Mi perdoneranno coloro che in queste ore stanno attivamente contribuendo alla deificazione del calciatore Maradona, scomparso recentemente, se non mi lego alla loro schiera.
Mi sforzerò, per quanto posso, di rimanere lucido ed equidistante fra le opposte fazioni. Fra chi lo colloca già sull’altare dei santi e chi, come il giornalista Sallusti, lo definisce “un imbroglione, sessista ed evasore fiscale” (forse confondendosi con qualcun altro di sua conoscenza).
È stato, di sicuro, un fuoriclasse nel suo mestiere, così come è altrettanto sicuro che avesse una spiccata tendenza a delinquere nel gioco del calcio come nella vita.
I suoi sostenitori – più o meno compostamente – si appellano al principio evangelico del “non giudicare”, i suoi detrattori dicono che egli è un pessimo esempio per la gioventù a causa del complesso della sua vita, segnata da illegalità e amoralità.
Ognuno ha le sue opinioni. Ognuno non può non avere le sue opinioni.
La vita stessa degli esseri pensanti (uomini e animali che – non scordiamolo – si chiamano così dalla radice lessicale “anima”) procede in virtù delle opinioni, da sempre.
Uno dei più grandi filosofi della seconda metà dell’ottocento Friedrich Wilhelm Nietzsche scolpisce per sempre questa verità ontologica, per le menti di “color che sanno”, in un suo aforisma inciso su tavole di granito: “Non esistono i fatti, ma solo le interpretazioni”.
Nel giorno in cui è morto quest’uomo, gli umani morti sul pianeta Terra sono stati 161.500: un fatto; ma l’interpretazione porta a piangerne solo uno; gli altri 161.499 semplicemente non esistono: opinione.
“Questa è la vita!”, direbbe il grande Totò che di Maradona ne valeva almeno centomila!
Ho anch’io la mia opinione.
Ammiro Maradona, così come, allo stesso modo, ammiro l’ingegnere che costruisce ponti che non cadono, lo scienziato che migliora la tecnica, l’artigiano o l’operaio che eseguono il proprio lavoro alla perfezione.
Condivido l’ammirazione comune che il genio di questo calciatore ispira, ma – a mio parere – tale ammirazione non implica necessariamente la simpatia; questa io la riservo a coloro che, perfezionando il sapere e la tecnica, si adoperano per difendere l’Umanità dalle forze della natura e, volgendole a suo vantaggio, ad accrescerne la potenza e la libertà. Riserbo la mia simpatia a coloro che, provando compassione per il destino dell’uomo, cercano di renderlo migliore, a coloro infine che si sforzano di strapparlo alla servitù e all’oppressione.
Tali preferenze hanno forse alterato la mia serenità? Francamente non mi sembra. Mi rimetto al giudizio del lettore.
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