Turi Ferro, nato Salvatore alla fine del 1920 e registrato all’anagrafe il 10 gennaio 1921.
L’odore dei teatri lo conobbe assai presto: suo padre Guglielmo lo introdusse ancora piccolo nel mondo della recitazione nell’intervallo fra i due conflitti bellici, quando il ruolo di regista coincideva con quello del capocomico, gli attori utilizzavano il proprio corredo per i costumi di scena, e il trovarobe aveva il complicato compito di scovare arredi ed oggetti di scena. Era un teatro fatto di compagnie itineranti (quella del padre Guglielmo prendeva il nome di “Brigata d’Arte Filodrammatica”) fra i palcoscenici di provincia di un’Italia avvilita dalle guerre, condizionata culturalmente dalla censura.
La grande guerra, la “spagnola”, famiglie impoverite, teatri destinati a ricoveri, ospedali di fortuna, divieto di portare sui treni entro una certa distanza carichi pesanti; le compagnie gravate da tutto ciò, gli aiuti richiesti al governo, respinti; un secondo conflitto, un governo che vuole ingerire condizionando le rappresentazioni per mire patriottiche piuttosto che sostenere gli artisti che saranno gli ultimi, fra le varie categorie di lavoratori, ad essere aiutati. Sembra davvero di leggere pagine attuali…
Ad ogni modo, l’attore dell’epoca – se fortunato, tornato dal fronte – abbandona la postura caricaturale propria della recitazione degli anni precedenti per raffinare e mettere a punto una espressività necessaria a dare vita ai personaggi del teatro di Pirandello, Martoglio, Rosso di San Secondo che hanno da raccontare il disincanto delle grandi ragioni che sembrava dovessero cambiare il mondo e metterne al centro un super uomo, ridottosi poi ad un essere fragile ed incompiuto.
Turi Ferro impersonerà ogni personaggio, rendendolo meticolosamente in ogni possibile sfumatura, grazie anche alla conoscenza che avrà degli autori. Si sposerà con Ida Carrara nel 1951 e con lei, Rosina Anselmi, Umberto Spadaro, Michele Abruzzo creerà prima l‘Ente Teatrale Sicilia e dopo il Teatro Stabile di Catania. L’elenco teorico dei suoi lavori altro non è che il dipanarsi di una prolifica carriera brillante che lo ha visto protagonista in teatro, come in tv ed al cinema; Turi Ferro è stato immagine di un momento culturale importante proiettato verso il rilancio, contribuendo a riempire di luce ogni ambiente. Egli intuì la potenzialità di un teatro “stabile” sul territorio, di un teatro colto, interpretato e reso verosimilmente. Colto ed illuminato, cresciuto coevo di scrittori come Sciascia che ammirava senza farne mistero, collega di attori irripetibili, sdoganò un modesto teatro di provincia rendendolo famoso in tutto il mondo. La sua è stata una maschera straordinaria e il suo, impegno a fare dell’arte scuola di vita, fatica, memoria.
Cosa ne sanno i giovani di Turi Ferro? E’ davvero chiaro quanto fu grande e determinante e quale indelebile impronta abbia contribuito a lasciare? Eventi, mostre, rassegne, libri per ricordare quanto fu straordinario questo nostro conterraneo, concittadino che creò un’equazione perfetta fra Catania ed un’epoca teatrale che conobbe fasti e fama spettacolari rimasti ineguagliati: fra gli autori, gli attori esisteva un collegamento fluido che permise la realizzazione di produzioni indimenticabili (Laura Cavallaro, in un’articolo del 10 gennaio del 2019 su Sicilianpost, a ben ragione, lo definì “L’uomo che portava a teatro le folle”) di un mondo di artisti preparati e fuoriusciti da pesanti e lunghe gavette.
Molti degli attuali attori sono cresciuti nel riverbero di tanta luce, ma il momento culturale, tornato indietro di un secolo esatto, sta generando frustrazioni, immobilizzando talenti e le pagine attuali vengono tristemente scritte senza tenere conto dei capitoli precedenti.
A pochi giorni dalla sua scomparsa, a Gigi Proietti viene intitolato il teatro Silvano Toti Globe Theatre di Roma all’interno di Villa Borghese, che l’attore aveva diretto artisticamente per anni; a cinque minuti dalla scomparsa di Diego Armando Maradona, lo Stadio San Paolo verrà ribattezzato col nome del grande fuoriclasse argentino con immensa gratitudine del popolo napoletano. Vent’anni fa, quando fu posta in essere la Fondazione Turi Ferro, voluta fortemente dalla famiglia per sostenere i giovani artisti e iniziative di beneficenza, la direzione artistica del teatro stabile di Catania si espresse dubbiosamente sull’intitolazione a Turi Ferro, decisione che personalmente considero come la cancellazione di paternità di un figlio legittimo!
La modestia con cui è consigliabile procedere nella vita, ad un certo momento diventa colpevole di omissioni e si rischia di lasciare posto alla sufficienza di chi ha saputo sgomitare e parlare a gran voce, forse senza averne titolo. E bisognerebbe guardare con occhi sgranati e sognanti i fotogrammi di ciò che è stato e se solo ci riuscissimo senza condizionamenti, riusciremmo a renderci conto che uno capo cantoniere come Angelo Musco, diventato ciò che poi fu, passò il testimone ad uno come Turi Ferro che saliva sulle scene con Rosina Anselmi, Umberto Spadaro, Turi Scalia, Ileana Rigano, Mariella Lo Giudice, Guia Ielo; un Turi Ferro che prese nella sua compagnia Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, coetanei di attori come Marcello Perracchio, Gilberto Idonea, Miko Magistro, Salvo Saitta. E molti altri ancora…
Francesca Ferro, terzogenita di Turi, dopo Enza e Guglielmo, già sessantenne quando lei nacque, racconta a MetroCt solo una porzione di ciò che sa e ha vissuto, crescendo in una famiglia tanto speciale…
<< Cosa voglio ricordare di mio padre, dei miei genitori?… Mio padre e mia madre sono ricordati a prescindere che io o altri ne parliamo…La memoria più grande passa attraverso Il suo manifesto amore per Catania animata dal suo teatro. Durante la sua carriera, è stato conteso dai teatri più importanti d’Italia, fra Genova, Roma, Milano e gli sarebbe convenuto; ma lui era legato in modo carnale alla sua città: partiva per tornare sempre.>>
<<Il Teatro Stabile di Catania è identificato con lui e senza la figura di Turi Ferro non sarebbe stato quello che è stato: un teatro di provincia che è arrivato in Argentina, a Londra, che ha fatto conoscere a Mosca, Parigi. Grazie a lui che era completamente donato al suo lavoro: per lui era la vita, lavoro, hobby, passione e pensiero costante: mia madre diceva che i veri tradimenti che suo marito le aveva fatto erano stati col suo lavoro, come se fosse la sua amante>>
<<Mio padre sembrava spontaneo sulla scena, un improvvisatore, ma lo era solo nella misura in cui la preparazione, frutto di uno studio quasi maniacale del personaggio, gli lasciava lo spazio di esserlo: veniva definito un attore “fisico”, “spirituale”, invece lui non lasciava niente al caso. Qualche anno addietro, ho trovato una cassetta VHS, registrazione di prove de “La Tempesta” di Shakespeare in cui lui rivestiva il ruolo di Prospero: ebbene, aveva ripreso se stesso che interpretava tutti i personaggi della commedia: Alonso il re di Napoli, suo fratello, la figlia Miranda e tutti quelli che erano in scena, con voce ed aspetto cambiati ed adeguati al ruolo che, ripeto, non era quello che poi avrebbe impersonato. Non esisteva solo il suo personaggio, ma ciascun personaggio che doveva contribuire nella sua meticolosa costruzione a rendere la magia nello spettacolo. Il personaggio non esisteva da solo, perchè era necessario funzionasse tutto, conseguenza di un incastro perfetto, del quale lui non si sentiva mai soddisfatto. A chi gli esprimeva il proprio compiacimento, rispondeva sempre “grazie…si però, non era proprio come doveva venire…”>>
<<Quando tornava dalle prove, si chiudeva nel suo studio, prendeva il copione, lo smontava e ricomponeva, costruendo sopra mondi paralleli, facendo letteralmente l’amore con l’autore. Ed era molto severo durante le prove perché dagli attori della compagnia pretendeva lo stesso livello di applicazione ed impegno che innanzitutto esigeva da se stesso: una sera alla vigilia di Natale, dopo quasi dieci ore di lavoro, Umberto Spadaro gli fece notare che a casa ciascuno di loro aveva qualcuno ad aspettarlo per festeggiare. E mio padre, guardando l’orologio, si rese conto che fosse tardi, ma lui non se n’era accorto dal momento ciò che faceva non contemplava il sacrificio ma divertimento. Poi, fuori dalle scene si svestiva del suo rigore e diventava un amabile amico.>>
<< A 19 anni, partì militare, escludendosi per forza maggiore da una dimensione familiare (mamma e tre sorelle) di premura ed accudimento. Passare dal focolare domestico al fronte lo cambiò provandolo per tutta la vita: gli scenari di morte della seconda guerra mondiale lo avevano indurito rendendolo più severo. Dopo quattro anni, tornò a 23 stravolto e profondamente cambiato, mantenendo una malinconia di fondo che si andava a scontrare con la sua grande vitalità. Penso davvero che questo dualismo abbia generato il genio che poi si è manifestato, perchè la genialità viene sempre da una grande sofferenza>>.
<<Aveva cominciato a recitare ai Salesiani, da adolescente e poi con mio nonno Guglielmo in commedie amatoriali. Aveva incontrato mia madre Ida Carrara a Firenze, durante un lavoro in cui aveva una particina; poi conobbe le mie zie, Franca Manetti e Maria Tolu, attrici caratteriste che hanno lavorato tanto allo Stabile. Mia madre faceva parte di una famiglia di attori da nove generazioni e viveva a Firenze, (dove c’è il ramo Carrara – fratello di mio nonno – che continua a fare commedia dell’arte a Padova); Fioretta Mari (figlia della sorella di mia madre) e le zie scescero tutti in Sicilia e decisero insieme a mio padre di fondare questa brigata d’arte, compagnia con attori favolosi, tanto che Mario Giusti propose di unirsi tutti e formare un circolo artistico che poi diventò un teatro stabile, Il Teatro Stabile di Catania che è nato con questa gente con a capo mio padre. In seguito, entrarono Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina allora ragazzini, talentuosi che mio padre prese in compagnia e crebbero li. Nacquero tutte quelle produzioni che hanno conferito una forte identità al Teatro Stabile di Catania che non è un teatro qualsiasi: è un teatro che ha avuto mio padre Turi Ferro, come il Piccolo di Milano ha avuto Strelher. E che ha avuto grandi artisti. Quindi non va dimenticato e snaturato.>>
<<Quando mio padre è morto, io avevo vent’anni: la sua grande eredità? Oltre l’amore per l’arte della recitazione, l’impegno severo che fa la differenza e che io cerco di trasferire ai miei allievi, mi ha lasciato la dignità delle proprie scelte e l’insopprimibile attaccamento alla mia città.>>
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