziale (il pianto) e il finale offre una catarsi integrativa (trovare una risposta, integrarsi per l’appunto). Diciamo che è più difficile interpretarlo, perché devo trovare un giusto equilibrio tra l’immedesimazione e la tecnica, per non rischiare un crollo emotivo. Nello spettacolo, non c’è solo “l’esser madre” ma c’è anche “l’essere figlia”, ruoli dotati di un medesimo carico emotivo, in cui (dico, purtroppo), ciascuno potrà identificarsi. Siamo, mio marito che ha collaborato alla organizzazione dello spettacolo, mio figlio Andrea che ha scritto ed esegue le musiche dal vivo, dicevo, siamo molto orgogliosi di questo lavoro che abbiamo intenzione di proporre in tutti gli spazi che ospitano teatro contemporaneo e di presentare in giro ai festival e alle rassegne>>.
Antonella Caldarella ha scritto lavori deliziosi come “Gelsomina e le Fate”, “Palladilardo”, “Sirenetta”, “L’avventura strana di Babbo Natale e la Befana”, tutti rivolti ai bambini che affollano le prime due file della Sala Roots, spesso interagendo con lo svolgimento; ma soprattutto il suo proposito è quello di spiegare il teatro ai più piccoli portando alle rappresentazioni anche i grandi, affinché non sia solo l’idea del teatro a trovare una collocazione, ma anche il tempo libero delle famiglie a ritrovare uno spazio e una riscoperta meraviglia; affinché, insieme, genitori e figli possano sorridere delle stesse emozioni, condividere gli stessi pensieri. Perciò le sta tanto a cuore formare le giovani creature a quest’arte, per insegnare loro che il teatro è un gioco meraviglioso grazie al quale si può ritrovare il senso del gruppo, in una società in cui i bambini non giocano più e in special modo, non giocano fra di loro. Per spiegare a grandi e piccini che le emozioni che sorreggono una storia sono semplici e sempre uguali, ma che è necessario purificare lo sguardo per tornare a stupirsene.
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